Cina: l’Ue diventa trumpiana, ma l’Italia si smarca
“Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare”. La celebre frase di John Belushi nel film culto degli anni Ottanta The Blues Brothers ben si addice alla posizione adottata dall’ultimo Consiglio europeo sulla Cina, accusata di una panoplia di irregolarità commerciali, a cominciare dalla chiusura del suo mercato alle imprese estere; di dare sussidi a pioggia alle sue industrie, distorcendo la competizione; e di non proteggere in maniera adeguata i diritti di proprietà intellettuale.
E questo non è che l’assaggio di una lunga serie di lamentele verso le politiche commerciali di Pechino contenute nel documento preparato dalla Commissione europea e dal Servizio di azione esterna europeo (Seae) in vista del Consiglio europeo dello scorso 21-22 marzo.
Pechino come “rivale sistemico”
Per anni ci si è lamentati che l’Europa era incapace di rispondere in maniera adeguata all’ascesa della potenza cinese e che anche quando una risposta comune veniva adottata, questa era solitamente debole e poco incisiva. Ora la risposta è arrivata, e alquanto forte. Nel suo ultimo documento – che servirà anche a preparare il Vertice Ue-Cina del 9 aprile – la Ue ha deciso di definire la Cina un “competitore economico” e “rivale sistemico”. Sembrano finiti i tempi del partenariato strategico che ha caratterizzato le relazioni sino-europee degli ultimi 15 anni. Ora le parole d’ordine sono “rivalità” e Europe first; prima le aziende e i produttori europei.
In linea con questo approccio muscolare verso la Cina, il Consiglio europeo ha discusso la questione della creazione dei cosiddetti ‘campioni nazionali’, una proposta dell’asso franco-tedesco fortemente sostenuta dalle élites politiche e industriali dei due Paesi. Basti ricordare il manifesto nel quale il presidente francese Emmanuel Macron dice chiaramente che per competere con potenze quali gli Stati Uniti, la Cina e la Russia, l’Europa deve dotarsi di politiche che difendano la sua sovranità tecnologica e creare industrie europee capaci di competere con le grandi imprese di Stato cinesi.
Difesa della sovranità tecnologica
Un tassello fondamentale della sovranità tecnologica è la difesa delle imprese europee dagli investimenti predatori. In tal senso, il Consiglio europeo ha dato il via libera al meccanismo di scrutinio degli investimenti esteri nella Ue – il cosiddetto screening mechanism – chiaramente indirizzato a impedire o quantomeno a rendere più difficile alle grandi imprese di Stato cinesi di fare “shopping tecnologico” in Europa, che porterebbe con sé il rischio di de-industrializzazione dell’Europa nel medio-lungo periodo.
Una tale proposta che mira a difendere l’interesse nazionale degli Stati membri dovrebbe essere accolta con favore dalla coalizione di governo in Italia, formata da due partiti che hanno fatto della difesa della sovranità (e delle aziende nazionali) la loro bandiera. Eppure, Roma si è smarcata. Il 5 marzo, durante il voto sulla bozza del testo che ora permette alla Commissione europea e ai Paesi membri di “scrutinare” gli investimenti cinesi nell’Ue, l’Italia si è astenuta. Con lei solo la Gran Bretagna, che è già mezza fuori dall’Unione e che ha già fatto capire che una volta libera dai vincoli di Bruxelles perseguirà una politica di apertura nei confronti degli investimenti cinesi, non a caso già ora concentrati a Londra.
Il nuovo provvedimento legislativo inerente gli investimenti cinesi è parte dell’armamentario che il Consiglio europeo ha adottato per rispondere al progetto cinese di una Nuova Via della Seta (nota come Bri, acronimo inglese di Belt and Road Initiative).
L’Europa e la Nuova Via della Seta
Una risposta al progetto della Bri, l’Ue l’aveva data lo scorso settembre, con la pubblicazione del documento sulla Strategia per la connettività euro-asiatica, che contiene norme e principi di ispirazione occidentale e ai quali spesso le aziende cinesi non si attengono.
Diversi Paesi membri dell’Ue hanno avuto parole molto dure riguardo il progetto infrastrutturale di Pechino. Anche qui, però, l’Italia si è smarcata, aderendo al progetto cinese di Nuova Via della Seta durante la visita del presidente cinese Xi Jinping in Italia.
Vero è che il Memorandum d’intesa che l’Italia ha firmato con la Cina fa chiaro riferimento alla Strategia europea per la connettività euro-asiatica e da questo punto di vista può rappresentare un modello anche per altri Paesi avanzati. Non va però dimenticato che una tale strategia può essere efficace nei confronti di Pechino solo se dietro si muove compatto l’intero blocco europeo, altrimenti singoli Paesi – anche molto forti economicamente come la Germania – poco possono di fronte al gigante asiatico.
Sarà la Cina a unire l’Europa?
È proprio sui punti dove è necessaria la coesione dei paesi Ue per promuovere gli interessi del continente verso Pechino – quali il meccanismo di scrutinio degli investimenti e regole certe sulla Nuova Via della Seta – che il governo italiano gioca da libero battitore, senza fare squadra. Così facendo, il governo Cinque Stelle/Lega indebolisce il fronte europeo in un momento storico che vede l’Ue, per la prima volta, affilare le armi nei confronti delle politiche commerciali del gigante asiatico. La decisione dell’Italia di siglare il Memorandum sulla Nuova Via della Seta indebolisce anche il presidente Usa Donald Trump, impegnato in una guerra commerciale e per la superiorità tecnologica con Pechino.
Xi termina il suo tour europeo in pareggio. Incassa la nuova Strategia europea molto critica verso la Cina, ma acquisisce un importante alleato nel sud dell’Europa. Per Xi, l’attuale divisione europea porta benefici immediati. Ma nel medio-lungo periodo, i leader cinesi hanno bisogno di un’Europa forte e unita che collabori con Pechino per fare da contraltare alle politiche unilaterali degli Stati Uniti. Non ci dovrebbe sorprendere, pertanto, se sarà proprio Xi – o il suo successore –, quando ritornerà in visita in Italia, a cercare di unire gli europei. Magari appoggiando, in un’Italia ormai agganciata alla Nuova Via della Seta, un altro governo, meno sovranista e più europeista.
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana