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una nuova (o tardiva) primavera araba?

Algeria: presidenziali, Bouteflika, manifestazioni e l’Europa

10 Mar 2019 - Luigi Cino - Luigi Cino

Con un comunicato stampa diffuso la sera di lunedì 11 marzo, il presidente dell’Algeria Abdelaziz Bouteflika – di ritorno nel suo Paese dopo due settimane di cura in Svizzera – ha informato della rinuncia a una candidatura per un quinto mandato, ma  ha rinviato di un anno le elezioni. 

L’8 marzo è stato il terzo venerdì di mobilitazione ad Algeri. Milioni di persone hanno manifestato la loro contrarietà alla ricandidatura, per un quinto mandato, dell’82enne presidente algerino Bouteflika. Da parte del presidente, al momento in cura a Ginevra, è arrivato un invito a evitare il caos, considerata la posizione del Paese e il rischio di infiltrazioni terroristiche.

Dietro la ricandidatura
Ormai malato da tempo e scomparso dalla scena pubblica dal 2013, l’anziano presidente non sembra in grado di poter reggere il Paese. Al potere da più di un ventennio, Bouteflika è l’espressione del Fronte di Liberazione nazionale che guidò la guerra di indipendenza dell’Algeria dalla Francia, e che da allora ne esprime il presidente. Arruolatosi a 19 anni nel Fronte, Bouteflika era già ministro dello sport a 25 anni e in seguito divenne ministro degli Esteri. Nel 1999 inizia il suo primo mandato presidenziale; ed è uno dei pochi leader riuscito a superare indenne – grazie a ingenti elargizioni dei proventi petroliferi – la stagione di proteste che dal 2011 ha investito l’area del Nord Africa e del Medio Oriente.

La scelta di ricandidare Bouteflika era già arrivata durante lo scorso novembre, molto probabilmente dovuta alla mancanza di alternative. Come la Libia, l’Algeria è infatti una bomba ad orologeria pronta a esplodere. La scelta di mantenere la candidatura di Bouteflika è dovuta alla necessità di garantire una stabilità, che però nei fatti viene messa a rischio con tale scelta. Il Paese è governato di fatto dal 2013 da persone dietro il presidente, non essendo egli in grado di farlo a causa della malattia. Ed è questa che preoccupa maggiormente gli algerini: non sono stati pochi i casi in cui si dava la (falsa) notizia della morte di Bouteflika negli anni passati, data la sua totale assenza dalla vita pubblica.

Una complicata situazione interna
La situazione socio-economica dell’Algeria non è molto diversa da quella degli altri Paesi nel suo contesto regionale. Nonostante il Paese possa contare su ingenti giacimenti di petrolio e gas, la disoccupazione giovanile sfiora il 25%, una condizione strutturale che la accomuna ai presupposti che videro lo scoppio della rivoluzione in Tunisia otto anni fa.

Per calmare le proteste non solo sono state chiuse le università, ma il presidente ha anche inviato una lettera, depositata alla Corte Costituzionale, in cui si impegna a riconvocare le elezioni entro un anno, insieme a un referendum di riforma della Costituzione. Il timore di coloro che sono dietro al presidente è che il Paese cada nel caos: l’intento è dunque quello di rimandare uno scontro fra i clan che guidano nell’ombra il Paese.

Del resto, il regime si basa su un forte consenso dei militari, anche se alcuni di loro hanno partecipato alle recenti manifestazioni; tra i manifestanti vi era anche la 84enne Djamila Bouhired, icona della guerra d’Algeria, tra le prime donne combattenti dell’Fln.

Ma al momento le proteste non si fermano, anzi si estendono sia nel Paese sia nelle richieste. Infatti, non è più solo la ricandidatura dell’attuale presidente che viene contrastata, ma il sistema in sé per sé, che non riesce ad affrontare le questioni economiche nazionali. Tra l’altro, recentemente il Paese ha visto una diminuzione dell’ingresso di valuta estera derivante dalle esportazioni di idrocarburi e dovuta all’abbassamento del prezzo del greggio. Tale minore capacità di spesa del governo non consentirà allo stesso di ripetere le misure economiche del 2011 che calmarono le proteste, riducendosi così gli strumenti a disposizione per garantire stabilità nel paese.

Risvolti internazionali
L’Algeria non ha solitamente un grande impatto mediatico nelle relazioni internazionali, tuttavia trattiene rapporti sia con la Russia (che la rifornisce militarmente) sia con l’Unione europea, acquirente del gas algerino e che sarebbe intenzionata a costruire un nuovo gasdotto che raggiunga la Spagna senza passare dal Marocco, Paese con cui l’Algeria non è in buoni rapporti.

Tuttavia, l’Algeria potrebbe divenire preda del caos regionale. Già le zone meridionali del Paese non sono totalmente controllate dal governo, e sono fortemente sconsigliate alle visite degli stranieri, considerata la vicinanza alla fascia del Sahel che comprende Mauritania, Mali e Niger, zone oggetto di traffici di esseri umani e di armi.

Ad est dell’Algeria si trova la Libia, Paese ancora nel caos da anni, dal quale rischia forti infiltrazioni terroristiche nel caso anch’essa dovesse cadere nel disordine. La situazione potrebbe interessare in particolare i Paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo, in quanto l’esperienza libica non dovrebbe ripetersi in Algeria, anch’essa divisa tra vari clan che faticherebbero a mantenere l’equilibrio nella distribuzione del potere. Al momento sia i leader europei sia l’Alto Rappresentante Federica Mogherini non hanno lasciato dichiarazioni sulle vicende algerine, che rimangono ancora manifestazioni pacifiche. Tuttavia, resta necessaria da parte europea una strategia che sappia evitare gli errori fatti in passato con la Libia, al fine di garantire la precaria stabilità regionale e gli interessi geopolitici strategici ed energetici dell’Unione.