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Gli interessi di Usa, Russia e Cina nel Paese

Venezuela: i due presidenti e la scacchiera internazionale

4 Feb 2019 - Nicola Bilotta - Nicola Bilotta

Sono passati solo pochi giorni dall’autoproclamazione in piazza di Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela, una mossa che ha aperto uno scontro istituzionale senza precedenti per Nicolás Maduro. I due presidenti sembrano studiare le prossime mosse come in una sorta di gioco di scacchi, disegnando ragnatele per garantirsi il supporto internazionale. Se Maduro è protetto ai suoi fianchi da due alfieri come Cina e Russia, Guaidó può contare sugli Stati Uniti e sul sostegno della maggioranza degli Stati latini e delle potenze occidentali, fra cui almeno 18 Paesi dell’Ue – comprese Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna -.

Nelle dinamiche politiche venezuelane, ci sono in gioco interessi che vanno anche al di là della legittimità democratica di Maduro o dei diritti dei cittadini venezuelani. Nel supporto strategico a Maduro o Guaidó si scontrano anche le ambizioni economiche e geopolitiche delle diverse potenze mondiali.

Cina e Russia nel cortile Usa
Secondo i dati di The Dialogue, la Cina ha prestato, tra il 2007 e il 2016, circa 62 miliardi di dollari al Venezuela, con fondi e modalità differenti. Il prestito più rilevante, del valore di 20 miliardi di dollari, è stato allocato nell’agosto del 2010 dalla China Development Bank per lo sviluppo del settore energetico venezuelano. Oltretutto, altre fonti sostengono che la Cina detenga circa 23 miliardi di dollari su 150 miliardi di debito pubblico venezuelano – sommando sia il debito statale sia quello delle aziende pubbliche -, facendo di Pechino il maggior creditore di Caracas.

Nonostante nel settembre 2018 Pechino abbia erogato un ulteriore finanziamento di 5 miliardi di dollari a Caracas, dal 2016 il governo cinese è divenuto estremamente cauto nell’incrementare la propria esposizione creditizia con Caracas dopo che, a causa del crollo della produzione petrolifera nazionale e delle conseguenti rendite in valuta estera, il Venezuela ha smesso di ripagare gli interessi sul proprio debito. Simbolicamente, nel dicembre 2017 la compagnia petrolifera cinese ha denunciato la Psdva – compagnia petrolifera venezuelana – per non aver rispettato un contratto del 2012 dal valore di 23 milioni di dollari.

La crisi di liquidità di valuta estera di Caracas ha anche costretto il governo a utilizzare il petrolio come prodotto collaterale per ripagare il proprio debito. Secondo il think tank Atlantic Council, degli 1,8 milioni di barili di petrolio prodotti ogni giorno nel novembre 2017 in Venezuela, ben 500.000-600.000 barili erano utilizzati per ripagare i debiti contratti con Cina e Russia, riducendo ulteriormente le entrate statali derivanti dalla vendita di petrolio nei mercati internazionali.

Il legame speciale tra Maduro e il governo cinese ha anche permesso a Pechino di ottenere delle condizioni privilegiate per gli investimenti in alcuni settori chiave dell’economia venezuelana. Ma, al di là di ciò, la posizione cinese è da leggere anche nell’approccio di non-intromissione negli affari interni di altri Paesi che ha da sempre contraddistinto la politica estera di Pechino.

La Russia, invece, è relativamente meno esposta della Cina. Reuters ha calcolato che Mosca ha prestato dal 2006 ad oggi circa 17 miliardi di dollari a Caracas. La compagnia petrolifera russa Rosneft ha però enormi interessi nell’industria petrolifera venezuelana: Psdva ha utilizzato il 49,9% delle azioni della sua filiale con sede negli Stati Uniti, Citgo, come prodotto collaterale al suo debito con Rosneft.

Nel dicembre 2018, dopo un incontro bilaterale, Caracas ha annunciato di aver ottenuto investimenti russi per il valore di 5 miliardi di dollari nell’industria petrolifera e di un miliardo quella aurea, congiuntamente all’importazione di 600.000 tonnellate di grano da Mosca.

Non bisogna neppure dimenticare che sia la Russia sia la Cina sono stati partner strategici per l’importazione di armamenti in Venezuela dopo l’embargo sull’esportazione di armi imposto dagli Usa nel 2006.

Stati Uniti: nazionalizzazioni, obbligazioni e soldi
Il Venezuela chávista è stato storicamente una spina nel fianco degli Stati Uniti. Il non-allineamento politico agli Usa delineato da Hugo Chávez ha sempre destato preoccupazioni e timori nelle amministrazioni americane, ma sono state anche le sue scelte di politica economica ad aver creato una frattura tra i due Paesi. Durante la sua presidenza, Chávez ha promosso una serie di nazionalizzazioni di attività di proprietà di imprese americane ed europee in diversi settori dell’economia.

Nel settore petrolifero, per esempio, con una legge approvata nel 2001, il governo venezuelano ha imposto che ogni progetto di sfruttamento petrolifero all’interno del Paese dovesse avere obbligatoriamente la partecipazione azionaria della compagnia petrolifera statale Pdvsa al 60%.

Adottando la nuova normativa nella cosiddetta ‘Orinoco Oil Belt’, il governo venezuelano si è scontrato nel 2007 con due giganti come Exxon Mobil Corp. e ConocoPhillips, che avevano tre progetti vigenti in loco per il valore di 30 miliardi di dollari. Dopo il rifiuto delle due multinazionali di vendere la quota maggioritaria dei tre progetti alla Pdvsa, entrambe le due compagnie hanno dismesso le loro attività nel Paese e chiesto l’arbitrato internazionale per ottenere un risarcimento.

Nel marzo 2017, un tribunale della Banca mondiale ha ordinato al Venezuela di compensare Exxon con 1,4 miliardi di dollari, mentre la ConocoPhilipps ha raggiunto un accordo con il governo di Maduro per un risarcimento di due miliardi. Questi sono solo due dei casi più celebri di dispute che hanno visto contrapposti il governo venezuelano a grandi multinazionali estere.

Non si può neppure dimenticare che tra i maggiori creditori istituzionali del debito venezuelano ci siano i più grandi fondi internazionali tra cui, secondo Reuters, BlackRock, T. Rowe Price Group, Fidelity Investment e Northern Trust Corp. Fece scandalo l’acquisto di obbligazione statali venezuelane – con maturazione al 2022 – per il valore di 2,8 miliardi di dollari da parte della banca americana Goldman Sachs nel 2017, proprio quando il Venezuela era dilaniato da scontri di piazza giornalieri.

Quando si analizzano le dinamiche politiche interne al Venezuela, non bisogna mai dimenticare che ci sono in gioco interessi geopolitici ed economici che influenzano le diverse reazioni internazionali. La domanda adesso è chi tra Maduro e Guaidó riuscirà a fare scacco matto?