Vaticano: Francesco ad Abu Dhabi e il confronto delle civiltà
Se per l’Unione europea è un “ring of fire”, per il Vaticano è un “ring to wire”. Cambia significato, se letta in salsa vaticana, la famosa definizione della macroregione immediatamente esterna ai Paesi dell’Unione europea data da esperti e fautori della Politica di vicinato (Pev), che spazia da Kaliningrad e arriva allo stretto di Gibilterra, passando per il Medio Oriente. Per Bruxelles si tratta di un “cerchio di fuoco”, caratterizzato da instabilità e democrazie al limite – se non oltre – della dittatura. Per la diplomazia petrina è un “cerchio da connettere”, attraverso l’instancabile attività di politica internazionale del sommo pontefice, Francesco.
La prima volta nella Penisola arabica
Da domenica 3 a martedì 5 febbraio, il Papa ha fatto visita ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti (Eau). Va da sé che il viaggio di Francesco è il primo di un capo della Chiesa cattolica nel Paese della Penisola arabica. Occasione, per la Santa Sede, di allargare ulteriormente il proprio raggio d’azione, continuare il dialogo ormai costante con il mondo islamico e far sentire la propria vicinanza allo Yemen, dilaniato dal conflitto che dura ormai da quattro anni e nel quale proprio gli Eau sono fortemente coinvolti.
Il fatto che la petromonarchia di Abu Dhabi sia legata a doppio filo agli eventi yemeniti ha attirato sul Papa numerose critiche, secondo le quali la visita sarebbe una sorta di operazione cosmetica da parte degli Eau volta ad alleggerire la posizione del Paese. La strategia di Francesco nei confronti degli Stati spesso oggetto di riprovazioni a livello internazionale, però, è chiara: occorre dialogare, andare incontro alle persone e dar vita a dei processi che durino nel tempo. Le condanne vuote, dettate dal momento e utili a guadagnare consenso immediato, non fanno parte della “geopolitica dello spirito” di papa Bergoglio.
Il lungo percorso del dialogo interreligioso
Tappa fondamentale del viaggio di Francesco è stata al Founder’s Memorial, dove il Papa ha preso parte alla Conferenza globale sulla fratellanza umana. Questo appuntamento, organizzato dal Muslim Council of Elders (Mce), è il naturale proseguimento della visita del pontefice in Egitto, due anni fa. In quell’occasione, Francesco, nel cuore culturale dell’Islam sunnita – ovvero l’università al-Azhar del Cairo – aveva parlato di un unico Dio e della necessità di avviare un percorso condiviso tra le grandi religioni del mondo per arrivare alla pace e alla fratellanza tra i popoli.
Nuovamente di fronte all’imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, il Papa ha insistito sul valore del dialogo interreligioso, fondato sul reciproco rispetto e sul riconoscimento dell’altro come soggetto che gode di pari diritti. Secondo Francesco, obiettivo del credente è quello di impegnarsi “per la pari dignità di tutti”, nel nome di Dio, “nel cui nome va cercata la composizione dei contrasti e la fraternità nella diversità”.
Dialogo interreligioso come legame, appunto. Come collante tra Europa – e, in senso lato, Occidente – e Oriente. Da “ring of fire” a “ring to wire”. Non solo dunque un significato filosofico e teologico, ma anche puramente geopolitico: il confronto tra civiltà è la strada da seguire per papa Francesco. Altrimenti, lo scontro tra civiltà sarà inevitabile.
Da Panama agli Emirati, con la guerra dietro l’angolo
In linea d’aria, Abu Dhabi e Sana’a, capitale dello Yemen, sono separate da poco meno di 1500 chilometri. Un soffio, in una penisola che si estende per più di tre milioni di chilometri quadrati. Proprio come Panamá, capitale dell’omonimo Stato centroamericano, che si trova all’incirca alla stessa distanza da Caracas. In poco meno di due settimane, Francesco si è trovato a due passi da due Paesi in crisi. Se il Venezuela, fortunatamente, è ancora lontano da uno stato di guerra civile, così non è per lo Yemen.
Dal 2015, gli insorti huthi combattono contro il governo riconosciuto internazionalmente. A fianco di quest’ultimo si è schierata la coalizione guidata dall’Arabia saudita, alla quale partecipano anche gli Emirati Arabi Uniti. Per questo, durante la sua visita, Francesco ha ribadito l’importanza della concertazione multilaterale e la necessità di arrivare a soluzioni pacifiche, soprattutto per dar sollievo alla popolazione civile, spesso vittima principale del conflitto yemenita.
Come detto, molti osservatori internazionali hanno criticato la visita del pontefice. Più per l’uso che può farne il governo emiratino, che per il viaggio apostolico in sé. Del resto, però, per la politica estera di Francesco il dialogo rimane elemento imprescindibile per raggiungere l’obiettivo della pace globale. Un traguardo apparentemente irraggiungibile. Ma la logica della Santa Sede non è quella degli altri Stati.
Il tempo, ha spiegato Francesco nella Evangelii Gaudium, è superiore allo spazio. Avviare processi di cui probabilmente il Papa non vedrà i frutti è cifra della geopolitica bergogliana. Forse, per lo Yemen, questo potrebbe essere l’inizio.
Foto di copertina © Gehad Hamdy/DPA via ZUMA Press