Usa: gli effetti dell’accordo sui migranti col Messico
Gli Stati Uniti hanno iniziato a rimandare i richiedenti asilo in Messico grazie a un nuovo accordo bilaterale che potrebbe rivoluzionare le politiche americane sui migranti. I Migrant Protection Protocols, annunciati lo scorso 20 dicembre, ma entrati in vigore solo pochi giorni fa, prevedono che i migranti che presentano una richiesta di asilo negli Stati Uniti attendano in Messico – e non più in territorio americano – per il tempo di valutazione della loro domanda.
Un tentativo di rendere il sistema di asilo più gestibile
I richiedenti asilo potranno entrare negli Stati Uniti solo per presentarsi davanti al tribunale dell’immigrazione: se la loro domanda verrà accolta, resteranno negli Usa, altrimenti saranno deportati nei loro Paesi d’origine. Visto l’intasamento dei tribunali statunitensi, con 800.000 richieste di asilo arretrate da esaminare, questo periodo di permanenza in Messico potrebbe durare anche mesi o anni.
Il piano punta a diminuire la pressione sulla frontiera americana, ma soprattutto sul sistema dell’immigrazione, congestionato dalle tante richieste di asilo e incapace di gestire l’afflusso di famiglie provenienti dal Centro America. Per il momento l’iniziativa è limitata al porto di entrata di San Ysidro, in California – che collega San Diego a Tijuana – e si applica unicamente agli adulti, ma il Washington Post scrive che l’amministrazione Trump ha intenzione di estenderla “molto presto” anche ai genitori con bambini.
I centroamericani che bussano alla frontiera
La situazione generale alla frontiera è complessa da riassumere. Il confine meridionale degli Stati Uniti, ben sorvegliato da agenti e sensori, è difficile da superare; e infatti gli arresti di migranti irregolari sono a livelli bassi se confrontati con i numeri dei decenni passati.
Dall’anno fiscale 1995 all’anno fiscale 2001 gli immigrati fermati alla frontiera sud hanno sempre superato il milione o anche il milione e mezzo. Nell’anno fiscale 2018 ci sono stati circa 396.000 arresti, una cifra tutto sommato in linea con l’ultimo lustro, ma superiore rispetto al 2017, anno atipico in cui si è toccato il minimo storico dal 1971.
Oggi la maggior parte dei migranti che tentano l’ingresso negli Stati Uniti non proviene dal Messico, ma dal Triangolo del nord dell’America centrale (Guatemala, Honduras, El Salvador) e viaggia in nuclei familiari con bambini, formando spesso delle ‘carovane’. A dicembre la polizia di frontiera ha fermato 27.518 famiglie, un record.
Questi migranti scelgono di non attraversare illegalmente il confine per entrare negli Usa, ma di presentarsi ai porti di entrata facendo domanda di protezione. Nel 2018, gli Stati Uniti hanno ricevuto circa 93.000 richieste di asilo provenienti dal confine meridionale, un aumento del 67% rispetto all’anno precedente. Solo pochi centroamericani si vedono però riconosciuta la protezione, viste anche le restrizioni introdotte dall’amministrazione Trump.
La fine del ‘Catch and release’?
Le politiche americane sull’immigrazione permettono ai richiedenti asilo – a quelli in grado di dimostrare di essere in pericolo nel loro Paese d’origine – di evitare la deportazione immediata e di vivere negli Stati Uniti per tutto il periodo di valutazione della loro domanda. Un periodo che, data la lentezza e la saturazione del sistema, può durare anche qualche anno, durante il quale gli immigrati possono lavorare e guadagnare.
È il cosiddetto sistema del Catch and Release (‘Cattura e rilascia’), che il presidente Donald Trump ha sempre criticato molto e che adesso, attraverso il nuovo accordo con il Messico, potrebbe rivoluzionare almeno in parte. È possibile però che anche i Migrant Protection Protocols, così come già altri programmi sull’immigrazione, possano essere sospesi dai giudici.
La posizione del Messico
L’accordo sui migranti viene visto come una notevole concessione a Trump da parte del nuovo presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, insediatosi lo scorso 1 dicembre. López Obrador è un nazionalista di sinistra e si credeva potesse scontrarsi duramente con la Casa Bianca, mentre i rapporti tra i due presidenti sono al momento molto cordiali. Pur di evitare contrasti, il presidente messicano ha anche smesso di pronunciarsi sul muro che Trump vorrebbe costruire lungo il confine.
L’amministrazione López Obrador ha promesso un approccio più umanitario nei confronti dell’immigrazione e ha fatto sapere che accoglierà i profughi centroamericani per conto degli Stati Uniti, rifiutandosi solo nei casi di persone particolarmente vulnerabili.
Al momento però, le città di frontiera come Tijuana o Reynosa non sono attrezzate per ospitare grandi quantità di migranti per lunghi periodi di tempo. Il governo di Città del Messico ha detto che non fornirà strutture né cibo, ma dovrà provvedere al loro inserimento nel mercato del lavoro.
Poca volontà di agire sulle cause strutturali delle migrazioni
L’accordo migratorio con gli Stati Uniti scarica l’onere dell’accoglienza sul Messico, che non è chiaro cosa abbia ottenuto in cambio. A dicembre, solo un paio di giorni prima del comunicato sui Migrant Protection Protocols, l’amministrazione messicana aveva annunciato un programma di aiuti economici per l’America centrale e il Messico meridionale da 10,6 miliardi di dollari, da realizzare con la partecipazione economica degli Stati Uniti.
L’obiettivo ultimo del piano è quello di risolvere alla radice le cause dell’emigrazione, rafforzando delle economie della regione.Come spiegava però una corrispondenza da Washington del quotidiano messicano Reforma, il piano di investimenti è in sostanza una riproposizione di aiuti americani già esistenti.
Parte dei finanziamenti proverranno inoltre da fondi privati, che difficilmente accetteranno di investire nel rafforzamento della sicurezza pubblica o nello sviluppo delle campagne centroamericane per mirare alle cause delle migrazioni verso nord. I risultati, qualunque saranno, si renderanno visibili solo nel medio-lungo periodo.