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Circolo di Studi diplomatici

Sviluppo sostenibile: verso una riforma della globalizzazione

20 Feb 2019 - Giovan Battista Verderame - Giovan Battista Verderame

Riceviamo e volentieri pubblichiamo una sintesi, a cura dell’ambasciatore Giovan Battista Verderame, del Dialogo diplomatico ‘Gli assetti del commercio globale e della mondializzazione nella prospettiva dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile’, svoltosi il 17 dicembre 2018 e organizzato dal Circolo di Studi diplomatici con la partecipazione del professor Enrico Giovannini, docente presso il Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università di Tor Vergata e portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, e del ministro plenipotenziario Alessandro Modiano, direttore centrale per le questioni globali della Direzione Generale Mondializzazione e questioni globali. L’incontro precedente del Circolo di Studi diplomatici, svoltosi il 20 novembre, era invece un convegno dal titolo ‘Sviluppi della difesa europea nel contesto geopolitico internazionale’, con due panel dedicati rispettivamente alla geopolitica e all’industria tecnologica dell’Unione Europea.

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La globalizzazione e le dinamiche del commercio mondiale che la caratterizzano sono state un potente fattore di sviluppo economico, nel quale la mancanza di adeguate regole e le diverse condizioni dei Paesi coinvolti hanno tuttavia consentito fenomeni distorsivi con effetti destabilizzanti sui piani sociale e politico.

La tutela della libertà degli scambi convive infatti con la necessità di assicurare a livello globale una sufficiente parità di condizioni, facendo fronte a pratiche di dumping sociale, ambientale e fiscale, di non rispetto della proprietà intellettuale e di aiuti di Stato o comunque di distorsione della concorrenza che ne alterano gli equilibri.

La necessità di regolamentare la globalizzazione
Da questo punto di vista, il messaggio politico venuto dal G20 di Buenos Aires circa la volontà dei responsabili delle principali economie mondiali di riformare l’Organizzazione mondiale del commercio per eliminare le zone grigie dell’attuale regolamentazione va visto come un passaggio necessario di un percorso con l’obiettivo di rendere sempre meno giustificabile il ricorso a pratiche protezionistiche di qualsiasi tipo.

La globalizzazione, che ha fatto uscire dalla povertà molte centinaia di milioni di abitanti del pianeta e che ha consentito a intere regioni di avviare consistenti processi di crescita economica, richiede di essere governata perché i suoi effetti si possano esplicare in maniera equilibrata e potenzialmente positiva per tutti gli attori che vi concorrono.

Purtroppo finora questo non è avvenuto. Sarebbero state necessarie politiche appropriate, volte in alcuni casi a orientare lo sviluppo e in altri a contrastarne gli effetti negativi sul piano ambientale, economico e sociale. Ma queste politiche non sono state proposte con la dovuta determinazione e, se proposte, non sono state condivise da chi avrebbe avuto la responsabilità di realizzarle, spesso per calcoli di convenienza di breve periodo.

La globalizzazione e i suoi limiti
La globalizzazione è stata perseguita dall’Occidente sulla base di una grande ‘missione’: l’allargamento dei mercati per via pacifica e la riduzione dei costi di produzione attraverso la liberalizzazione trasversale degli scambi commerciali e degli investimenti basata su regole che avrebbero dovuto essere valide per tutti. A distanza, il progetto ha rivelato i suoi limiti. Perché il risultato dell’operazione è stato, da una parte, il relativo declino dell’Occidente, e dall’altra il prorompente emergere di un mondo multipolare con potenze concorrenti che spesso esprimono assetti e valori in contrasto con quelli occidentali.

Al tempo stesso, come conseguenza di una continua rivoluzione tecnologica non adeguatamente gestita, si è prodotta una spinta verso la marginalità di ampi settori produttivi nei nostri Paesi. Il risultato è rappresentato da declassamento dei ceti medi, aumento delle diseguaglianze, erosione delle protezioni sociali e crescente mobilità delle persone verso gli hub occidentali del benessere alimentata anche da conflitti. Ulteriori conseguenze di una globalizzazione e di una crescita economica mal governate sono anche alterazioni ambientali e cambiamenti climatici.

Ci sono soluzioni a questo stato di cose? Certamente non lo sono alcune ricette, come ad esempio quella della ‘decrescita felice’ o quella di una crescita affidata unicamente alle forze del mercato che ignora, o addirittura nega, le ricadute sulla sostenibilità sociale e ambientale. Né la risposta può consistere nel subire passivamente, quando non favorire, le tendenze alla chiusura autarchica ed alla introversione nazionalistica.

Ma per evitare che queste tendenze finiscano per diventare prevalenti, con il conseguente ulteriore indebolimento, sul piano delle relazioni internazionali, del metodo multilaterale per la ricerca delle soluzioni ai problemi del nostro tempo, occorre prendere coscienza dei movimenti profondi che agitano le nostre società. E va ripensato l’attuale modello di organizzazione dei rapporti all’interno delle nostre società e nelle relazioni delle società fra di loro.

Un nuovo approccio alla globalizzazione: l’Agenda 2030 dell’Onu
Ciò comporta la necessità di un approccio che combini le ragioni della crescita economica con la lotta alla povertà e alle diseguaglianze, con la parità di genere, la tutela della salute, l’istruzione di qualità etc. e che associ l’utilizzo razionale delle risorse mondiali al rilancio del partenariato globale. Tutto con il presupposto che nessuna ricerca di soluzioni può prescindere dalla dimensione globale dei problemi, in un contesto di giustizia sociale e di tutela dei diritti umani in tutte le loro declinazioni.

Ed è in quest’ambito che si pone il problema del metodo attraverso il quale la comunità internazionale possa governare processi di così rilevante complessità, riflessa nel conflitto, oggi particolarmente acuto, fra il multilateralismo – al quale abbiamo finora affidato la ricerca di soluzioni efficaci a livello globale – e la tendenza a risolvere tutto nel quadro di rapporti di forza che si svolgano prevalentemente sul piano bilaterale, incarnata oggi soprattutto dall’Amministrazione statunitense.

C’è poi il tema della sostenibilità dell’attuale modello di sviluppo di fronte allo spettro di risorse non rinnovabili in esaurimento e di una popolazione in crescita in molte aree del mondo, e a quello dei negativi impatti sull’ambiente e sulla biosfera planetaria. Oggi, nella complessità dei nostri modelli economici e sociali, non c’è dimensione che possa essere considerata slegata ed indipendente dalle altre.

È questo il messaggio dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile, che prospetta una risposta affrontando tutti gli aspetti della sostenibilità e della resilienza di un mondo molto complesso. Un mondo scosso dai vantaggi e dalle criticità della globalizzazione e dai suoi effetti, nel cui ambito è necessario aggiornare le regole del commercio internazionale affinché siano coerenti e funzionali rispetto a tutti i 17 obiettivi in essa contenuti e alle loro articolazioni.

Il suo perseguimento, in un indispensabile contesto multilaterale e di ricerca di soluzioni vantaggiose per tutti, costituisce la base ineludibile di politiche e iniziative che si propongano di assicurare all’umanità un futuro di pace e di prosperità inclusivamente distribuita. Un quadro innovativo di politiche pubbliche rispondenti a tali criteri, ha sottolineato il professor Giovannini, dovrebbe essere costruito su cinque parole d’ordine: proteggere, promuovere, preparare, prevenire, trasformare, al fine di poter resistere agli shock che ci attendono e accrescere la resilienza delle nostre società.

E nella definizione e conduzione di tali politiche occorrerà avere come parametri di riferimento non soltanto il prodotto interno lordo, ma anche gli indicatori del benessere equo e sostenibile come adottati dall’Ocse e dall’Istat, alla cui formulazione ha grandemente contribuito lo stesso professor Giovannini.