Migranti: consenso a linea Salvini, radici (e soluzioni) europee
Oggi, la Giunta per le Immunità del Senato si riunisce per decidere in merito al caso Diciotti e alla relativa richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal Tribunale dei Ministri di Catania nei confronti del ministro dell’Interno, Matteo Salvini – una decisione in larga parte svuotata di pathos dall’esito della consultazione interna al M5S, la cui base è contraria all’autorizzazione -. ‘Ministro dell’Interno’, ma soprattutto ‘della Pubblica Sicurezza’: mai un titolo è stato più adeguato per la retorica e la linea politica del suo titolare.
Da quando Salvini ha voluto i porti italiani chiusi alle Ong, si sono susseguiti dibattiti politici e sociali sui vari casi di navi attraccate al largo delle coste italiane con a bordo uomini, donne e bambini in condizioni a volte disperate. La linea dura del ministro, ribadita a ogni possibile sbarco che si profila all’orizzonte, segue una serie di promesse elettorali e la ferma convinzione che l’entrata in Italia di altri migranti, spesso dipinti come violenti, criminali e stupratori, metterebbe a rischio la sicurezza dei cittadini italiani.
I dati italiani sui crimini compiuti da stranieri
Eppure dati statistici dimostrano che le percentuali di stupri e crimini che vedono colpevoli o coinvolti migranti sono molto inferiori a quelli commessi da italiani. Inoltre, fra il 2007 e il 2015 il numero degli stranieri residenti in Italia è passato da circa 3 milioni a poco più di 5, ma nel frattempo, tutti i principali indicatori con cui misuriamo la criminalità sono diminuiti. Il numero delle denunce di delitti – cioè dei reati più gravi – è passato da 2,9 milioni a 2,6. Sono diminuiti gli omicidi, ma anche le rapine e le violenze sessuali, scese dalle quasi cinquemila alle quattromila del 2015. Il numero dei furti è rimasto sostanzialmente invariato.
Di vero c’è che il 70% dei crimini commessi da stranieri hanno come protagonisti immigrati irregolari, ma ciò non toglie che migranti nei centri di accoglienza e adeguatamente integrati non sono inclini a delinquere. Dati alla mano e sorvolando sulla mancanza di un piano di integrazione efficiente in Italia – che risolverebbe il problema dell’irregolarità e criminalità più della chiusura dei porti – si evince che non è la sicurezza individuale o nazionale ad essere messa a repentaglio dalle migrazioni. E’ quindi lecito pensare che Salvini si appelli ad un altro concetto di sicurezza: la sicurezza civile.
L’evoluzione del concetto di sicurezza
Studi di sicurezza internazionale hanno rilevato un cambiamento del concetto di sicurezza dalla fine della Guerra Fredda. Negli Anni 90, infatti, il concetto si distacca dall’aspetto puramente militare e legato alla sopravvivenza dello Stato per permeare diversi strati della società e diversi temi sociali. Lo Stato non è più considerato responsabile unicamente della sopravvivenza istituzionale della collettività e della protezione dei confini nazionali, ma anche della sopravvivenza della persona singola. Il successo dell’azione di sicurezza si basa sulla percezione di quest’ultima da parte della popolazione, che è sempre condizionata dal contesto interno e globale e legata intrinsecamente con il concetto di identità collettiva.
Identità così cara e effimera che a partire dagli Anni 80 è stata sempre più esposta ai processi di globalizzazione ed europeizzazione. Questi, fondati su valori comuni e condivisione, contribuiscono paradossalmente a un sentimento di destrutturazione e perdita di collettività: improvvisamente i cittadini europei si sono trovati ad essere tutti e nessuno. Senza un’identità nazionali ben definita, ma neanche con una solida identità europea con la quale sostituirla.
L’ansia della perdita d’identità
Già allora si poteva intravedere una progressiva transizione nelle argomentazioni politiche da discorsi sulla classe lavoratrice al ruolo degli immigrati (con relativi valori e religioni diverse) e la connessione con la delinquenza. Il rafforzamento di partiti estremisti con retoriche anti-immigrazione e il loro successo elettorale hanno contribuito alla formulazione della teoria che l’opinione pubblica fosse sensibile a tali argomenti, portando i partiti politici a cavalcare l’onda ‘dell’etnicizzazione’ di problemi urbani e sociali.
All’epoca, inoltre, la situazione nel Medio Oriente inflazionò il clima di ansia e concentrò l’attenzione mediatica e politica sugli immigrati dai Paesi arabi, stabilendo una connessione forte e duratura tra flussi migratori e crimini che in realtà affondava le sue radici nel sentimento di insicurezza sociologica dato dalla progressiva perdita di identità combinata con l’aumento di stranieri sui suoli nazionali. I cittadini si sentivano insicuri e minacciati non tanto dai flussi migratori, quanto dalla conseguente perdita ulteriore di identità collettiva. Il bisogno di ritrovare una dimensione comune porta dunque alla chiusura ed esclusione di ciò che non si riconosce come appartenente ad una già corrosa e debole idea di collettività.
Contraddizioni tra nazionalismi e auspici di soluzione europea
Questo quadro ha un che di inquietante e familiare. Il nesso immigrazione-sicurezza perdura nella politica odierna e sembra aver raggiunto il proprio apice espressivo nella figura del ministro Salvini e nella rete di governi anti-immigrazione dei Paesi dell’Europa dell’Est. Tuttavia, esso si basa anche su un fondamentale discorso identitario e nazionalista, in una cornice anti-europeista che risulta controproducente, in quanto in un contesto simile la reazione di un’Unione europea unita, coesa e pronta è quanto di più auspicabile ci sia sul piatto delle possibili soluzioni.
Salvini non manca di ribadirlo a ogni nave carica di migranti che si affaccia sull’orizzonte mediterraneo siciliano o di Lampedusa, ma il suo discorso è fortemente contraddittorio date le radici sociali e in un certo senso europee di questo clima di insicurezza su cui si basa il suo successo elettorale: lui è al governo perché euro-critico e paladino della sicurezza identitaria italiana, ma è alla ricerca di una soluzione cooperativa a livello europeo.
Gli sguardi critici puntano dunque sull’Europa per soddisfare richieste e aspettative, senza però fornire strumenti adatti alla cooperazione e anzi implementando una politica di chiusura. Non si può certo dire, infatti, che Salvini e il governo giallo-verde abbiano curato e coltivato le relazioni diplomatiche europee e internazionali, contribuendo a un clima di cooperazione nell’Ue. Un’Unione che rimane impotente, vittima di uno stallo apparentemente senza uscita causato dalla mancanza di poteri e volontà politica di quelli stessi sguardi e nel quale un accordo sembra sempre più lontano.
Tuttavia, la situazione odierna è destinata a perdere la connotazione di emergenza per diventare una condizione duratura. Un accordo europeo porrebbe un ‘tappo’, permettendo una riorganizzazione e distribuzione equa degli oneri dei Paesi di frontiera dell’Unione. Ma in quest’ottica la vera soluzione duratura, a lungo termine e più auspicabile ancora per un insieme di aspetti che trascendono la politica d’immigrazione, appare la costruzione dall’interno di una nuova coscienza e identità comune: una collettività europea.