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L'Unifil comandata dall'italiano Del Col

Libano: le sfide per il Paese e per la missione Onu

8 Feb 2019 - Luca Ciampi - Luca Ciampi

Il 31 gennaio, in Libano, il primo ministro S’ad Hariri ha annunciato la formazione del nuovo governo, a conclusione di otto mesi di trattative fra le diverse forze politiche. La tornata elettorale dello scorso maggio ha fatto registrare la perdita di un terzo dei seggi della coalizione sunnita 14 marzo, parte dei quali sono andati a favore di quella sciita 8 marzo, guidata da Hezbollah e Amal e che oggi può contare su 70 seggi dei 128 disponibili.

La presenza dell’Onu in Libano: la lunga storia dell’Unifil
In Libano opera la United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil), per la quale le Nazioni Unite si sono nuovamente affidate ad una guida italiana, nominando ad agosto scorso il generale di divisione Stefano Del Col nella duplice veste di capo della missione e comandante, incarico già ricoperto precedentemente dai generali Graziano, Serra e Portolano.

Unifil trae origine dalle risoluzioni Un425 e Un426 del 1978, emesse a seguito della prima guerra israelo-libanese, ed è stata successivamente prorogata nel 2006, con la Un1701, a causa della ripresa degli scontri. La risoluzione prevede il mantenimento di una forza multinazionale di interposizione schierata nel sud del Libano con l’obiettivo, fra l’altro, di monitorare il cessate il fuoco fra le parti, il rispetto della linea di separazione tracciata (Blue Line) e il disarmo di tutti i gruppi armati irregolari.

L’opera di destabilizzazione di Hezbollah
La ragione del perdurare della missione dipende dalle instabili condizioni di sicurezza all’interno dell’area di operazioni, dovute a due fattori in particolare: i continui scontri fra Hezbollah e Israele lungo il confine e la presenza di profughi palestinesi nel sud del Libano.

Nata durante la prima occupazione israeliana e alleata dell’Iran, la milizia libanese ha saputo ottenere il consenso della popolazione grazie a un’intensa campagna basata su ambiziosi programmi assistenziali a garanzia dei diritti fondamentali come istruzione, sanità, lavoro e sicurezza sociale, affiancata da un’assidua propaganda d’odio contro Israele. Secondo alcuni analisti, oggi rappresenta l’organizzazione militare non statale più potente al mondo, tale da essere chiamata dal 2011 a supportare le forze fedeli al presidente Al Assad nel conflitto civile siriano.

Nonostante la risoluzione dell’Onu, Hezbollah si è sempre rifiutato di consegnare le armi, approfittando della debolezza del governo libanese, che non è stato finora in grado di imporre il pieno rispetto dell’accordo. I suoi arsenali sono stati costanti obiettivi dei raid israeliani, la cui strategia difensiva è volta ad impedire che il gruppo possa acquisire maggiori capacità belliche.

I campi palestinesi, terreno fertile per la jihad
La partecipazione al conflitto siriano ha solamente ampliato l’area degli scontri, includendo la regione di Damasco. Parallelamente, gli insediamenti palestinesi si sono evidenziati per le azioni in supporto alla lotta contro Israele e sono stati responsabili di numerosi lanci di razzi dal sud del Libano.

La situazione nei campi è peggiorata con lo scoppio del conflitto siriano, in quanto si sono trasformati in veri e propri ricettacoli di pericolosi terroristi appartenenti a diversi gruppi jihadisti. Tutti, da Al-Qaeda all’Isis, hanno sfruttato la permeabilità dei confini e il flusso di profughi in fuga per entrare in Libano e trovare rifugio negli insediamenti palestinesi. La loro presenza ha aumentato il pericolo di attentati nell’area dove opera il contingente e causato scontri armati sia all’interno che all’esterno dei campi profughi.

Hezbollah e la fine della guerra in Siria
Con l’accordo di Sochi del 17 settembre fra Russia e Turchia sulla demilitarizzazione dell’ultima enclave ribelle di Idlib, la guerra civile siriana sembrerebbe essere giunta alle battute conclusive. Terminato l’attuale impegno militare, Hezbollah rientrerà in patria considerevolmente ridimensionato a causa delle ingenti risorse investite e dell’elevato numero di caduti che, unitamente ai continui raid israeliani, ne hanno abbassato decisamente il livello di ‘combat power’.

Inoltre, la milizia si troverà ad affrontare  la progressiva perdita di supporto della popolazione, che l’accusa di essere in parte responsabile dell’ingresso dei tanti profughi siriani.Questi ultimi, vendendo la propria mano d’opera a prezzi decisamente inferiori, sono la causa dell’incremento di un già elevato tasso di disoccupazione.

Secondo alcune fonti, la fine del conflitto in Siria potrebbe portare, nel medio-lungo termine, all’inizio di uno scontro più ampio e aspro fra Iran ed Israele nella regione del Golan, con l’assai probabile coinvolgimento del gruppo libanese. Ma, prima di poter sostenere nuovamente le strategie iraniane, è evidente che Hezbollah avrà bisogno di un consistente periodo di ricondizionamento, teso non solo alla riorganizzazione delle proprie forze ma soprattutto alla riconquista del consenso popolare.

Le prossime sfide di Unifil in Libano
Sulla base di tali premesse, il nuovo capo della missione Unifil in Libano dovrà fare fronte a numerose difficoltà connesse al ripiegamento di Hezbollah. Problemi che riguarderanno la sicurezza del Paese, in quanto la volontà della milizia di portare con sé il maggior numero di armi e sistemi d’arma possibile, esponendosi ai raid israeliani, si aggiungerà al già elevato rischio di attentati terroristici.

Ma anche problemi legati alla sicurezza della missione, poiché Hezbollah tenterà di riguadagnare il sostegno della popolazione riproponendo una narrativa consolidata, che accusa il contingente multinazionale di tutelare gli interessi israeliani. Ne consegue che il nuovo comandante sarà chiamato a un’intensa attività:

  • Diplomatica, tesa ad ottenere la piena collaborazione del governo locale per impedire l’ingresso di armamenti e di Israele per evitare rappresaglie che mettano a rischio il contingente.
  • Operativa, incrementando le attività volte a garantire elevate condizioni sicurezza nel sud del Libano e a individuare eventuali nuovi depositi di Hezbollah nell’area di operazioni.
  • Sociale, mirata a mantenere il consenso della popolazione locale – che in passato ha mostrato qualche insofferenza nei confronti del contingente multinazionale – sviluppando strategie efficaci per contrastare la probabile ripresa della campagna propagandistica denigratoria della milizia libanese.