Italia/Francia: finita la crisi, restano i problemi
Il ritorno in Italia dell’ambasciatore di Francia Christian Masset, che ha subito incontrato il presidente Sergio Mattarella recapitandogli un invito ufficiale da parte di Emmanuel Macron a recarsi a Parigi in visita di Stato, chiude formalmente la crisi diplomatica fra i due Paesi.
La visita di Stato rappresenta un messaggio diplomatico molto forte, segno della più alta considerazione formale per il leader e il Paese a cui viene rivolta. Vediamo quindi emergere un canale privilegiato fra le più alte cariche dello Stato francese e italiano, che si muovono per riportare i rapporti fra i due Paesi a una relativa normalità. È stata proprio una telefonata di Sergio Mattarella alla sua controparte francese a sbloccare il ritorno a Roma dell’ambasciatore, a conferma del ruolo chiave svolto dal Quirinale nella gestione di questa crisi.
Un (quasi) cauto ritorno alla normalità
Questo momento diplomatico permette di dare rilievo all’interpretazione del ruolo di presidente da parte di Mattarella, che – pur rimanendo in modo rigoroso nei limiti costituzionali dell’azione presidenziale -, gioca di fatto un ruolo molto importante di indirizzo politico europeista nel contesto attuale.
L’attivismo della presidenza della Repubblica mette anche in luce il contrasto con il governo italiano, fonte della crisi diplomatica fra Parigi e Roma, e caratterizzato da prese di posizioni contraddittorie a seconda dei vari dicasteri.
L’agenda partigiana delle elezioni europee non sembra poter lasciare margini a un ritorno a una normalità sistematica tra Francia e Italia. Un ritorno che andrebbe sancito da un vertice governativo bilaterale, da tenere su invito dell’Italia, visto che l’ultimo si è svolto a Lione nel settembre del 2017, mentre non si è tenuto nel 2018.
Per questo motivo la visita di Stato di Mattarella a Parigi, su iniziativa francese, ha la funzione di riempire lo spazio diplomatico della primavera, lasciando poi al dopo-europee la ripresa in mano dei numerosi dossier bilaterali in sofferenza, che richiederebbero un confronto diretto fra i vari ministeri francesi e italiani.
Difficoltà di comprensione reciproca
L’incepparsi delle relazioni fra Francia e Italia è il segno di una profonda crisi, nella quale osserviamo la crescita dell’ignoranza della cultura e dei meccanismi delle società europee. Il tutto a beneficio di posizioni manichee, aggressive e semplicistiche, rimbalzate sui social network, anche sotto la spinta dell’azione di propaganda esterna, spesso russa, che mira a sfaldare l’unità dell’Europa.
D’altro canto, possiamo anche constatare l’inesorabile erosione dell’apprendimento della lingua francese in Italia e di quella italiana in Francia, ulteriore segno della debolezza della capacità di comprendersi. In parole povere, gli italiani non capiscono più i francesi e viceversa; e questo indebolisce gli anticorpi contro i numerosi teorici del complotto.
La Francia ha sempre avuto una relativa simpatia per l’Italia, anche ignorandone i meccanismi, una sorta di “benevola indifferenza” tuttora presente. L’Italia, invece, è sempre stata molto sensibile alle posizioni francesi, immaginando spesso meccanismi di causalità non corrisposti.
Il fatto che le élite italiane si connettano con il mondo tramite la lingua inglese e la cultura anglo-sassone non aiuta poi a capire la Francia. Questo allontanamento culturale si può anche osservare nell’ambito della produzione cinematografica o audiovisiva, dove sono sparite – anche per motivi di modifiche dei circuiti commerciali – le produzioni franco-italiane che nella seconda parte del secolo scorso avevano creato una grammatica culturale comune. Anche la mancata partecipazione dell’Italia ad Arte, la televisione culturale franco-tedesca, ha rappresentato un’occasione persa da questo punto di vista.
Due Paesi interconnessi, volenti o nolenti
La crisi diplomatica fra Parigi e Roma ha rivelato anche l’intensità e la complessità dei rapporti fra i due Paesi, entrambi membri fondatori dell’Unione europea. Il livello di integrazione è tale che richiede constanti interazioni per aspetti gestionali e regolamentari. Inoltre, la frontiera fra Francia e Italia è diventata un concetto relativo, con l’importanza dei flussi che si muovono in una logica interregionale talmente integrata che diventa difficile, a volte, coglierne la separazione.
Per esempio, la riviera ligure di Ponente è molto integrata con l’area metropolitana di Nizza e la provincia delle Alpes Maritimes, e utilizza la piattaforma dell’aeroporto di Nizza, che offre numerosi collegamenti internazionali, incluse le tre-cinque connessioni quotidiane per Roma.
Questa logica è stata anche espressa nella recente manifestazione organizzata da Christian Estrosi, sindaco di Nizza, a sostegno dell’amicizia franco-italiana, con la partecipazione di amministratori comunali liguri. Una testimonianza del carattere fondamentale dell’integrazione transfrontaliera che mal si concilia con le baruffe intergovernative.
Ma gli stessi riflessi possono osservarsi nella comunità accademica e di ricerca, o nel mondo degli affari franco-italiani, con preoccupazioni sull’asse aziendale Parigi-Milano per una crisi che crea un’atmosfera di sfiducia fra i due governi. Un fattore nocivo per gli affari, anche perché rende complicato l’accompagnamento pubblico di importanti dossier di investimenti comuni, dalla tecnologia alle infrastrutture.
Necessario un ritorno alla cooperazione bilaterale
La crisi dei gilet gialli rappresenta un momento politico delicatissimo, che sta però anche offrendo la possibilità di un rilancio della presidenza Macron: il presidente ritrova infatti legittimità nel contesto del grande dibattito nazionale e di un riformismo passato al vaglio dei territori, ma anche di fronte alla progressiva radicalizzazione del movimento di protesta, in cauda venenum.
Ed è paradossale, ma anche significativo, che il ritiro dell’ambasciatore di Francia sia avvenuto sul tentativo di alleanza politica fra alcuni gilet gialli, oppositori violenti del governo francese, e il Movimento 5 Stelle, rappresentato dal vicepremier italiano Luigi Di Maio.
Questo divario fra funzione governativa e protesta radicale rivela un’integrazione fra spazi politici interni francesi e italiani che richiede meccanismi ulteriori di governance. Già i difficili tentativi di investimenti di società pubbliche in un contesto bilaterale avevano palesato una serie di problemi, come nel caso dell’Opa di Edf su Edison, in quello di Enel su Suez ma anche nel dossier Fincantieri-Stx Naval Group. Operazioni industriali con conseguenze politiche che non potevano essere gestite senza un lavoro bilaterale intergovernativo.
I progressi dell’integrazione europea hanno anche fatto dimenticare la necessità di strutturare la politica con forti relazioni bilaterali. Bisogna augurarsi non soltanto un relativo ritorno alla normalità degli strumenti bilaterali dopo le elezioni europee, ma anche la messa a punto di meccanismi potenziati – sul modello del Trattato franco-tedesco, dopo il rinnovo dell’intesa ad Aquisgrana – necessari per gestire le complesse intensità delle relazioni fra due Paesi, Francia e Italia, profondamente integrati.
Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio ISPI-IAI sulla politica estera italiana