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Iniziativa partita da Basilea

Disarmo: appello degli scienziati dell’Uspid al Parlamento

28 Feb 2019 - Carlo Trezza - Carlo Trezza

Il 31 gennaio scorso, l’Unione degli Scienziati (italiani) per il Disarmo (Uspid) ha portato all’attenzione dei presidenti delle Commissioni Esteri e Difesa dei due rami del Parlamento l’Appello sul disarmo e la sicurezza sostenibile indirizzato ai massimi dirigenti mondiali e lanciato a Basilea il 29 gennaio scorso dall’organismo internazionale   Parlamentari per la non proliferazione e il disarmo nucleare (Parlamentarians for Nuclear Non Proliferation and Disarmament, Pnnd).

L’appello, cui si è associato anche l’organismo internazionale dei Sindaci per la Pace (Mayors for Peace), esprime viva preoccupazione per i rischi crescenti di una corsa agli armamenti nucleari, con riferimento in primo luogo al territorio europeo con particolare attenzione al Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), da cui il presidente Trump ha recentemente annunciato il ritiro.

L’impatto storico degli scienziati sugli armamenti e il loro controllo
L’iniziativa degli scienziati italiani si pone nel quadro più ampio del ruolo e delle responsabilità che gli scienziati portano nel settore degli armamenti e del loro controllo. Non è necessario scomodare Archimede e gli ‘specchi ustorii’ da lui inventati per incendiare le navi romane durante l’assedio di Siracusa o ricordare le macchine da guerra di Leonardo per dimostrare il legame antico tra il mondo degli armamenti e quello della scienza.

In un passato meno remoto, gli americani mobilitarono migliaia di scienziati per essere i primi a produrre l’arma atomica nel 1945. Dopo quattro anni, furono raggiunti dai sovietici, dando così origine a una corsa agli armamenti nucleari che non è mai cessata. Fermo restando che la responsabilità primaria per la produzione e l’uso dell’arma nucleare è politica, gli scienziati nucleari furono i primi a rendersi conto delle implicazioni morali che ricadevano anche su di loro per aver contribuito alle prime esplosioni nucleari.

Sin dal 1945, alcuni fisici americani che avevano lavorato per il progetto Manhattan iniziarono a pubblicare il ‘Bulletin of Atomic Scientists’ e lanciarono il Doomsday Clock, l’orologio simbolico che segna i minuti che distano da un’apocalisse nucleare. Oggi indica una vicinanza all’apocalisse pari a quella dei tempi più cupi della Guerra Fredda. Gli scienziati del Mit di Boston costituirono a loro volta nel 1968 la Union of Concerned Scientists, l’Unione degli scienziati preoccupati.

Le responsabilità dell’America e il fattore Obama
Il concetto che sull’America, primo e unico Paese ad aver impiegato l’arma nucleare, ricadessero particolari responsabilità fu riconosciuto dal presidente Obama nel suo storico discorso di Praga del 2009, cui seguì nel 2016 una sua vista, senza precedenti, al sacrario di Hiroshima.

A livello internazionale, molto significativa fu la creazione nel 1957 del movimento Pugwash Conferences on Science and World Affairs, che prese il nome dalla località canadese dove si riunirono inizialmente scienziati dei due lati della cortina di ferro, che affrontarono congiuntamente, nonostante le divergenze ideologiche, i problemi della sicurezza internazionale e della corsa agli armamenti.

Nel 1995 alle Conferenze Pugwash, originariamente ispirate da un manifesto di due eminenti scienziati come Albert Einstein e Bertrand Russell, fu conferito il premio Nobel per la Pace.

Sono numerosi oggi gli scienziati che si dedicano direttamente al controllo degli armamenti. Essi lavorano in prevalenza presso organizzazioni internazionali. A Vienna, il Comprehensive Test Ban Treaty Organization (Ctbto) li impiega per progettare sofisticati sensori in grado di distinguere le esplosioni nucleari da altri eventi sismici e a rilevare nell’atmosfera particelle e radiazioni indicative di un test nucleare.

Sempre a Vienna, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea) dispone di laboratori, apparecchiature e squadre di esperti capaci di individuare la diversione di materiali nucleari da scopi civili a quelli militari. Di analoghe sofisticate strutture dispone all’Aja l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche (Opac).

Disparità tra quanti lavorano e quanti remano contro
Non tutti gli scienziati lavorano per ridurre il rischio nucleare. È noto il caso di A.Q. Khan, che approfittò degli anni di servizio presso il consorzio europeo Urenco per appropriarsi della tecnologia di arricchimento dell’uranio che permise al proprio Paese, il Pakistan, di lanciare il suo programma militare nucleare.

Resta comunque inalterata a livello internazionale la tradizionale inferiorità numerica degli scienziati e accademici impegnati nel settore della riduzione e del controllo degli armamenti rispetto ai colleghi che lavorano per la produzione delle armi. Analoga disparità sussiste tra le potenti lobby industriali/militari rispetto a quelle dei gruppi che mirano al contenimento della corsa agli armamenti.

Tali disparità sussistono anche in Italia, dove peraltro la comunità scientifica, nella scia di eminenti scienziati come Enrico Fermi e Edoardo Amaldi, si è distinta non solo nel campo della ricerca, ma anche in quello del controllo degli armamenti e delle responsabilità della classe scientifica.

Risale al 1982 la creazione dell’Unione degli Scienziati per il Disarmo (Uspid), che persegue l’obiettivo di fornire informazioni e analisi sul controllo degli armamenti e disarmo, incluse quelle relative all’impatto ambientale. I suoi membri ritengono che questi compiti siano un imperativo morale e di responsabilità sociale per gli scienziati.

Le origini e il ruolo dell’Uspid
La costituzione dell’Uspid avvenne in concomitanza con il dibattito in Italia sugli euromissili e della negoziazione del Trattato Inf. Da allora, l’Uspid ha mantenuto vivo il dibattito in Italia su tali temi, impegnando anche la classe politica e gli opinion maker italiani. Dal 1985 essa organizza, con cadenza biennale, un convegno internazionale a Castiglioncello che è divenuto un evento di riferimento per la comunità del controllo delle armi. La sua prossima edizione si terrà in ottobre.

Di recente, oltre all’iniziativa già menzionata presso il Parlamento italiano, l’Uspid ha chiesto al Governo di confermare l’effettiva rimozione dell’uranio altamente arricchito e del plutonio ancora presenti in territorio italiano. Nel 2017 si adoperò affinché l’Italia e i Paesi Nato partecipassero al negoziato Onu sul Trattato sulla proibizione delle armi nucleari.

All’ azione dell’Uspid si affiancano rispettivamente a Pisa e a Bari il Centro interdisciplinare di scienze per la pace (Cisp) e il Centro interdipartimentale di ricerca per la pace (Cirp).

Anche il movimento Pugwash ha posto radici in Italia grazie ai professori Francesco Calogero e Paolo Cotta Ramusino, i quali, in qualità di segretari generali, si sono alternati alla guida negli ultimi decenni. Il primo ricevette a nome di Pugwash il Premio Nobel per la Pace nel 1995: il secondo, quale attuale segretario generale, si prodiga nella soluzione delle varie situazioni di crisi in cui è attiva la sua organizzazione.

Nell’ambito Pugwash si inserisce anche l’attività didattica svolta da oltre cinquant’anni, soprattutto in Italia, dalla International school on disarmament and research on conflicts (Isodarco), un riconosciuto centro internazionale di formazione nel campo delle armi nucleari diretto dal professor Carlo Schaerf dell’Università di Roma Tor Vergata.

Nel 2010, cinque eminenti personalità italiane (Francesco Calogero, Massimo D’Alema, Arturo Parisi, Gianfranco Fini e Giorgio La Malfa), in analogia con quanto fatto dai rappresentanti di Paesi delle due sponde dell’Atlantico, si espressero pubblicamente a favore di un mondo privo di armi nucleari. I cinque furono anche tra i fondatori, insieme a Federica Mogherini, del Gruppo italiano della rete dell’European Leadership Network (Eln), un think tank con sede a Londra composto da eminenti leader europei che promuovono la sicurezza in Europa attraverso il dialogo, l’analisi e il controllo degli armamenti.

La dimensione europea e le latitanze italiane
Il quadro prospettato non sarebbe completo senza un riferimento alla sua dimensione europea, alla quale l’Italia partecipa attivamente attraverso enti non governativi del nostro Paese. Nel 2010 il Consiglio europeo adottò la decisione di costituire un European Non-Proliferation and Disarmament Consortium (Enpdc), con il compito di promuovere a livello accademico e di ricerca politico/scientifica l’applicazione delle strategie dell’Ue nel campo della non-proliferazione e del disarmo.

Fa parte di questo Consorzio una rete di oltre 60 think tank europei, tra cui quelli italiani già citati e altri ancora, appartenenti al nostro mondo scientifico, accademico e delle organizzazioni non governative, attivi nel settore del controllo degli armamenti e nella ricerca della pace. Dal 2018 l’Istituto per gli Affari Internazionali è stato incluso nella ristretta cerchia dei sei istituti europei che guidano il Consorzio e coordinano la rete dei 60 centri europei che ne sono parte.

Nel suo insieme, la consistenza di questi istituti e gruppi italiani è assai significativa. Ciononostante, non è facile per loro l’accesso al mondo politico. È stato già notato in altri articoli su AffarInternazionali che il tema del controllo degli armamenti non è menzionato nel contratto di governo dell’attuale maggioranza alla guida del Paese.

Tale carenza si riscontra anche a livello parlamentare: nessuno dei nostri legislatori ha sinora sottoscritto il citato Appello di Basilea dei parlamentari internazionali. Tra i sindaci, lo ha sottoscritto in Italia solo quello del Comune di Collebeato (provincia di Brescia, 4.600 abitanti), mentre i sindaci dei grandi centri non si lasciano evidentemente impressionare dalle ultimissime minacce nucleari di Putin nei confronti delle grandi città europee che ospitano centri decisionali strategici.

In un mondo ideale, la politica dovrebbe essere demandeur nei confronti del mondo scientifico e dell’accademia. Nella realtà succede il contrario: sono quest’ultimi a incoraggiare le forze politiche a prendere coscienza dei rischi connessi con la corsa agli armamenti e a spronarli a prendere posizione in questo campo.