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Mancato rispetto impegni Nato

Difesa: spesa militare italiana all’1%, scherzando col fuoco

16 Feb 2019 - Michele Nones - Michele Nones

L’Italia è da sempre fra i Paesi Nato che spendono di meno per la difesa. La ragione principale va probabilmente ricondotta alla mancanza o, per lo meno, alla scarsa cultura della difesa e della sicurezza nel nostro Paese. Durante la Guerra Fredda una parte significativa della nostra opinione pubblica era convinta che la reciproca deterrenza fra Nato e Patto di Varsavia, insieme all’ombrello nucleare americano, avesse definitivamente allontanato rischi e minacce nei nostri confronti. Successivamente, l’implosione dell’Urss e delle sue alleanze ha continuato a favorire questo atteggiamento, alimentato anche dall’area pacifista, molto radicata nel mondo cattolico e in quello della ‘sinistra’, oltre che in quello sindacale.

È solo con l’attacco terroristico dell’11 Settembre 2001 e con l’intervento in Afghanistan che è un po’ cresciuta la consapevolezza che la nostra sicurezza non era scontata e che per tutelarla bisognava impegnarsi insieme ai nostri alleati per stabilizzare le aree di crisi dove si organizzava il terrorismo islamico e, nello stesso tempo, rafforzare le nostre capacità di difesa e sicurezza, rendendo più efficienti le nostre Forze Armate. Ma questo non ci ha portato ad accettare che bisogna puntare ad allinearsi con i nostri partner investendo maggiori risorse finanziarie e riformando radicalmente lo strumento militare.

L’impegno in ambito Nato
L’impegno assunto nel vertice della Nato del Galles del settembre 2014 di spendere per la difesa entro il 2024 il 2% del Pil e, al suo interno, il 20% per gli equipaggiamenti è stato disatteso dai Governi Renzi, Gentiloni e adesso Conte, ma con una differenza: i primi due hanno cercato di incrementare il bilancio della Difesa, seppure a livello di centesimi di punto; l’attuale compagine ha deciso di ridurlo già da quest’anno e ancora di più nei prossimi.

A questo si deve poi aggiungere l’evidente disinteresse per ogni reale miglioramento dell’efficienza dello strumento militare attraverso la riduzione della quota destinata al personale che attualmente assorbe il 73% delle spese per la funzione difesa del Bilancio del Ministero, dopo essere stata nello scorso decennio intorno al 65%. Questo era, d’altra parte, uno degli obiettivi della riforma proposta dal Libro Bianco del 2015, che è ormai stata abbandonata.

Il criterio della quota di Pil come parametro per misurare le capacità militari di un Paese è sicuramente grossolano, ma è il più semplice e, comunque, è quello che abbiamo concordato in sede Nato. Quando si arriva a metà strada e si è molto in ritardo sul resto del gruppo, è difficile sostenere che le regole sono sbagliate e vanno cambiate.

Le spese per la Cyber-sicurezza
Sperando di poter presentare un risultato migliore, l’attuale ministro della Difesa Elisabetta Trenta ha recentemente proposto di considerare anche le spese per la cyber-sicurezza come spese per la difesa. Ma vi sono tre punti di debolezza:

  • La cyber-difesa è già riconosciuta da tutti come quinta dimensione, dopo quella terrestre, navale, aerea e spaziale. Il vertice Nato di Varsavia del luglio 2016 ha stabilito l’istituzione del comitato sulla difesa cibernetica (cyber defence committee) in seno alla Nato e il rafforzamento dei centri di eccellenza alleati. Tale decisione ha costituito un passo importante verso una maggiormente attenzione della Nato verso settore trasversale come quello cibernetico, che influenza lo sviluppo di gran parte delle odierne e future capacità militari, nonché ovviamente il loro impiego operativo, e oggi vede una intensa attività di sviluppo tecnologico, peraltro trainata dal settore civile. In termini concettuali non si possono confondere cyber-sicurezza e cyber-difesa, esattamente come non si può farlo per il contrasto alle organizzazioni criminali e terroristiche all’interno del territorio nazionale e il contrasto agli insorgenti nelle aree di crisi. La riduzione del confine fra sicurezza e difesa non significa la sua scomparsa e, tanto meno, la nascita di una nuova area indifferenziata. Il concetto di ‘guerra ibrida’ allarga quello di ‘guerra convenzionale’, ma non cancella il termine ‘guerra’. Di qui la necessità di continuare a riconoscere le specificità del mondo della difesa, anche sul piano delle risorse finanziarie che vi vengono assegnate.
  • La cyber-sicurezza è gestita in ogni Paese da strutture civili e in Italia fa capo al Dipartimento per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio che coordina l’attività di tutte le Amministrazioni e organismi coinvolti. La Difesa collabora come in altri campi, ma non è e non deve diventarne la principale componente per un duplice motivo: è un terreno delicatissimo che deve rimanere in ambito civile e interministeriale e, nello stesso tempo, la cyber-difesa deve rimanere appannaggio delle Forze Armate che, per formazione, organizzazione, capacità e mandato istituzionale e costituzionale, ne portano la responsabilità. Il limite della loro collaborazione, anche nel campo della cyber-sicurezza, è dato dall’essere il terzo compito, e non il primo, che prevede che “concorrano alla salvaguardia delle libere istituzioni”. In caso contrario tanto varrebbe affidarne la responsabilità al ministro dell’Interno o, esasperando la pervasività della cyber-sicurezza, al presidente del Consiglio.
  • Quanto ai numeri, è proprio in questo campo che uno vale uno. E, considerando le effettive spese italiane per la difesa (senza gran parte dei Carabinieri e aggiungendo le missioni e il contributo del Ministero dello Sviluppo economico) si può stimare che nel 2018 eravamo all’1,02% del Pil. Se passasse la proposta italiana di considerare anche quelle per la cyber-sicurezza, il nuovo criterio varrebbe per tutti. Se si tiene conto dei minori e più recenti investimenti italiani in questa area, molto probabilmente la distanza dai nostri partner aumenterebbe, invece che diminuire. E, per di più, l’asticella della percentuale sul Pil verrebbe coerentemente alzata in ambito Nato, lasciandoci sempre come fanalino di coda.

Non vi sono, quindi, scorciatoie o giochi di prestigio che consentano di eludere il problema. Gli impegni vanno rispettati se si vuole essere considerati affidabili e la difesa e la sicurezza sono troppo importanti per non essere affrontati con serietà e competenza.