Difesa: la Germania sceglie i caccia europei, non gli F-35
La Germania deve sostituire nei prossimi 5-10 anni fino a 90 velivoli da combattimento Tornado in dotazione alle proprie forze armate, giunti al termine della loro vita operativa. Nella scelta della nuova piattaforma, per un appalto da circa 15 miliardi di euro, Berlino ha deciso di escludere dalla rosa dei finalisti i velivoli F-35 prodotti dalla statunitense Lockeed Martin, a vantaggio dei caccia Eurofigther.
Equipaggiare le proprie forze armate: ratio militare e industriale
La Germania, come la gran parte dei Paesi europei, si trova periodicamente nelle condizioni di ammodernare la propria flotta di velivoli da combattimento. Non farlo equivarrebbe a rinunciare all’aeronautica militare e all’aviazione della marina, e quindi alla capacità di usare le forze armate sia per scopo di deterrenza e difesa – una necessità particolarmente avvertita nell’Europa centro-orientale di fronte all’aggressività russa – sia per partecipare a missioni internazionali di gestione delle crisi e stabilizzazione, siano esse su base nazionale o in ambito Ue, Nato o Onu.
Aerei da combattimento come i Tornado sono rimasti in servizio per oltre 40 anni, come avviene per gli Eurofighter e avverrà per gli F-35, grazie alla possibilità di sostituire e migliorare singole componenti – dal radar ai sensori – mantenendo la stessa piattaforma. C’è però un limite agli ammodernamenti possibili, di fronte ad un’innovazione tecnologica sempre più rapida, per cui ad un certo punto occorre sostituire completamente la macchina con una nuova costruita più in linea lo stato dell’arte tecnologico.
E’ quello che fanno sia i potenziali avversari sia gli alleati europei e nord-americani. Chi non resta al passo con il contesto strategico non è più in grado di né di difendersi né di contribuire alla sicurezza comune e diventa quindi sempre meno sicuro e più irrilevante nei tavoli internazionali. E’ come, metaforicamente, pensare di potere continuare ad utilizzare regolarmente un’auto d’epoca per le proprie esigenze di pendolare.
A fianco della prioritaria ratio militare, per i Paesi industrialmente avanzati vi è un’importante ratio tecnologica-industriale: mantenere la capacità di produrre autonomamente equipaggiamenti avanzati, o per lo meno le principali componenti e tecnologie, in modo da garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e fare sì che gli investimenti nelle difesa abbiano anche un ritorno per l’economia nazionale.
È questo il caso di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia – e in misura minore di Olanda, Polonia, Spagna e Svezia – le cui industrie del settore, sommate, costituiscono la quasi totalità della base tecnologica e industriale della difesa europea. Tanto più che diverse tecnologie, in particolare nel settore aerospaziale, hanno un utilizzo duale ovvero con applicazioni sia civili che militari. Non a caso la principale azienda europea del settore aerospazio e difesa, Airbus, produce tanto aerei di linea che velivoli da combattimento, riuscendo così a competere con giganti americani come Boeing che pure camminano su una gamba civile ed una in divisa.
Entrambi le logiche – militare e industriale – per l’acquisizione di equipaggiamenti complessi hanno tempi lunghi: per i velivoli da combattimento si tratta di mettere in cantiere attività di sviluppo tecnologico che porteranno ai primi velivoli operativi solo nel giro di una quindicina di anni. Non a caso quindi, dal secondo dopoguerra in poi, Stati Uniti, Russia e i maggiori Paesi europei hanno iniziato a progettare i futuri velivoli da combattimento mentre ancora stavano entrando in servizio quelli della generazione precedente.
Berlino preferisce Parigi a Washington
Oggi nel caso tedesco le due ratio, militare e industriale, vanno in direzioni diverse. Militarmente gli F-35 sono più performanti da tutti i punti di vista, dalla bassa osservabilità – la cosiddetta stealthness – alla capacità di scambiare e integrare in tempo reale, e in modo sicuro, una grande massa di dati provenienti da altri nodi della rete, siano essi satelliti, droni o truppe sul terreno – ovvero la capacità net-centric. Gli F-35 sono infatti aerei di 5° generazione, anche per il loro design più recente, mentre i velivoli europei da combattimento o da attacco al suolo – dal Raphale francese al Gripen svedese all’Eurofighter – sono tutti di 4° generazione. A livello industrial,e invece, poiché le aziende tedesche non sono parte del consorzio che sta producendo gli F-35, un loro acquisto da parte di Berlino non avrebbe avuto ritorni significativi, né tecnologici né occupazionali.
La scelta di escludere, per ora, gli F-35 dal futuro della Bundeswher ha dunque premiato la logica industriale rispetto a quella militare, ma è stata soprattutto una scelta politica. Infatti, dal 2017 la Germania sta cooperando con la Francia nel mettere in cantiere un velivolo di 6° generazione – il cosiddetto Future Combat Air System (Fcas) – che nelle ambizioni franco-tedesche dovrebbe essere più avanzato dei Raphale e degli Eurofighter in servizio a Parigi e Berlino, e sostituirli gradualmente dal 2040 in poi. Scartare gli F-35 oggi vuol dire per il governo tedesco dare la priorità all’industria nazionale che lavorerà poi sul Fcas, probabilmente facendo produrre ad Airbus una versione da attacco al suolo dell’Eurofighter, e non legarsi alla tecnologia americana che è malvista dai partner francesi.
La logica politica prevalente è dunque quella di puntare ad un asse franco-tedesco motore della difesa europea, come dimostrato anche dall’altro progetto bilaterale per lo sviluppo della prossima generazione di veicoli blindati, e come sancito al massimo livello politico dal Trattato di Aquisgrana firmato a gennaio dal presidente Macron e dalla cancelliera Merkel. Ca va sans dire che l’approccio del presidente Usa Donald Trump riguardo alle alleanze, all’Ue, e a molti temi strategici per gli alleati europei, ha reso più indigesta politicamente a Berlino l’opzione degli F-35.
La lungimirante scelta italiana ed britannica
Nel caso italiano e britannico invece le due ratio, militare e tecnologica, sono andate di pari passo quando tra la fine degli Anni 90 e l’inizio degli Anni 2000 si è trattato di ammodernare le rispettive flotte di velivoli da combattimento – in particolare per l’Italia gli AMX, gli AV-8B ed i Tornado appunto -. Stante la non volontà tedesca, all’epoca, di investire in un nuovo programma europeo, e le scelte nazionalistiche e unilaterali di Francia e Svezia, sia Londra che Roma hanno deciso con lungimiranza di soddisfare l’esigenza militare di avere il miglior velivolo sulla piazza cercando al tempo stesso un ruolo per le rispettive industrie della difesa nello sviluppo e produzione del medesimo.
Ruolo che oggi vede Leonardo produrre parti importanti degli F-35, in particolare le ali, e assemblare l’intero velivolo nello stabilimento di Cameri, unico esempio di Final Assembly and Check Out (Faco) fuori dagli Stati Uniti. Stabilimento che approvvigiona così sia la aeronautica e marina italiane, sia le forze armate olandesi, con le quali si è costruita una piccola cooperazione europea nel più ampio quadro del programma a guida americana.
La dotazione di Eurofighter, per compiti di difesa aerea, e di F-35, principalmente per l’attacco al suolo, pone l’aeronautica italiana all’avanguardia in Europa, insieme a quella britannica, nel gruppo degli altri dieci Paesi occidentali (dal Canada al Giappone, dalla Norvegia a Israele, passando per Olanda, Danimarca e Belgio) che hanno scelto gli F-35. Dal punto di vista industriale, la partecipazione a entrambe i programmi permette di mantenere sia la visione di insieme sulla produzione di un velivolo da combattimento, sia di avvicinarsi a tecnologie come quelle stealth e net-centric che nessun altro padroneggia in Europa.
Su queste basi, dal punto di vista italiano occorrerà iniziare per tempo a pensare ai futuri velivoli da combattimento per proprie le forze armate, in modo da allineare il più possibile la ratio militare con quella industriale e politica, ed ottenere così un migliore ritorno dell’investimento fatto per gli interessi nazionali.