Cuba: referendum costituzionale nell’isola sospesa
Domenica 24 febbraio, a Cuba si voterà per il referendum sul progetto di una nuova Costituzione, approvato lo scorso 22 dicembre dai 560 deputati dell’Asamblea Nacional del Poder Popular, il Parlamento monocamerale dello Stato caraibico. Il testo che dovrà essere votato è il risultato di circa tre mesi di dibattiti popolari, assemblee e riunioni tenutesi tra il 13 agosto ed il 15 novembre dello scorso anno.
Lo statuto che ne è emerso prevede 229 articoli e potrebbe sostituire la Costituzione promulgata esattamente 43 anni prima, il 24 febbraio 1976 – anche quella volta in seguito a una consultazione referendaria che vide i sì raggiungere oltre il 99%. Secondo le previsioni, stavolta l’opposizione potrebbe raggiungere un quarto dei consensi: numeri mai visti prima in un’elezione sull’isola.
Da Fidel a Miguel
La Carta costituzionale in vigore aveva conosciuto riforme importanti già nel 1992, quando per via parlamentare furono apportate modifiche relative alle garanzie sugli investimenti stranieri, alla flessibilità commerciale e si decise di introdurre principio di laicità al posto dell’ateismo di Stato. Il nuovo progetto costituzionale viene presentato però al culmine di un periodo del tutto particolare per l’isola. Il governo cubano è riuscito a gestire e dirigere la transizione politica, evitando drammatici stravolgimenti, dalla morte di Fidel Castro alla successione di suo fratello Raùl fino alla designazione, un anno fa, di Miguel Diaz-Canel alla presidenza. Aspetto non trascurabile alla luce dell’odierna crisi venezuelana e di quella nicaraguense. E il Partito comunista cubano è riuscito nel suo intento di proporre un cambiamento all’insegna della continuità. Così Cuba si riconferma ancora una volta l’isola dei paradossi possibili.
Certo, non si potrebbe parlare di segnali reali di cambiamento senza grosse riserve. La riforma costituzionale non implica infatti sostanziali modifiche a livello politico. Il Partito comunista cubano conserva la sua posizione alla guida dello “Stato socialista di diritto” e viene riconfermato il riferimento al comunismo come “garanzia” per il raggiungimento della “piena dignità” per l’essere umano. Il principale obiettivo di Cuba resta sulla carta costituzionale l’avanzamento verso “la società comunista”.
Il contenuto della riforma
I mandati presidenziali vengono ridotti a due cicli da cinque anni ma la proposta di un’elezione diretta del presidente della Repubblica non è stata accettata e resterà prerogativa del Parlamento. Tra le questioni più discusse restano quelle relative all’articolo 68 che avrebbe dovuto riconoscere il matrimonio egualitario, consentendo esplicitamente le unioni gay, ma che è stato eliminato a seguito delle proteste del mondo cattolico ed evangelista. Ancora una volta, un Paese latinoamericano paga l’influente eredità culturale della dominazione cristiano-spagnola. Nonché l’intromissione politica delle Chiese evangeliche, che sta diventando una costante della società americana contemporanea. Sul matrimonio egualitario deciderà il nuovo codice di famiglia, in discussione da più di dieci anni: la scelta di omettere riferimenti in Costituzione ha il sapore di un’importante occasione persa.
Altra questione nodale era quella sulla proprietà privata. Parte delle riforme promosse nella nuova Carta costituzionale prevedono il riconoscimento della proprietà privata, ma è stabilito che dei regolamenti statali determineranno secondo i singoli casi quanti beni si possano accumulare. Il Partito comunista si riserva peraltro il controllo sulle attività economiche private e riaccende la questione con i cuentapropistas, i lavoratori autonomi che oggi sono quasi 600.000 e rappresentano uno dei settori più attivi e redditizi dell’economia nazionale. Si pensi, per esempio, ai tassisti privati che hanno scioperato non molto tempo fa contro i limiti alla professione imposti dal governo.
L’opposizione degli Stati americani
Le questioni politiche cubane però non sono mai semplicemente questioni interne e difficilmente restano nei poco più che 110 mila chilometri quadrati dell’isola. È così da quando nel 1959 trionfò quella rivoluzione che avrebbe portato il piccolo Stato dei Caraibi ad avere un ruolo decisivo nel mondo moderno. Ad oggi che la polarizzazione politica internazionale torna ad acuirsi, Cuba suscita nuovamente l’interesse di forze politiche e governi al di là dei propri confini.
Si riaccendono, così, vecchie rivalità regionali, come quelle tra L’Avana e l’Organizzazione degli Stati americani (Osa), la cui segreteria generale ha espresso contrarietà rispetto al referendum costituzionale cubano, definito da Christopher Hernández, rappresentante del segretario generale Luis Almagro, come un tentativo per mascherare agli occhi della comunità internazionale la prosecuzione di un regime dittatoriale.
E proprio l’Osa ha voluto disaminare la nuova Carta costituzionale cubana in occasione di un’apposita conferenza, invocando la Carta democratica interamericana, strumento giuridico approvato nel 2001 per la promozione della democrazia. Un vero e proprio affondo che sembra un’ingerenza in questioni politiche interne a Cuba. Una disputa che si riaccende e che risale al 1962 anno in cui la OSA decise l’espulsione de L’Avana all’indomani dell’invasione alla Baia dei Porci e l’adesione di Cuba al movimento dei Paesi non allineati. Sebbene nel 2009 la Osa abbia ritirato la sospensione di Cuba, il governo cubano non ha fatto ritorno nell’organismo regionale interamericano. A Cuba passato e presente si intrecciano da sempre. E nel futuro cubano sembra prospettarsi la possibilità di un rinnovato isolamento diplomatico.
Nuove tensioni regionali
Dopo la storica riapertura dell’ambasciata statunitense quando la presidenza Obama giungeva al termine, gli ultimi anni hanno visto deteriorarsi nuovamente i rapporti con la Washington dell’amministrazione Trump; mentre ad aggravare la posizione del Paese caraibico nello scacchiere internazionale è la crisi in Venezuela. Cuba ha deciso di schierarsi apertamente in favore del governo di Nicolás Maduro, denunciando la pianificazione di un’operazione militare in Venezuela da parte degli Stati Uniti.
La crisi del governo di Caracas ha inoltre un forte impatto sull’economia cubana. La repubblica bolivariana è infatti partner economico importantissimo per l’isola, che ne acquista a prezzo assolutamente conveniente il greggio in base all’Accordo integrale di cooperazione tra Cuba e Venezuela stipulato da Fidel Castro e Hugo Chávez, più volte riconfermato ed ampliato nel corso degli anni. Se il governo di Maduro dovesse cadere, Cuba potrebbe rivolgersi al Messico di Manuel López Obrador per la fornitura di greggio, ma sicuramente non ai termini vantaggiosi garantiti dal Venezuela.
Oggi L’Avana sembra di nuovo sola ad affrontare la “Corrente del Golfo”, come quel pescatore cubano di cui racconta Hemingway nell’incipit de Il vecchio ed il mare. L’isola appare in balia di correnti internazionali che sembrano destinate a cambiare.
Foto di copertina © Xinhua via ZUMA Wire