Italia: con l’Europa per contare sulla scena globale
Proviamo per un attimo a prendere le distanze dal frustrante, ripetitivo dibattito che quotidianamente occupa i talk show televisivi e le pagine dei nostri giornali, e guardiamoci intorno per vedere cosa sta succedendo sulla scena internazionale. Vedremo che il mondo che ci circonda è caratterizzato da numerosi fattori di incertezza e di instabilità, che minacciano la nostra sicurezza, il nostro benessere, la qualità delle nostre vite.
Tra Usa, Russia e Cina
Abbiamo a che fare, per la prima volta, con un presidente statunitense imprevedibile, talora contraddittorio, e ossessionato dalla preoccupazione di difendere un presunto interesse nazionale americano. E con un’Amministrazione Usa che non considera più nell’interesse di Washington la difesa di quel sistema multilaterale di gestione dei rapporti internazionali, che gli stessi Stati Uniti hanno contribuito a creare e sostenere. Ci dobbiamo confrontare con quasi quotidiane divergenze con l’America di Trump in materia di commercio internazionale, di cambiamento climatico, di politiche ambientali, di controllo degli arsenali nucleari, di gestione di aree di crisi (Iran, processo di pace israelo-palestinese, tanto per citarne alcune). E non sappiamo neppure più fino a che punto possiamo continuare a fare affidamento sulle garanzie americane in materia di sicurezza.
Dobbiamo fare i conti con un rapporto complicato anche con una Russia di Putin, caratterizzata da una democrazia autocratica e da un sistema di potere fortemente centralizzato, economicamente debole ma che investe massicciamente in programmi di riarmo anche nucleare, sostanzialmente ostile nei confronti di un’Europa unita, che ha violato principi fondamentali del diritto internazionale e mantiene aperto un conflitto in Ucraina con l’obiettivo di riaffermare una propria sfera di influenza.
Ma sappiamo anche che Mosca resta uno dei protagonisti sulla scena internazionale, interlocutore essenziale per la soluzione di crisi regionali e sfide globali; e che continua ad essere per noi un importante partner economico ed energetico.
Siamo chiamati a confrontarci con una Cina che si appresta a diventare la prima potenza economica del globo, e che si presenta come campione del globalismo e del multilateralismo, ma il cui potenziale economico e tecnologico sembra sempre più al servizio di una strategia di penetrazione politico-strategica. Senza contare che lo sterminato mercato interno cinese è ancora difficilmente accessibile, gli investimenti esteri in Cina non sono sufficientemente garantiti da un effettivo level playing field, proprietà intellettuale e trasferimenti di tecnologia non sono adeguatamente protetti, e rilevanti settori dell’economia sono ampiamente sussidiati dallo Stato.
Confini (e dossier) caldi
In Europa sono in molti a temere un serio rischio di ritorno ad un clima di Guerra Fredda, con tutte le conseguenze del caso, considerato lo stato dei rapporti fra Usa e Russia. Dobbiamo registrare focolai di tensioni e instabilità, o conflitti più o meno congelati, ai nostri confini orientali (dall’Ucraina, alla Moldova, al Nagorno Karabakh). E ai nostri confini meridionali, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, abbiamo a che fare con una conflittualità latente fra sciiti e sunniti, con una pericolosa rivalità tra Iran e Arabia Saudita per l’egemonia sulla regione, con la tuttora irrisolta guerra civile in Siria, con il conflitto nello Yemen, con la perdurante incertezza sul futuro della Libia, e con le debolezze strutturali che caratterizzano i maggiori Paesi del Mediterraneo.
E ancor più complicato si presenta il quadro se si pensa alla grandi sfide globali e alle minacce ibride che incombono sulle nostre società: dalla gestione dei flussi migratori al terrorismo internazionale, dal cambiamento climatico alla transizione energetica, dalla non proliferazione delle armi di distruzione di massa, alle minacce cibernetiche, al rapporto con i giganti del web.
Da soli non si va lontano
Se questo è il quadro internazionale, se ne dovrebbe concludere che vagheggiare oggi un ritorno allo “Stato nazione” come quadro di riferimento ottimale per la tutela degli interessi nazionali, è al tempo stesso velleitario, pericoloso e anacronistico. Oggi, infatti, neppure il più grande e ricco dei Paesi europei sarebbe in grado da solo di muoversi con autorevolezza sullo scenario internazionale e confrontarsi da pari con le grandi potenze globali; nessuno Stato europeo da solo sarebbe capace di gestire con successo quei fenomeni complessi che caratterizzano lo scenario internazionale.
Se si parte da queste premesse è inevitabile riconoscere che è solo all’interno di una dimensione europea che potremo difendere meglio i nostri interessi nazionali. A chi critica l’Unione europea, senza peraltro proporre alternative credibili, si dovrebbe ricordare che per l’Italia, media potenza caratterizzata da una modesta capacità di proiezione internazionale, da persistenti debolezze strutturali, e da un’economia fin troppo dipendente dalle esportazioni, non conviene allinearsi su una critica aprioristica e strumentale all’Europa.
Per un Paese come l’Italia, l’Europa conviene perché costituisce un solido quadro di riferimento per la difesa di valori e principi irrinunciabili e non negoziabili che sono alla base della nostra nozione di democrazia, perché la nostra economia ha bisogno di un grande mercato interno su scala continentale e di una moneta comune necessario complemento di questo mercato, ma anche perché il sistema Paese ha bisogno di un quadro di riferimento condiviso che ci metta a disposizione strumenti efficaci per affrontare le complessità della globalizzazione.
Dovremmo però essere capaci di uno “sguardo lungo” che ci consenta di vedere nella dimensione europea una straordinaria opportunità piuttosto che un groviglio di regole e vincoli; un moltiplicatore piuttosto che un limite della nostra sovranità. Un fattore di stabilità e uno spazio in cui affrontare al meglio le sfide di un quadro internazionale in cui singoli Stati di media dimensione, da soli, non sono più in grado di dettare le regole del gioco o di dare risposte soddisfacenti a problemi di crescente complessità.
Per questi motivi dovremmo puntare su un’Europa più unita, più autorevole e magari più solidale come una opportunità per l’Italia, chiarirci le idee su cosa ci aspettiamo dall’Europa, fissare obiettivi realistici e ottenibili, attrezzarci per sostenerli con competenza e credibilità nelle sedi dove si assumono le decisioni, e costruire un sistema di alleanze che corrisponda a verificati interessi nazionali.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Europea.
Foto di copertina © European Union/Xinhua via ZUMA Wire