Giovani in Europa: una generazione in cerca d’identità
Nel 2018, centinaia di migliaia di giovani sono scesi in piazza in tutta Europa, mostrando sensibilità trasversali verso i temi più caldi nel dibattito pubblico europeo. Dalla difesa delle tutele nel mercato del lavoro al diritto all’istruzione, le mobilitazioni hanno toccato diversi Paesi. In Ungheria, come riportato su uno striscione nelle recenti dimostrazioni, “Students & workers unite fight”, gli studenti e i lavoratori lottano insieme contro la cosiddetta ‘legge schiavitù’ e la chiusura della Central European University (Ceu), costretta al trasferimento in Austria. In Francia, nelle scorse settimane, accanto ai gilet jaunes gli studenti liceali hanno protestato contro i tagli alla spesa pubblica destinati alla scuola. Così anche in Italia, dove a ottobre oltre 70 mila hanno manifestato in 50 città. Le marce in favore dell’accoglienza per i richiedenti asilo e per la salvaguardia ambientale hanno scandito, nel corso dell’anno, il carattere solidale e sostenibile delle istanze avanzate dai giovani.
‘Generazioni mobili’ e rischio di squilibri socio-economici
Tuttavia partiti ed istituzioni nazionali sottovalutano, specie nell’Europa mediterranea e orientale, le rimostranze dei cosiddetti millennials – o Generazione Y, i nati tra il 1980 e il 1995 – e centennials – o Generazione Z, nati tra il 1996 e il 2013. Due classi d’età integrate nella mobilità reale del sistema Schengen (1985) e in quella virtuale del World Wide Web (1991), definite, in un rapporto del McKinsey Global Institute del 2016 come “molto più poveri dei loro genitori” per benessere economico personale e patrimonio domestico.
Tutto questo a causa dell’impatto della depressione economica del 2008-2014, che ha causato un aumento delle disparità di reddito nel nucleo familiare rispetto al periodo pre-crisi. Ragionando sulla composizione demografica, sociale ed economica della popolazione giovanile nell’Unione europea di età compresa tra i 15 e i 34 anni, occorre considerare alcuni elementi strutturali:
Fattori demografici: il calo della natalità e l’aumento dell’immigrazione
Secondo le proiezioni del rapporto Eurostat People in the Eu (2017), nell’arco di 30-40 anni si verificherà una stagnazione nella crescita della popolazione europea, a fronte di un tasso di crescita in costante declino, dall’1,02% degli anni ’60 allo 0,2-0,4% del periodo 2011-16. Da sottolineare l’aumento dell’età mediana nell’arco di vent’anni, passato da 36,8 nel 1996 a 42,6 nel 2016.
La principale causa è il saldo demografico negativo, con una stima di decrescita della popolazione a partire dal 2045. Il tasso di natalità Ue-28 è pari a 1,6 figli per donna; stando ai dati 2015 si va dall’1,96 della Francia all’1,31 del Portogallo, in ogni caso inferiore al livello minimo per il ricambio della popolazione, fissato a 2,1. Il tasso di migrazione netto aggregato è pari a 2,4 immigrati/1000 abitanti; gli immigrati, inoltre, presentano un’età mediana di 36 anni rispetto ai 44 della popolazione nazionale.
Questioni centrali per i partiti di estrema destra, ricorda un articolo del Time dello scorso giugno, che stigmatizza le campagne pro-fertilità “nazionaliste” e sottolinea come l’immigrazione, alla luce del calo delle nascite e dell’invecchiamento della popolazione, sia “la soluzione più logica per colmare i vuoti nel mercato del lavoro”, insieme a politiche di sostegno parentale nel lungo periodo.
Forme di mobilità: la fuga dei cervelli
Nel 2016, riporta Eurostat , in Europa più di tre giovani su quattro (78%) nella fascia d’età 15-19 anni, sono nel sistema educativo e formativo, una quota che scende al 49,8% tra chi ha 20-24 anni. Poco più della metà (59,5%), dei 25-29enni è esclusivamente nel mercato del lavoro, mentre il 13,6% combina formazione e impiego. Resta elevato il tasso di disoccupazione giovanile nella fascia 15-24 anni in Grecia (43,2%), Spagna (33,8%) e Italia (31,9%), soprattutto se confrontato alla Germania (6,1%).
Da osservare Il fenomeno dei Neet – i giovani non occupati né all’interno di percorsi di formazione – che nell’Ue sono l’11,6% tra i 15-24enni e 18,8% nella fascia 25-29, con Italia e Grecia in testa. Un altro problema è rappresentato dalla cosiddetta fuga dei cervelli: uno studio curato dalla Commissione Sedec del Comitato europeo delle regioni, dal titolo Addressing brain drain (2018), ne definisce le specificità. Le persone spostatesi all’interno dell’Ue sono circa 17 milioni, di cui uno su tre (32%) di età compresa tra 15 e 34 e quasi 3,5 milioni di età inferiore ai 29 anni. Le destinazioni principali sono Germania (33%) e Regno Unito (20%), da Paesi d’origine quali Romania, Polonia, Italia e Portogallo.
Nel periodo 2014-17 il numero di emigrati con un livello di istruzione terziaria è notevolmente cresciuto, fino a raggiungere i 4,2 milioni, pari al 25% del totale; la Polonia è al primo posto per grado di qualifiche, seguita a distanza dalla Germania. A livello regionale, la Campania è all’ultimo posto in Europa per capacità d’occupazione di individui con livello d’istruzione terziaria, con il 52,7%. La circolazione di lavoratori con elevate competenze è canalizzata su bacini locali o regionali che presentano un alto indice di qualità della vita.
Italia europea o Europa italiana? L’orientamento dei giovani al voto
Il rinnovo del Parlamento europeo con le elezioni di maggio 2019 può essere l’occasione per saggiare propensione al voto, affinità con i temi trattati in campagna elettorale e fiducia dei giovani nelle istituzioni europee. A testimoniarlo, la piattaforma lanciata lo scorso giugno dallo stesso Parlamento europeo per ridurre l’astensionismo, Stavoltavoto.eu.
Secondo un sondaggio di Eurobarometro (2018), la percentuale di giovani tra 15 e 30 anni che ha votato negli ultimi tre anni si attesta al 64% nell’Eu-28. Austria e Italia, entrambe al 79%, sono al primo posto, con Francia (67%), Spagna (65%) e Germania (61%), che occupano la parte centrale della classifica. I paesi del gruppo di Visegrád presentano percentuali differenti tra loro: nell’ordine Polonia (71%), Slovacchia (65%), Repubblica Ceca (54%) e Ungheria (47%), mentre l’ultimo posto nell’Unione spetta al Lussemburgo (35%).
Stante il primato italiano nella partecipazione elettorale dei giovani, come si esprimono questi verso l’appartenenza all’Ue? Un recente articolo de Il Sole 24 Ore passa in rassegna alcuni studi. Secondo il rapporto Junges Europa 2018 realizzato dal think thank tedesco Tui Stiftung, il 71% degli under 26 intervistati in Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito si dice favorevole alla permanenza nell’Ue nel caso di un referendum in materia (nel 2017 si fermava al 61%).
Il 37% degli italiani consultati sollecita il bisogno di una maggiore presenza dell’Ue, mentre il 16% sostiene il contrario. Menzionato nell’articolo anche il rapporto curato da JA Europe: un campione di under 25, provenienti da 31 paesi europei, sottolinea alcuni degli aspetti positivi dell’appartenenza all’Ue, dalla possibilità di studiare in un Paese membro (87%) alla libertà di viaggiare senza visto (74%).
Giovani europei e ambizioni professionali
Altri elementi utili a definire il profilo dei giovani italiani ed europei si riscontrano nel Rapporto Giovani 2018 curato dall’Istituto Toniolo: sul fronte delle aspirazioni professionali, i più fiduciosi sono i tedeschi (39,6%) e gli spagnoli (36,7%), mentre emerge che poco meno di un italiano su quattro (22,5%) ritiene di poterle realizzare. Ambizioni professionali che, peraltro, sono maggiormente definite tra i giovani italiani (40,7%, il dato più alto) a fronte della diffusa indecisione degli inglesi (16,8%). Entrambi i Paesi, tuttavia, scontano la quota più consistente di intervistati ‘disorientati’ circa la loro futura carriera lavorativa (26,8% degli italiani e 23,4% degli inglesi).
In attesa del voto, in sede di Consiglio europeo, sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, che prevede il raddoppiamento dei fondi destinati al programma Erasmus+ – saliranno a 30 miliardi di euro -, è fin da ora fondamentale dare un segnale ai giovani. Rafforzare l’integrazione tra formazione, lavoro e cultura è il primo passo per rendere la ‘casa comune europea’ più accessibile e inclusiva. Un impegno che, con dedizione e orgoglio, Antonio Megalizzi e Bartek Orent-Niedzielski hanno portato avanti, raccontandolo fino all’ultimo e facendosene alfieri.