Ungheria: i volti della piazza che sfida Orbán
Era da tempo che in Ungheria non si verificava una mobilitazione così continua contro un governo. La protesta è stata innescata dalla legge – definita “schiavista” – che innalza il tetto degli straordinari a 400 ore in più all’anno per fronteggiare la scarsità di manodopera sottolineata dalle imprese.
Ci sono, però, altri motivi che hanno portato la gente in piazza per diversi giorni di seguito: la lamentata mancanza di libertà accademica e il trasferimento obbligato della Central European University (Ceu) a Vienna, nonché la legge, votata la settimana scorsa, che prevede l’istituzione di tribunali speciali controllati, secondo i manifestanti, dal governo. Questi tribunali sono stati concepiti per giudicare i reati contro lo Stato e verranno presieduti da giudici nominati dal ministero della Giustizia.
L’identikit del dissenso
Nelle dimostrazioni pubbliche di protesta che continuano mentre scriviamo hanno un ruolo di particolare rilievo studenti, sindacati e lavoratori, i quali hanno dato luogo a una saldatura contro le disposizioni che colpiscono i loro rispettivi settori. Partecipano, comunque, anche deputati dell’opposizione, alcuni dei quali sono stati fatti uscire con le brutte maniere dall’edificio della tv pubblica dopo un tentativo di trasmettere le cinque rivendicazioni dei manifestanti. Esse riguardano la cancellazione della legge sugli straordinari, quella riguardante i tribunali amministrativi speciali, la riduzione degli straordinari della polizia, l’adesione dell’Ungheria alla Procura europea e la libertà di stampa e di informazione.
Forse è la prima volta in tanti anni che i giovani esprimono un’insoddisfazione così visibile a fronte delle politiche portate avanti dal governo ungherese. Una parte considerevole dell’opinione pubblica appare stanca della pressione imposta dall’esecutivo a suon di proclami e di continue allerte contro i nemici della nazione che vengono sempre da fuori ma hanno i loro agenti in patria.
Una società in crisi
Il sistema di potere guidato da Viktor Orbán esalta conquiste grazie alle quali il livello di vita della popolazione è aumentato notevolmente ma la società è divisa e percorsa da tensioni che affiorano periodicamente. La sanità è in crisi e con essa il sistema dell’istruzione.
Si palesa anche una sostanziale scarsità di manodopera dovuta principalmente ai più recenti fenomeni migratori dall’Ungheria verso altri Paesi. Alcune stime parlano di 500.000-600.000 ungheresi andati all’estero in un flusso che, secondo diversi esperti, ha acquisito proporzioni interessanti nel 2009. Si tratta nella maggior parte dei casi di persone provviste di titoli di studio e capaci di parlare più lingue. Le destinazioni principali sono la Germania e la Gran Bretagna, cui gli interessati puntano nella speranza di trovare migliori guadagni e condizioni di lavoro meglio disciplinate.
Sembra che in questo momento una fetta di opposizione stia trovando coraggio e cerchi di partecipare attivamente al dissenso espresso da una parte della popolazione al fianco di studenti e lavoratori.
La mobilitazione delle opposizioni
Degna di nota anche la presenza, nei cortei, delle bandiere di Jobbik. Questo partito, nato come soggetto di estrema destra, si è impegnato negli ultimi anni a dare di sé l’immagine della forza politica conservatrice e moderata che critica il governo. Lo accusa di essere antidemocratico e corrotto e di aver ingannato, in questi anni, gli ungheresi. I dimostranti, però, non sembrano avere un programma preciso né essere ancora in grado di concepire una sintesi politica per proporre un progetto politico alternativo a quello del governo Orbán.
Quello che sembra accomunare i sostenitori della protesta è l’insoddisfazione, la stanchezza accumulata in questi anni di governo di Fidesz e la voglia di cambiamento. Diversi manifestanti giovani e meno giovani esprimono una rabbia repressa a lungo, chiamano a gran voce le dimissioni del premier e urlano la loro voglia di cambiare la situazione di un Paese in cui tutto o quasi è sotto il controllo del governo.
La stampa, la scuola, il mondo accademico, la magistratura, stanno facendo le spese di un sistema sempre più dirigista e accentratore che erode i margini di partecipazione popolare e dei partiti dell’opposizione. Questi ultimi sono da tempo impegnati in un’operazione di sopravvivenza e non risultano essere accomunati da un disegno politico con cui proporre un futuro diverso per l’Ungheria.
Ora, diversi loro rappresentanti si buttano nella mischia vedendo forse una possibilità nell’attuale mobilitazione antigovernativa. È ancora presto dire se il sistema di Orbán si stia dirigendo verso una crisi reale, il paese però è in crisi, sociale, politica e morale. Al momento non si può far altro che seguire giorno per giorno gli eventi per verificarne gli sviluppi e la capacità della società civile e dell’opposizione di trarre profitto da queste giornate di aperto dissenso.
Foto di copertina © Omar Marques/SOPA Images via ZUMA Wire