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Osservatorio IAI/ISPI

Russia: Ue, Italia e il rinnovo delle sanzioni

12 Dic 2018 - Riccardo Alcaro - Riccardo Alcaro

La cattura di tre navi ucraine da parte delle forze navali russe nel Mar d’Azov a fine novembre ha fatto segnare una nuova escalation nello scontro tra Russia e Ucraina, e inasprito ulteriormente il clima di ostilità tra Occidente e Russia. L’incidente complica l’ambizione della coalizione tra Lega e Movimento 5 Stelle al potere in Italia di rilanciare il dialogo con Mosca. Eppure c’è motivo di credere che i realisti nel governo potrebbero avere quasi tirato un sospiro di sollievo. L’ennesima provocazione russa renderà più facile per il governo gialloverde fare marcia indietro sull’opposizione alle sanzioni Ue contro la Russia, un punto su cui Lega e 5 Stelle avevano insistito durante la campagna elettorale.

Il Consiglio europeo e il rinnovo delle sanzioni
Il tempismo del Cremlino non avrebbe potuto essere migliore da questo punto di vista, dal momento che il voto sull’estensione delle sanzioni è in agenda al Consiglio europeo di dicembre. Un veto da parte italiana era già incerto prima. Ora è più che probabile che il governo si allineerà ai suoi partner europei e voterà per mantenere le sanzioni, a meno che non voglia entrare in contrasto con Paesi del cui appoggio politico ha bisogno nel negoziato con la Commissione sulla manovra economica.

Anche se l’incidente nel Mar d’Azov ha tolto pathos alla scelta italiana, l’avvicinarsi della scadenza per l’estensione del regime sanzionatorio offre comunque lo spunto per una riflessione sulle priorità dell’Italia al riguardo. Non c’è dubbio che le sanzioni abbiano avuto un costo. Si tratta di capire se opporsi alla loro estensione – al netto dei fatti di Azov – porterebbe effettivamente i vantaggi sperati.

Sanzioni contro la Russia: un handicap per l’economia italiana?
Chi si oppone alle sanzioni in Italia sostiene che siano state un disastro per l’economia italiana. Per quanto legittimo, l’argomento non è davvero convincente. È vero che l’export italiano verso la Russia ha subito una significativa contrazione: -11,8% nel 2014, -25,4% nel 2015 e -5% nel 2016. È vero anche che alcuni settori – moda, calzaturifici, agricoltura – hanno accusato perdite molto gravi. Ed è altrettanto vero che le sanzioni Ue sono in parte responsabili del trend negativo – i limiti all’accesso ai mercati finanziari Ue, in particolare, hanno ridotto la capacità delle banche russe di finanziare le importazioni. Tuttavia, altri fattori hanno giocato la loro parte.

Un fattore solitamente trascurato in Italia è che, in risposta alle misure europee, il Cremlino ha vietato l’importazione di alcuni beni alimentari, contribuendo al dimezzamento (in quattro anni) dell’export agroalimentare italiano verso la Russia. Un altro, e di gran lunga il più importante, è il crollo del prezzo del petrolio nel 2015 (-30% rispetto a giugno 2014), che ha causato una recessione dell’economia russa – largamente dipendente dall’esportazione di idrocarburi. Alla contrazione economica sono seguiti la svalutazione del rublo e l’aumento dell’inflazione, che hanno ulteriormente ridotto la domanda di beni esteri.

I possibili effetti di un rinnovo Ue delle sanzioni
Chi si oppone alle sanzioni obietta che, anche ammettendo quanto riportato sopra, le sanzioni Ue restano un freno al rilancio del commercio con la Russia. L’evidenza empirica tuttavia traccia un quadro meno netto.Per far fronte alle sanzioni il governo russo ha favorito la sostituzione delle importazioni e la pratica dell’Italian sounding (cioè l’etichettamento di beni russi con nomi e immagini che richiamano gli equivalenti italiani). Anche se il governo russo dovesse revocare le sanzioni sull’agroalimentare, in altre parole, le aziende italiane si troverebbero a competere in un mercato già saturato da prodotti simili più a buon mercato.

Non va poi dimenticato che molte aziende italiane hanno recuperato mercato in modo indiretto, esportando in Bielorussia e Serbia e di lì in Russia. Non a caso nel 2017 si è assistito a un considerevole aumento dell’export (+19,3%) e degli investimenti italiani (da 27 a 36 miliardi di euro) in Russia. Infine, va tenuto presente che nell’estate 2017 il Congresso Usa ha adottato sanzioni secondarie (cioè di fatto extraterritoriali) contro aziende straniere che fanno affari nello sviluppo delle infrastrutture per l’esportazione di idrocarburi russi (gasdotti e oleodotti soprattutto). Per ora l’amministrazione Trump non si è servita dello strumento, ma le cose potrebbero cambiare in futuro, specialmente se le sanzioni Ue (che in parte colpiscono lo stesso settore, ma in maniera più limitata) saltassero a causa del veto italiano.

La combinazione di questi tre fattori – le difficoltà dell’economia russa, l’aggiustamento degli esportatori (compresi quelli italiani) al regime sanzionatorio, nonché la spada di Damocle delle sanzioni secondarie Usa – porta alla conclusione che un’eventuale revoca delle sanzioni Ue non avrebbe, di per sé, un effetto volano sul commercio italo-russo.

L’Ue unita contro l’annessione della Crimea
Né si può trascurare il fatto che, a fronte di benefici incerti, l’opposizione all’estensione delle sanzioni comporterebbe significativi costi politici per l’Italia. Le sanzioni contro la Russia sono la più tangibile delle misure adottate dall’Ue per reagire all’aggressione di uno Stato sovrano – l’Ucraina – da parte della Russia, che non solo si è annessa la Crimea ma ha anche fomentato una guerra civile tra il governo centrale di Kiev e gruppi armati separatisti a Lugansk e Donetsk, nel Donbass (Ucraina sudorientale). Si è inteso cioè punire una grave violazione del diritto internazionale e resistere a una politica aggressiva che ha scosso la stabilità dell’Europa.

Anche se le sanzioni non sono bastate a invertire la politica russa in Ucraina, hanno comunque avuto l’effetto di aumentarne i costi. Rompere la solidarietà intra-Ue, nonché quella (residua) transatlantica, esporrebbe l’Italia al risentimento da parte degli alleati da cui dipende la sua prosperità (l’Ue) e sicurezza (gli Usa e la Nato). E legittimerebbe l’ambizione russa a usare l’area ex sovietica come una sfera di influenza in cui non è ammessa altra politica che quella decisa dal Cremlino.

In ultima analisi, l’interesse italiano è meglio servito dal mantenimento dell’unità europea e dal coordinamento con gli Usa. I costi dello scontro con la Russia non sono irrilevanti. Ma quelli di una rottura del fronte euro-atlantico, tanto più per ottenere benefici incerti, sono superiori. Una valutazione pragmatica di questi interessi porta a concludere che non è tempo di opporsi alle sanzioni contro Mosca.