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Bilancio della presidenza italiana

Osce: Consiglio di Milano meglio del previsto e del passato

13 Dic 2018 - Francesco Bascone - Francesco Bascone

La diplomazia italiana ha affrontato il compito di guidare per un anno le attività dell’Osce in un contesto di crescenti tensioni tra Russia e Occidente, che per lo più si traducono in veti incrociati su iniziative di interesse per l’una o l’altra parte. Con l’ulteriore complicazione del cambio della guardia  alla Farnesina a metà del guado. Eppure la riunione ministeriale di Milano, conclusasi il 7 dicembre, è stata un notevole successo, non solo dal punto di vista organizzativo ma anche per i risultati. In termini di documenti approvati, il raccolto è stato migliore che negli anni precedenti; e, cosa rara,  si è esteso a tutte e tre le ‘dimensioni ‘: politica e di sicurezza, economico-ambientale e umana (diritti).

La risoluzione sulla sicurezza dei giornalisti
Particolarmente significativa è giudicata l’adozione a Milano di una decisione (più esatto sarebbe dire ‘risoluzione’) sulla sicurezza dei giornalisti, che fra l’altro riafferma l’importanza del giornalismo investigativo e invita gli Stati non solo ad astenersi da intimidazioni, ma anche a rilasciare tutti i giornalisti  incarcerati arbitrariamente o presi in ostaggio e a mettere fine all’impunità per crimini commessi contro giornalisti. La Russia ha, prevedibilmente, fatto il possibile per annacquarla, ma senza sabotarla, anzi ha finito per farsene un merito.

Una bella soddisfazione per la delegazione italiana, se si considera che da quattro anni il sistematico ostruzionismo russo aveva bloccato l’approvazione di qualsiasi documento attinente alla ‘terza dimensione’ (quella che ai tempi di Helsinki veniva chiamata ‘terzo cesto’), e da oltre un decennio impediva l’adozione di una risoluzione di tale rilievo in questo settore.

La decisione sulla violenza contro le donne
Altro risultato importante nell’ambito della ‘dimensione umana’ l’essere riusciti a varare a Milano, dopo un lungo negoziato, una decisione sulla violenza contro le donne; anche se meno controversa. Vi troviamo aspetti non scontati, quali l’apposita formazione del personale militare, giudiziario e di polizia, o la necessità di prendere misure, d’intesa con i gestori delle reti, contro minacce e insulti per via informatica.

Ci si può certo chiedere quale valore abbiano simili documenti, che non impongono obblighi giuridici e tanto meno prevedono meccanismi per garantirne l’applicazione. Vanno apprezzati per quello che sono, in conformità con la tradizione della Csce: l’enunciazione solenne, rafforzata dall’unanimità, di standards di comportamento che Ong e Stati potranno invocare in difesa di principi democratici o diritti individuali.

La Dichiarazione sulla cooperazione nel Mediterraneo
Un cavallo di battaglia dell’Italia è sempre stata la cooperazione fra Paesi del Mediterraneo, che da 25 anni fa parte delle materie di cui si occupa l’Osce, ma fin qui essenzialmente a livello declaratorio. La Dichiarazione – appunto – approvata a Milano non è che un messaggio politico, un tentativo di riequilibrare in senso Nord-Sud una organizzazione imperniata sull’asse Est-Ovest; e ha il pregio di introdurre in questo dialogo materie quali le migrazioni, la tutela dell’ambiente e i traffici illeciti di beni culturali.

In campo politico-militare, gli aspri  contrasti Est-Ovest sulla crisi ucraina hanno impedito che si raggiungesse l’accordo sull’interessante proposta italiana di un testo sulla riduzione dei rischi e la prevenzione di incidenti militari: un documento di cui il grave incidente all’imbocco del Mare di Azov ha dimostrato l’attualità. Ma il lavoro negoziale fatto in vista della riunione di Milano potrebbe essere portato a termine in futuro.

L’impatto della crisi ucraina e i conflitti ‘che si protraggono’
Nessun progresso ci si poteva aspettare  – con una eccezione – verso la soluzione di quelli che venivano chiamati conflitti ‘congelati’ e che, dopo la fase eruttiva di dieci anni fa, sono stati più opportunamente ribattezzati ‘protracted conflicts’. Tutti nascono da secessioni appoggiate da Mosca. Effettivamente ‘congelati’ possiamo considerare quelli di Abkhazia e Sud-Ossezia, dato che a seguito dell’intervento militare russo del  2008 la loro secessione dalla Georgia appare ormai definitiva, anche se non riconosciuta dal resto del mondo; altrettanto può dirsi, a malincuore, della Crimea, ma non del Donbass, né della Transnistria.

Le trattative promosse per un quarto di secolo dall’Osce per il reintegro della Transnistria nella Repubblica  Moldova sono anch’esse rimaste senza esito. Ma sono stati intensificati gli sforzi verso una normalizzazione: sforzi che sotto la regia dell’ex ministro degli Esteri Franco Frattini hanno portato nel maggio scorso alla firma di un Protocollo su specifiche misure. L’apposita Dichiarazione adottata dai 57 a Milano non fa che raccomandare l’attuazione di tali intese.

Un barlume si è aperto nell’altro, più pericoloso, conflitto cristallizzato ai margini dell’ex Impero sovietico, quello fra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno-Karabagh e i territori circostanti. A Milano si è concordato di riprendere il dialogo, con l’assistenza del solito trio di diplomatici (un americano, un russo, un francese, come nelle barzellette) a nome del ‘gruppo di Minsk’. Un esercizio diplomatico che nel 2007 aveva portato ad una bozza di accordo, poi lasciata cadere per mancanza di volontà politica al vertice. Se ora si riaffaccia una speranza di distensione è non tanto per la stretta di mano fra i due ministri  mediata dalla diplomazia italiana, quanto per i buoni propositi del nuovo premier armeno, grande vincitore delle elezioni di domenica scorsa.

La Dichiarazione della Quadriga surroga la mancata unanimità
La discussione sui grandi temi politici è stata dominata dalla crisi ucraina e ha visto gli occidentali compatti nel denunciare le violazioni russe, e un ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov niente affatto contrito. Ancora una volta perciò non è stato possibile approvare all’unanimità la bozza di Dichiarazione finale su tutta la gamma dei temi Osce, pur in gran parte concordata al termine di pazienti trattative.

Come l’anno scorso si è fatto ricorso ad un surrogato: una Dichiarazione della Quadriga (la trojka delle presidenze 2017-19, più quella successiva, assegnata su proposta italiana all’Albania). Non dovendo avere il placet di Mosca, né quello di Washington, è un testo più incisivo, fra l’altro  nel deplorare le flagranti  violazioni di norme Osce, nel riaffermare l’importanza degli impegni in materia di diritti umani e stato di diritto, nel sottolineare il ruolo delle mission, e nell’auspicare che l’Organizzazione sia dotata di risorse adeguate.

Una seconda Dichiarazione della Quadriga dedicata unicamente alla crisi ucraina si rivolge ad entrambe le parti perché rispettino gli impegni e non ostacolino il lavoro della Special Monitoring Mission, ma in sostanza si riferisce soprattutto ai russi e ai loro protetti; e inoltre invoca il ristabilimento dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Nell’insieme, al di là del successo nel condurre in porto una serie di risoluzioni più o meno sostanziose, la delegazione italiana  ha contribuito in misura rilevante a dare dell’Osce l’immagine di una organizzazione non priva di una qualche vitalità e di una sua ragion d’essere.

Foto di copertina © Flickr OSCE