Isis: la lotta all’estremismo parte dall’informazione
Le più recenti operazioni info-investigative e operative condotte dalle Digos di Cagliari e Nuoro e dai Nocs hanno permesso, il 28 novembre scorso, l’arresto di un cittadino palestinese associato a possibili progettualità ostili su territorio sardo, a mezzo avvelenamento delle acque. Secondo quanto emerge dai comunicati stampa riferiti all’evento, l’azione potrebbe essere stata ispirata da un analogo tentativo perpetrato in Libano.
In tale circostanza, che evidenzierebbe un circolo informativo virtuoso tra intelligence, autorità e polizia giudiziaria libanese e italiana, e Interpol, va richiamata la centralità della dimensione immateriale della comunicazione e dei rispecchiamenti emulativi, nonché la correlata importanza di una contro-narrativa al proselitismo rispetto ai diversi movimenti jihadisti che mantengono viva e coltivano la loro potenzialità ideologica.
Diffondere la cultura della comunicazione strategica
Il generale statunitense John. R. Allen ricordava appena quattro anni fa i tre capisaldi operativi dell’Isis: dimensione militare-territoriale, economico-finanziaria e appunto ideologica-comunicativa. Sul piano della prassi più recente, il riferito arresto a fine novembre del numero due del sedicente Stato islamico, Awaid Al-Ibrahim, noto come Abu Zeid, ha evidenziato la persistenza del movimento in sacche areali specifiche. Parallelamente, sul territorio nazionale, l’arresto – sempre nel mese di novembre – del cittadino egiziano Issam Shalabi ha confermato la rilevanza operativa della comunicazione per l’Isis allo scopo di diffondere telematicamente i messaggi delle agenzie jihadiste.
In questo contesto e alla luce della triade di azione sopra indicata, è evidente come operazioni cinetiche, misure giudiziarie (arresti) e amministrative (espulsioni), nonché indagini di tipo economico-finanziario – come le segnalazioni di operazioni sospette- debbano essere affiancate e integrate sempre più da una analisi qualitativa e consapevole della ‘info-sfera’ di riferimento, tra social media intelligence e ‘propaganda digitale‘.
Le origini, da Aron allo Sharp Power
Pionieri ante litteram in questo campo di indagine immateriale possono essere considerati il francese Raymond Aron e l’americano Robert Jervis. Il primo, nel suo libro del 1955 intitolato L’Opium des intellectuels denunciava la potenza altamente persuasiva e ristrutturante dell’influenza ideologica, sostanziata – nella lettura del mondo del suo tempo – dai groupuscules associati all’estrema sinistra marxista-leninista. Il secondo, con il suo lavoro seminale del 1976 Perception and Misperception e successivi approfondimenti (ad esempio Understanding Beliefs del 2006) ha dato risalto alla forza modificatrice costituita dall’ambito percettivo-rappresentativo nelle relazioni internazionali.
In letteratura corrente, si parla oggi di sharp power quale fattore di condizionamento coercitivo-cognitivo, laddove la comunicazione è certo uno strumento capace di conseguire obiettivi materiali e concreti. A livello concettuale è interessante osservare come lo stesso Allen ha elencato in un recente intervento al Centro Studi Americani di Roma le dimensioni di guerra (domains of warfare): cinque fisiche (sottomarina, marittima, spaziale, d’aria e di terra) e una ‘immateriale’ (cibernetica/informativa). Nella sua valutazione, quello informativo sarà sempre di più un ambito decisivo di azione, agente sui precedenti cinque domini “per giungere a obiettivi importanti sul campo di battaglia’.
La percezione diventa realtà
Se questo è il trend atteso, non appare allora un caso che, nell’ambito della comunicazione strategica, il motto adottato dalla Nato presso Shape-Mons in Belgio sia ‘perceptions becomes reality’, la percezione diventa realtà. Ed è anche significativo osservare come a capo di questa unità organizzativa sia un ex giornalista e corrispondente di guerra della Bbc di lungo corso, Mark Laity. Facendo sistema, i professionisti dell’informazione e quelli della sicurezza, il mondo accademico e quello militare possono e devono allora impegnarsi sinergicamente in modo incrementale per affrontare le sfide del ‘giorno dopo’.
È necessario fare attenzione da un lato alle trappole rappresentate dalle cosiddette ‘camere dell’eco’ (eco-chambers) e dalle casse di risonanza inconsapevoli. Dall’altro, bisogna valorizzare e mobilitare risorse cognitive a fini di depotenziamento delle narrative nichiliste e delle sirene jihadiste agenti in determinati tessuti sociali. Sotto questo aspetto, i potenziali campi di indagine, ricerca e contrasto appaiono molteplici: Hamza Bin Laden – figlio di Osama – diventerà o meno un nuovo punto di riferimento unificatore per la galassia quaedista? Quanti potenziali nuovi Mevlüt Altıntaş ci sono oggi in Turchia, a quasi due anni dall’omicidio ad Ankara dell’ambasciatore russo Andrej Karlov?
In conclusione, sembra utile avere a mente le parole del pilota-ingegnere dell’United States Air Force John Boyd (1927-1997), un certamente poco conosciuto stratega moderno originariamente affascinato dalle relazioni energetiche tra velivoli: “Le macchine non combattono le guerre. Il terreno, pur con le sue asperità, non combatte guerre. Sono gli uomini a combattere. Dunque è necessario penetrare nella mente degli uomini. È solo lì che si vincono le battaglie”.
Foto di copertina © U.S. Army/ZUMA Wire/ZUMAPRESS.com