IAI
Dopo i casi Regeni e Khashoggi

Hedges: tutela diritti umani vs interessi economici

10 Dic 2018 - Leone Radiconcini - Leone Radiconcini

Matthew Hedges, ricercatore dell’Università di Durham in Inghilterra, ha ricevuto la grazia dal sovrano degli Emirati Arabi Uniti (Eau) dopo essere stato condannato all’ergastolo, al termine di un processo che non rispettava gli standard di garanzia abitualmente accettabili. L’accademico era stato giudicato colpevole dalla corte emiratina di “spionaggio a favore del Regno Unito”, con una sentenza che pare confermare una tendenza preoccupante nei Paesi arabi alleati dell’Occidente: la garanzia dell’impunità che i regimi hanno di fronte al mancato rispetto dei diritti individuali, perfino di cittadini occidentali.

Nel caso specifico, la pressione mediatica e internazionale a favore di Hedges ha fatto sì che si sia giunti a una soluzione che non compromette né i rapporti fra Gran Bretagna ed Eau né la vita del ricercatore. Ciò che appare qui rilevante è comprendere quali dinamiche e comportamenti da parte occidentale legittimino gli atti che non rispettano i diritti individuali e quali invece siano efficaci nel frenare i regimi autoritari.

Regeni, Khashoggi, i precedenti del caso Hedges
Negli ultimi giorni il Foreign Office è intervenuto attivamente per ottenere la liberazione del cittadino britannico, riponendo le speranze proprio nella grazia che è stata poi concessa. La moglie di Hedges ha ringraziato pubblicamente il Foreign Office e i media per l’attenzione riservata alla condizione di suo marito. Nonostante la conclusione positiva della vicenda, va comunque considerato il trattamento riservato al ricercatore, il quale ha passato sei mesi in carcere e ha rischiato di non tornare mai più libero. L’atteggiamento degli emiratini va quindi inserito nel clima di generale lassismo creato negli ultimi tempi dall’inazione occidentale rispetto alla tutela dei diritti umani anche dei propri cittadini.

Il caso dell’omicidio in Egitto del ricercatore italiano Giulio Regeni ha certamente contribuito a spingere su nuovi livelli il limite d’azione delle realtà autoritarie del Medio Oriente. Sebbene il governo italiano abbia inizialmente richiamato il proprio ambasciatore dall’Egitto, salvo poi rimandarlo in sede, a quasi tre anni dall’uccisione del giovane ricercatore depistaggi, omissioni e mancanza di reale cooperazione hanno alimentato i sempre più forti sospetti di un coinvolgimento diretto delle autorità locali. Nel contempo, i rapporti diplomatici ed economici fra l’Italia e l’Egitto hanno però ripreso vigore, visto anche il forte coinvolgimento d’interessi strategici, commerciali ed energetici da entrambe le parti.

Certamente, però, il caso oggi più rilevante, perché più recente, è quello dell’omicidio del giornalista saudita del Washington Post Jamal Khashoggi. Nonostante prove che, secondo la Cia, dimostrano che dietro l’assassinio del giornalista c’è la volontà del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman , il presidente Donald Trump ha respinto, o meglio ignorato, le conclusioni della sua agenzia di intelligence: ha sostenuto che le prove non sono definitive e che il rapporto con l’Arabia Saudita è economicamente e strategicamente troppo importante per gli Stati Uniti per comprometterlo nel nome del giornalista assassinato. Il comunicato con cui è stata ufficializzata questa posizione è denso di mistificazioni e inesattezze.

Gli effetti della dottrina Trump
La posizione espressa da Trump, nel segno della cosiddetta dottrina America First!, manda agli alleati degli Usa il seguente messaggio: non c’è da preoccuparsi per i crimini commessi, nemmeno per i più efferati, fintanto che si è alleati dell’America è garantita l’impunità. L’effetto pare pertanto essere quello di incoraggiare i regimi autoritari a comportarsi come preferiscono, senza dovere pagare le conseguenze delle proprie azioni.

La storia ha spesso visto situazioni in cui Washington ha appoggiato cambi di regime in altri Stati, chiuso un occhio sul comportamento dei propri alleati, evitato di condannare gli abusi compiuti contro popolazioni inermi. La differenza rispetto ad oggi sta nel fatto che ciò era sempre stato percepito come un elemento di vulnerabilità, come un aspetto che l’opinione pubblica interna e internazionale avrebbe difficilmente lasciato correre in assenza di un’esplicita condanna. La dottrina ‘America First’ sembra invece farsi un vanto di questa scelta, nel momento in cui dice che gli interessi in gioco sono troppo grandi, che gli aspetti economici debbano prevalere su quelli della tutela della vita umana e dei diritti umani ed avalla chiaramente un approccio che legittima l’azione dei propri alleati mediorientali.

La peculiarità del caso Hedges
Certamente il caso Hedges è diverso da quello Khashoggi, innanzitutto per il semplice fatto che l’azione compiuta dagli emiratini non è stata né ugualmente efferata né priva di soluzioni alternative; inoltre, Khashoggi era cittadino saudita, mentre Hedges è cittadino britannico. C’è però una differenza anche di comportamento fra gli Stati Uniti ed il Regno Unito. Mentre i primi hanno scelto di sostenere il Paese alleato a costo di compromettere la propria credibilità di censori delle violazioni dei diritti individuali, la Gran Bretagna ha perseguito, anche se non immediatamente, una linea di condanna, minacciando ripercussioni diplomatiche e ottenendo la liberazione del proprio cittadino. Una variabile non trascurabile è, forse, la diversa dimensione e il diverso peso di Arabia Saudita ed EAU.

La generale linea di tolleranza espressa dalla dottrina ‘America First’ verso gli autoritarismi si scontra con i propositi espressi per lungo tempo e con forza dal mondo occidentale, e non pare ancora essere condivisa dai governi europei (almeno non da tutti).

Eppure la scelta di privilegiare gli interessi strategici ed economici, come è stato visto nel caso Regeni, non è esclusivamente americana. Se i governi occidentali pensano di potersi permettere di tenere una politica a doppio binario di tutela dei diritti umani, ma solo fino a che ciò non nuoccia ad altri aspetti della propria politica estera, certamente sbagliano. I Paesi autoritari che hanno ottenuto l’appoggio delle democrazie occidentali stanno dimostrando che, se non vi sono reali contromisure verso le azioni efferate da essi compiute, continueranno impunemente a colpire dissidenti, ricercatori e chiunque venga ritenuto un nemico del regime.