IAI
Tecnologia e Forze Armate

Guerra ieri, oggi, domani: uomini e macchine

23 Dic 2018 - Matteo Didioni - Matteo Didioni

Nel corso dell’ultimo secolo, l’impiego di sistemi telecomandati per l’esecuzione di svariati compiti in guerra, sul campo di battaglia -dall’ingaggio diretto di unità nemiche, al sabotaggio, alla raccolta di informazioni- ha preso largo piede tra gli eserciti delle nazioni tecnologicamente e militarmente più capaci.

Per molti aspetti, l’utilizzo crescente di questi sistemi autonomi ha decentralizzato la figura dell’uomo nel teatro bellico, attribuendogli in certi casi un ruolo prettamente secondario nello svolgimento delle operazioni. Ciononostante, i recenti sviluppi nel campo della tecnologia militare -e della robotica soprattutto- potrebbero forse invertire questa tendenza e restituire alla figura umana il ruolo fino ad ora contestatole. O forse no?

In prima linea
L’idea di impiegare in battaglia armi e veicoli a guida remota – noti anche come droni – affonda le sue radici nel preludio e nelle prime fasi della Seconda Guerra Mondiale. All’epoca, il terreno di prova per valutare l’efficacia di tali sistemi si rivelò essere il fronte orientale, che vide lo schieramento di unità meccanizzate senza equipaggio sia da parte dell’Unione Sovietica che della Germania.

L’Armata Rossa puntò all’ingaggio diretto di fanteria e veicoli nemici servendosi dei Teletank, unità corazzate modello T-26 comandate a distanza tramite radio. La Wehrmacht optò per azioni di sabotaggio e demolizione impiegando le Goliath B-III e B-V, veicoli radioguidati su cingoli di dimensioni ridotte caricati con esplosivo e detonanti sia a tempo che a contatto con unità e edifici ostili.

Pur in grado di svolgere con una certa efficacia i propri compiti all’inizio del conflitto, il ruolo di questi primi sistemi autonomi si rivelò nel complesso ben lontano dal determinarne le sorti. Ad ogni modo, il loro pionieristico impiego come Unmanned Ground Vehicle (UGV) servì da trampolino per un rilancio tecnologico ben più ambizioso -sebbene a tratti stagnante- nel corso dell’ultimo secolo.

Occhi sul nemico
La conclusione della Seconda Guerra Mondiale pose anche fine all’era dei conflitti industriali di massa, introducendo una nuova, importante tipologia di scenario bellico: il conflitto asimmetrico.

In questa condizione, lo scontro diretto in campo aperto tra eserciti si riduce al minimo e le forze militari delle fazioni coinvolte prediligono azioni di guerriglia e sabotaggio, confrontando il nemico nel modo più essenziale e rapido possibile. Al fine di garantire l’efficacia di questa strategia, le attività volte alla raccolta di informazioni – o di intelligence – assunsero presto un’importanza cruciale e videro lo spazio aereo intra-atmosferico divenire il principale teatro operativo per una nuova generazione di sistemi autonomi, questa volta aeronautici: gli Unmanned Aerial Vehicle (UAV), o Aerei a Pilotaggio Remoto.

Sebbene risulti relativamente poco documentato, sia per segretezza che per mancanza effettiva di informazioni, lo sviluppo e l’impiego degli UAV durante la Guerra Fredda fu condotto da entrambe le super-potenze dell’epoca, vedendo tra i primi droni operativi il Lavochkin La-17 sovietico e il Ryan 147 americano (utilizzato anche in Vietnam).

Tuttavia, sarà necessario attendere fino ai primi Anni 90 per assistere all’entrata in scena di una nuova classe di UAV in grado di eseguire anche missioni di combattimento, gli UCAV (Unmanned Combat Aerial Vehicle), tra i quali è incluso il più conosciuto MQ-1 Predator.

Parte dell’uomo
Sebbene le unità robotizzate, sia UAV che UGV, continuino a svolgere un ruolo pressoché essenziale nel campo delle operazioni militari moderne, il vento dello sviluppo tecnologico ha recentemente cominciato a soffiare in una diversa direzione negli ultimi due decenni.

Entrano qui in gioco gli esoscheletri, sistemi robotici progettati come integrazione individuale ai soldati di fanteria – principalmente d’assalto – che utilizzano una geometria strutturale modellata su quella umana, dovutamente semplificata.

Ad oggi, solamente Stati uniti e Russia sembrano aver compiuto concreti passi in avanti, sviluppando rispettivamente i prototipi -non ancora operativi- di esoscheletro Talos (Tactical Assault Light Operator Suit) e Ratnik (in russo, ‘guerriero’). Pur realizzati con materiali, specifiche tecniche e design differenti, entrambi i sistemi svolgono la stessa funzione: incrementare le capacità tattiche degli operatori -come velocità di movimento, soglia massima di carico trasportabile e forza fisica-, oltre a fornire loro un buon livello di protezione balistica. Ad integrazione di questa sofisticata parte meccanica non può inoltre mancare la parte software, comprendente i sistemi di comunicazione, controllo e acquisizione obiettivi.

Tale sistema, di fatto, potrebbe rivoluzionare l’odierna dottrina delle operazioni militari ma, proprio per questa sua sofisticatezza ed alti costi di sviluppo e fabbricazione, si vedrebbe presumibilmente assegnato soltanto a poche unità d’élite, limitandone quindi la diffusione globale.

Simbiosi o rimpiazzo?
Tralasciando l’importante valore scientifico della robotica e le sue innumerevoli applicazioni civili, una visione generale di come essa si sia evoluta nel campo militare in questi ultimi decenni porta alla nostra attenzione una serie di quesiti non trascurabili.

In particolare, nel caso degli esoscheletri, potrebbe rivelarsi arduo definire dove la macchina cessi di assistere il soldato e dove effettivamente lo sostituisca, poiché, è bene ricordarlo, lo scopo dei robot è sempre stato quello di proteggere l’uomo tenendolo lontano dal combattimento. Pertanto, risulterebbe difficile affermare se questa nuova, ravvicinata relazione abbia come fine una duratura simbiosi piuttosto che una futura sostituzione.

Come cambierebbero dunque le esigenze operative se fosse la seconda ipotesi, e non la prima, a realizzarsi un domani? Il concetto stesso di guerra resterebbe alterato in un contesto bellico dove la stessa interazione uomo-macchina sembra destinata a farsi sempre meno marcata? Certo è che, visti gli attuali ostacoli economici e tecnologici, l’uomo sarà destinato a rivestire il proprio ruolo ancora per qualche anno.