Clima: il destino (in)evitabile dell’Artico
Il 6 ottobre di quest’anno, in occasione della 48ª sessione dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), è stato pubblicato il rapporto intitolato Global warming of 1.5°C che, sottolineando i rischi e le conseguenze del riscaldamento globale, pone grande enfasi sulla fragilità e i possibili impatti del cambiamento climatico sull’Artico.
Nel rapporto si afferma inoltre che per riuscire a mantenere l’aumento delle temperature al di sotto degli 1.5°C rispetto all’età preindustriale, nel 2030 le emissioni antropiche di CO2 dovranno risultare inferiori almeno del 45% rispetto ai livelli del 2010, per poi ridursi a zero entro il 2050. In questo contesto, a dicembre le parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) si sono riunite a Katowice (Polonia), in occasione della Cop24, per fare ulteriori passi in avanti nel conseguimento dell’obiettivo stabilito con l’Accordo di Parigi del 2015 volto a contenere l’innalzamento delle temperature del pianeta entro i 2°C.
Trend preoccupanti
I dati pubblicati di recente dal Nsidc (National Snow and Ice Data Center) dell’Università del Colorado e dalla Nasa mostrano che la superficie ghiacciata dell’Oceano artico ha raggiunto quest’anno l’estensione minima in due giornate, il 19 e il 23 settembre, allorquando la calotta si è ridotta a 4,59 milioni di chilometri quadrati.
Dal 1979 (anno in cui sono iniziate le prime osservazioni satellitari dei poli) a oggi, la superficie ghiacciata dell’Oceano artico è diminuita in media di 54 mila chilometri quadrati l’anno e l’estensione minima mai raggiunta risale al settembre 2012, quando il ghiaccio risultava addirittura meno della metà rispetto alla fine degliAanni Settanta. Benché quest’anno siamo lontani dalle tragiche condizioni verificatesi nel 2012, il dato allarmante è che il trend sembra ormai irreversibile. Le dodici estensioni minime registrate dal 1979 appartengono infatti agli ultimi dodici anni. La causa di tutto ciò? Il progressivo riscaldamento del pianeta.
Il 98% della comunità scientifica non ha dubbi a riguardo: il global warming è causato dalle emissioni antropiche di gas serra dovute al consumo di idrocarburi. D’altronde i fenomeni naturali che influiscono sul clima (l’attività solare, le eruzioni vulcaniche e la variazione dell’orbita terrestre) hanno determinato negli ultimi decenni un leggero raffreddamento della Terra.
L’importanza dell’Artico
Ciò che accade in Artico non rimane confinato nella regione. E’ altrettanto vero, però, che ciò che accade nel resto del pianeta si ripercuote inevitabilmente sulla regione artica.
Il progressivo restringimento della calotta artica riduce l’albedo del pianeta, cioè la quantità di radiazione solare che viene riflessa. Ghiaccio e neve sono in grado di riflettere in condizioni ottimali fino al 90% della radiazione; il suolo e l’acqua invece, essendo più scuri, riflettono meno. Ciò implica un maggior assorbimento di energia da parte del pianeta che perciò si riscalda ulteriormente.
Lo scioglimento del ghiaccio, il ritiro del limite delle nevi e lo scongelamento del permafrost sono feedback del riscaldamento artico che comportano conseguenze a livello globale. Le regioni polari svolgono infatti un ruolo fondamentale nell’andamento della circolazione delle correnti oceaniche (cosiddetta circolazione termoalina) e se continueranno a perdere ghiaccio diminuirà la loro efficacia nel raffreddare le masse d’acqua con inevitabili ripercussioni sul clima.
Di questo ed altro si è discusso a Berlino il 25-26 ottobre in occasione della seconda Arctic Science Ministerial (ASM2), evento organizzato in collaborazione dalla Commissione europea, dal Governo federale tedesco e dal Governo finlandese e che ha fatto seguito alla prima edizione svoltasi nel 2016 a Washington. L’obiettivo è stato quello di migliorare il livello di conoscenza dei cambiamenti che stanno caratterizzando la regione artica, aumentando al contempo le attività di ricerca scientifica.
L’ASM2 ha visto la partecipazione delle popolazioni indigene dell’Artico attraverso la presenza dei sei partecipanti permanenti del Consiglio Artico (forum intergovernativo di alto livello di cui la Finlandia ricopre attualmente la presidenza). Hanno inoltre presenziato trenta Paesi, tra cui l’Italia, e dieci organizzazioni internazionali. Nella dichiarazione conclusiva i partecipanti hanno sottolineato l’urgente bisogno di rafforzare la collaborazione scientifica internazionale nella regione ed hanno messo in risalto l’importanza di procedere in maniera congiunta e con determinazione in nome delle generazioni presenti e nel rispetto di quelle future.
L’ASM2 si è svolta due settimane dopo la riunione ministeriale sull’ambiente artico di Rovaniemi (Finlandia), organizzata nell’ambito del Consiglio Artico: vi hanno partecipato i ministri dell’Ambiente degli otto Stati artici. Il cambiamento climatico e lo scioglimento dei ghiacci sono stati anche in tale occasione temi caldi al centro del dibattito.
Agire in tempi rapidi
Siamo ancora ben lontani dal percorso indicato dall’Ipcc nel rapporto recentemente pubblicato. Le emissioni, infatti, non accennano a diminuire. Nel 2016 sono state rilasciate 51.9 miliardi di tonnellate di CO2 eq. (Emissions Gap Report 2017, Un Environment) e le previsioni dell’Ipcc, realizzate in base ai contributi dichiarati dai singoli Paesi nell’ambito dell’Accordo di Parigi, indicano per il 2030 emissioni comprese tra i 52 e i 58 miliardi di tonnellate di CO2 eq.
Per arrestare la febbre del pianeta e scongiurare le catastrofiche conseguenze ambientali associate, diventa perciò sempre più urgente accelerare la transizione verso una società a basse emissioni di carbonio, sostituendo quanto prima l’utilizzo dei combustibili fossili con le rinnovabili. Se non agiremo in tempi rapidi, saremo costretti a vivere in un pianeta sempre più caldo e del ghiaccio artico non rimarrà che un lontano ricordo.