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Il negoziato tra Ue e Gran Bretagna

Brexit: una May indebolita non dirada la nebbia sull’accordo

16 Dic 2018 - Giancarlo Aragona - Giancarlo Aragona
La nebbia che circonda il negoziato tra Londra ed i 27 sul distacco del Regno Unito dalla Unione europea non si è diradata al Consiglio europeo. Né poteva essere altrimenti: Theresa May si è presentata a Bruxelles indebolita dall’annuncio, cui era stata costretta per scampare alla sfiducia dei suoi parlamentari, che si farà da parte prima delle prossime elezioni.
In politica, una scelta del genere è fatale ed ha ulteriormente minato la credibilità del primo ministro e la sua capacità di tenere sotto controllo gabinetto e partito per onorare gli impegni presi, o ancora da prendere, con la Ue. Questa caduta di autorità della May incoraggia la tenace filosofia che propaganda l’ala più dura dei Brexiteers : cioè che Londra, se sa negoziare duramente e calare tutti gli assi in suo possesso, potrà continuare a godere fuori dalla Unione di molti, se non di tutti, i benefici della membership, senza subirne i vincoli, “ to have the cake and eat it “.
Appartengono a questo gruppo, radicali conservatori anti-europei , quali Johnson, Rees-Mogg e altri che, al fine di piegare i 27 , sollecitano a minacciare di non pagare quanto ancora dovuto da Londra alle casse comunitarie. Segnale inquietante delle pulsioni che circolano in un mondo politico tradizionalmente additato come modello morale per tutte le democrazie.
Il nodo della clausola di backstop
Scontando una bocciatura, la signora May aveva rinviato a gennaio il voto ai Comuni sull’accordo raggiunto per la Brexit. Poi, alla vigilia del Vertice, la May aveva anticipato che avrebbe chiesto ai suoi colleghi europei assicurazioni “politiche e legali“ che la clausola più avversata dai suoi critici , il cosiddetto backstop sul mantenimento dell’ apertura del confine tra Ulster e Repubblica d’Irlanda, sarà temporanea, in attesa della stipula dell’ accordo commerciale e doganale che regolerà i futuri rapporti tra Regno Unito e Unione europea.
Nel discutere di questo tema, si ha talvolta l’impressione che a Londra taluni affettino di trascurare che il ricorso al backstop riflette il vitale interesse del Regno Unito, e non solo irlandese, che non si turbi il delicatissimo impianto degli accordi del Venerdì Santo del 1998, con le frontiere aperte tra provincia britannica del Nord e Repubblica irlandese del sud, pena il rischio di riattizzare un confronto che costò molte vite umane e violenze settarie.
Tra assicurazione politica – fattibile – e giuridica – difficile –
Una incisiva assicurazione politica europea appare fattibile e, pur nella situazione senza precedenti di una rincorsa continua tra condizioni concordate con il Governo britannico e nuove pretese avanzate da questo per soddisfare i più intransigenti anti-Ue nella sua risicata maggioranza, i 27, a partire dalle conclusioni del Vertice, faranno bene a lavorare costruttivamente con Londra nelle settimane a venire.
Per contro, una assicurazione di natura giuridica sulla temporaneità del backstop, a parte considerazioni di opportunità, si scontrerebbe con serie difficoltà ad articolarla, dovendo contemperare un impegno certo dell’Ue sulla scadenza del backstop con una intenzione tutta da dimostrare di Londra di negoziare un accordo commerciale post Brexit senza pretendere condizioni inaccettabili.
La prospettiva del rigetto dell’accordo
Nella situazione attuale, immaginando che qualunque passo avanti sul backstop non sposterà di molto gli orientamenti dei parlamentari conservatori ( senza considerare le manovre dell’opposizione laburista e il rigetto a priori degli irriducibili protestanti Unionisti nord irlandesi), l’aritmetica parlamentare fa prevedere anche a gennaio la sconfessione di quanto negoziato dal Governo. Per Bruxelles, trattare in queste condizioni costituisce una missione quasi impossibile.
Non mancano però fattori in qualche misura più incoraggianti, a cominciare dalla volontà dei 27 di giungere ad una Brexit ordinata e che ponga le basi per un proficuo rapporto futuro, senza, beninteso, attentare alla integrità della Unione. Questa disponibilità è palese a dispetto degli sforzi di euroscettici britannici e di altri Paesi di diffondere una narrazione diversa.
A favore di Theresa May può giocare la preoccupazione di molti parlamentari di provocare nuove elezioni con la possibilità tutt’altro che remota di dare il potere al laburista radicale Corbyn, prospettiva indigesta anche per i conservatori più euroscettici.
I fattori che lasciano sperare in un superamento dello stallo
Inoltre, vasti settori del Paese, nella società, nella politica, persino tra i critici della signora May, e, soprattutto, nel mondo economico e finanziario, temono una uscita del Regno Unito dall’Ue senza un accordo e senza un quadro politico di riferimento per stabilire i futuri rapporti reciproci.
Onde evitarla, le ipotesi si moltiplicano.
Si parla di rinviare la scadenza di marzo della Brexit per guadagnare tempo negoziale. Peraltro, non è chiaro quali novità, sotto il profilo di maggiore autorevolezza o realismo, apporterebbe un nuovo governo britannico viste le lacerazioni e le debolezze diffuse nel mondo politico e nella opinione pubblica d’oltre Manica.
Voci e spinte per un secondo referendum
Nel dibattito pubblico si intensificano le voci che, per superare lo stallo, chiedono un secondo referendum, adesso che le conseguenze della Brexit sarebbero percepite più correttamente almeno da quanti non sono accecati da nostalgie di un passato scomparso o velleitarie auto rappresentazioni dello status del Regno Unito nel mondo.
Personalità come Tony Blair, l’influente accademico e politologo Garton Ash, il settimanale Economist, militano per un nuova prova referendaria. Di converso, questa è avversata duramente dai brexiteers che, non a torto, vi vedono il tentativo dei remainers di rovesciare il precedente risultato.
In una situazione di caos, tutto diviene possibile.
È difficile dire se un nuovo referendum si profili all’orizzonte ed imprudente fare affidamento su di esso.
Lo strumento referendario nel Regno Unito è costituzionalmente eccezionale, subordinato ad una legge ad hoc il cui passaggio parlamentare sarebbe problematico. Inoltre, anche un risultato questa volta pro Ue, lascerebbe il Paese profondamente spaccato, partner ancora più recalcitrante che in passato.
In conclusione, comunque vadano le cose, il capitolo aperto dal referendum voluto da David Cameron si sta rivelando portatore di un dramma che sta ferendo duramente il Regno Unito e accresce i problemi dell’Ue in una fase in cui, non certo al massimo della coesione e della chiarezza della sua direzione di marcia, deve fronteggiare contemporaneamente molte, difficili sfide.