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Ue/Gb, prospettive incerte

Brexit: l’accordo non è trampolino di rilancio dell’Ue

6 Dic 2018 - Antonio Armellini - Antonio Armellini

Nella confusione che continua ad avviluppare la saga della Brexit, è sempre più difficile trovare qualche filo di Arianna. I Ventisette sono riusciti a mantenere la loro compattezza lungo tutto l’arco del negoziato: un risultato che in pochi si attendevano, come ha sottolineato anche su AffarInternazionali Ferdinando Nelli Feroci. È un fatto importante, che ha contribuito a scardinare la strategia britannica, tante volte utilizzata con successo in passato, di dividere il fronte degli avversari per massimizzare il proprio vantaggio tattico.

Perché la tattica del ‘dividi e negozia’ è fallita
E sì che gli argomenti per riuscirci non mancavano. La Brexit ha dimostrato che quando un Paese entra in un negoziato complesso sulla base di un ragionamento in cui il dato politico-ideologico prevale sull’attenta valutazione dei costi-benefici, rischia di restarne intrappolato e finisce per dover cedere. Theresa May non è mai riuscita a presentare una posizione coerente, perché non aveva dietro di sé una linea condivisa, né a livello di governo, né di Parlamento, né di opinione pubblica: ha continuato a dichiarare di puntare “al massimo” nell’interesse del Paese, senza che questo riuscisse a mettersi d’accordo di quale massimo si stesse parlando e su come raggiungerlo.

I Ventisette dal canto loro, confrontati dalla prospettiva di un cedimento che, se da un lato avrebbe potuto consentire vantaggi per alcuni su alcuni punti, avrebbe potuto presentare svantaggi su altri punti, hanno preferito non correre il rischio di una ulteriore frammentazione del quadro comunitario e hanno optato per il diavolo che conoscevano piuttosto che cedere alla tentazione di quello di cui non capivano bene i bene i contorni. Un indebolimento del tessuto connettivo politico dell’Ue poteva essere un vantaggio; la messa in discussione di alcuni beni fondamentali – a partire da quello della libera circolazione – rappresentava un serio problema. E così via.

L’intesa non risolve le contraddizioni fra i Ventisette
Attenzione tuttavia a pensare che da ciò possa nascere un rilancio dell’idea europea, sull’onda dell’unanimità mantenuta a dispetto dei timori. I Ventisette hanno saputo respingere una minaccia – ad un tempo asimmetrica settorialmente e orizzontale nei fundamentals –, ma mantengono intatte le loro contraddizioni e divisioni interne.

Quella che si appresta a uscire dal negoziato sulla Brexit non è una Ue disposta a cercare un nuovo terreno politico comune, su cui completare le pagine mancanti del libro dell’integrazione: dall’Unione economica alla composizione del dualismo comunitario/intergovernativo, alla sicurezza interna ed esterna, a modelli sociali e di solidarietà condivisi.

Essere riusciti a evitare che la Brexit producesse quello che si poteva legittimamente temere – l’ulteriore sfilacciamento di una tela già di per sé usurata – è stato un risultato importante. Ma su se e some tesserla di nuovo – su come, in altre parole, ridare impulso alla crescita politica, riconoscendo le diversità e riaffermando identità e autonomi parallelismi negli obiettivi di fondo – le distanze restano alte. Eppure riuscirci è fondamentale: la Brexit sarà almeno servita a mettere in luce come è qui e ora che si dovrà giocare la vera partita della sopravvivenza del progetto europeo.

La Brexit non se ne va e le opzioni restano molte
Ma la Brexit è – ahimé – ancora con noi e lo sarà per chissà quanto tempo. Secondo referendum, Canada-plus (o plus,plus,plus…), Norvegia-Eea sono tutte alternative sul tappeto insieme alla hard brexit e a nuove elezioni politiche, che modificherebbero il quadro generale non necessariamente facendo chiarezza. Nessuno sembra in grado di dire cosa succederà dopo la prevedibile sconfitta della May ai Comuni l’11 dicembre, mentre il Paese si avviluppa in una crisi a un tempo politica, identitaria e di sistema: le divisioni travalicano l’ambito tradizionale dei partiti e in qualche misura anche quello geografico, generazionale e di classe.

Un’opinione pubblica alimentata da un festival di panzane – da una parte come dall’altra – è ad un tempo irritata e vittima di generalizzazioni spesso senza senso, trasmettendo il suo sconcerto a un Parlamento e a un governo che sono promotori e ostaggio di una radicalizzazione che non sono capaci di governare.

La discussione si svolge interamente sul versante interno, come se nella decisione sulla via da prendere la responsabilità sia solo di Londra e agli altri Ventisette non resti che attendere e poi, naturalmente, accettare. Che le cose non stiano così e che qualsiasi modifica dell’accordo raggiunto, così come la riapertura dei termini dell’Art. 50 per consentire vuoi un referendum, vuoi un nuovo negoziato, debbano passare per una approvazione da parte del Consiglio europeo, che è tutt’altro che scontata, non viene preso in considerazione.

Da uscire come se si fosse rimasti a rimanere come se si fosse usciti
La cosa è in parte spiegabile con la concitazione del dibattito ma, a un livello più profondo, è espressione di un atteggiamento che l’Ue farebbe bene a non sottovalutare. La Brexit, per quanto discutibile e inaccettabile per molti, riflette un sentire nazionale che va compreso. Quali possano essere i danni per il Regno Unito dalla sua uscita, quelli derivanti dalla perdita del contributo fondamentale britannico saranno per l’Ue a lungo termine anche maggiori: l’Ue continuerà sempre ad avere bisogno della Gran Bretagna ed è giusto riconoscere ad essa vantaggi speciali, commisuratati all’importanza del suo contributo ad interessi altrui.

Tesi del genere non sono limitate solo al campo dei Brexiteers più determinati, ma affiorano nel pensiero più o meno esplicito di molti Remainers, e persino in quello di europeisti convinti. Non so se ci sarà un secondo referendum e se questo sancirà la fine della Brexit, ma, se ciò accadrà, sarà bene prepararci a un negoziato almeno altrettanto difficile, in cui Londra chiederebbe di riavere non solo le eccezioni di cui ha goduto in passato, ma anche quelle conseguite ora nel negoziato.