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Fra Carbone e grandi infrastrutture

Brasile: le mani di Bolsonaro su ambiente e Amazzonia

21 Dic 2018 - Alessandro Valentini - Alessandro Valentini

All’indomani della conclusione della Cop24 di Katowice, il rinvio della decisione sui cosiddetti “carbon credits” voluto dal Brasile e l’incerta posizione dei suoi delegati durante la conferenza hanno sicuramente gettato un’ombra sul futuro ambientale del Paese latinoamericano. Un’ombra che, come nel caso degli Stati Uniti alla Cop22 di Marrakech nel 2016, ha le sembianze del futuro presidente.

Il 28 ottobre, con poco più del 55% delle preferenze, Jair Bolsonaro, candidato dell’ultradestra, è stato eletto presidente del Brasile e si insedierà al Palácio da Alvorada il 1° gennaio. Sin dal principio della sua campagna elettorale, il “Trump brasiliano” ha mostrato di non appoggiare la causa ambientale, arrivando a sostenere di voler ritirare il Paese dallo stesso Accordo di Parigi.

Bolsonaro ha infatti più volte affermato di voler mantenere salda la sovranità brasiliana sulla Foresta amazzonica, la quale ai suoi occhi rappresenta un propulsore per l’economia del Paese.

Questa, in ragione della sua ricchezza di risorse, può rappresentare sia un bacino di produzione per le grandi esportazioni alimentari brasiliane, ma allo stesso tempo un catalizzatore di investimenti esteri nelle lacunose infrastrutture e nelle risorse delle regioni amazzoniche. Il tutto inserito in un contesto di privatizzazioni e di depenalizzazione dei reati ambientali.

Il suolo brasiliano ospita circa il 60% della più grande foresta pluviale tropicale al mondo. Comunemente definita un polmone verde, questa foresta è un “carbon sink”, ovvero un deposito di Co2 con la caratteristica di assorbire più anidride carbonica di quella che produce. Tuttavia, l’Amazzonia sta progressivamente perdendo parte del suo territorio. Secondo i dati dell’Istituto nazionale brasiliano per la ricerca spaziale (Inpe), quasi 769 chilometri quadrati di verde sono andati persi dagli anni Settanta in avanti; una quota pari a circa il 20% di foresta.

Le cause della deforestazione
L’incredibile quantità di risorse idriche disponibile è stata utilizzata negli anni per generare elettricità. Oggi si calcola che più del 70% di elettricità del Paese venga generata attraverso centrali idroelettriche, le principali fra le quali si trovano nelle regioni amazzoniche. Al di là dei benefici energetici che tali strutture apportano, vi è una grande minaccia. Un caso emblematico è rappresentato dalla diga Belo Monte, nello Stato del Parà. Questa immensa diga in fase di costruzione sul fiume Xingu – la terza per generazione di energia idroelettrica al mondo una volta completata – distruggerebbe la biodiversità di un’enorme area di foresta, mettendo peraltro a rischio alcune popolazioni indigene della regione.

Il rischio maggiore è però che la costruzione di un’opera tale possa rappresentare un precedente per il futuro governo di Bolsonaro, che su questa scia potrebbe decidere di riprendere l’approvazione di nuovi altri grandi progetti distruttivi in Amazzonia, che erano stati accantonati dal precedente esecutivi.

Nell’ottica di risollevare l’economia brasiliana, il neoeletto presidente ha anche dichiarato la necessità di sfruttare il grande potenziale minerario del territorio occupato dalla foresta. Le attività minerarie in Amazzonia, sebbene limitate da difficoltà logistiche a causa della mancanza di infrastrutture nella regione, sono responsabili per circa 10% della deforestazione. Le grandi risorse di minerali comprendono depositi di bauxite, rame, stagno, niobio, nickel e oro. Lo sviluppo di questo settore voluto da Bolsonaro pone una doppia minaccia per l’ecosistema: da un lato infatti vi è il danno ambientale che l’attività mineraria di per sé comporta; dall’altro lato questo settore richiede la costruzione di nuove e invadenti infrastrutture, ulteriore causa di disboscamento. Secondo uno studio di Idesam, una Ong che promuove la sostenibilità in Amazzonia, la costruzione dell’autostrada BR319, che attraversa la foresta per più di 850 chilometri, collegando Manaus a Portho Velho, ha causato non solo la degradazione del territorio, ma anche inquinamento chimico e distruzione della biodiversità.

La riconversione dei territori
È però necessario precisare che la più grande minaccia alla sopravvivenza della foresta e dei suoi abitanti è rappresentata dalla conversione di enormi porzioni di foresta in territori agricoli o per l’allevamento di bovini. A partire dalla fine degli Anni Sessanta la dittatura militare, per combattere la povertà nel Paese, incoraggiò la popolazione a trasferirsi nelle zone limitrofe alla foresta attraverso sussidi economici all’agricoltura. Negli anni successivi, per favorire l’insediamento della popolazione, gli stessi militari iniziarono la costruzione di opere pubbliche quali autostrade e centrali idroelettriche all’interno della foresta.

Da allora, un numero sempre più ampio di popolazione è stato attirato nelle regioni amazzoniche dalla promessa di un facile impiego. Successivamente, è stato il boom agricolo degli Anni Novanta, trainato dalla richiesta sui mercati internazionali di soia che ha portato ad una feroce deforestazione, i cui apici si registrarono nel 1995 e nel 2004, anni in cui il Brasile risultava il Paese con più emissioni di Co2 al mondo. Non è un caso perciò che deforestazione amazzonica registrò un brusco calo in corrispondenza della moratoria sulla soia coltivata in territori sottratti illegalmente alla foresta dal 2006 in poi.

L’avvento dell’ex militare alla presidenza  
Non dovrebbe dunque risultare così sorprendente la notizia di un nuovo picco di deforestazione nel 2018, il più alto negli ultimi dieci anni. Sebbene lontano dai valori del 2004, l’Inpe stima che da agosto 2017 fino a luglio 2018 sono stati cancellati quasi 8000 chilometri quadrati di foresta. Questo incremento del 13,72% rispetto all’anno precedente è sicuramente frutto di due fattori. Da un lato si pone la politica del presidenza degli Stati Uniti Trump, che non solo ha frequentemente rinnegato il cambiamento climatico ma ha anche iniziato una guerra commerciale con la Cina, la quale cerca nuovi mercati proprio in Sudamerica. Dall’altro lato, vi è l’elezione di Bolsonaro.

Il futuro presidente, ex capitano delle Forze armate, ha più volte ribadito la sovranità brasiliana sulla Foresta amazzonica, tanto da ritirare il proprio Paese dalla candidatura per ospitare la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, la Cop25. Peraltro, durante la campagna elettorale, sostenuto dalla lobby agricola del paese, Bolsonaro ha promesso di unificare i ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura, per dare priorità alla produzione rispetto alla protezione, ha sostenuto di voler ridurre le pene per i reati ambientali e ha minacciato di aprire le riserve indigene protette.

La distruzione amazzonica richiederà nei prossimi mesi una considerevole attenzione, sia perché il futuro presidente sembra voler dare nuovo slancio ai settori più distruttivi per la foresta, e sia perché il “Let’s make Brazil Great!” di Bolsonaro pare avvenire a spese di tutta la comunità internazionale, degli accordi ambientali e sul clima e degli impegni richiesti dalla transizione energetica.

Foto di copertina © Monika Skolimowska/DPA via ZUMA Press