Austria: un anno di governo Kurz, riforme, Ue, Sud Tirolo
A un anno dal suo insediamento (18 dicembre), il governo austriaco di centro-destra guidato da Sebastian Kurz appare solido e compatto. Se allora aveva destato scalpore in Europa il connubio con un partito inquinato da elementi di estrema destra, oggi non è certo il governo di Vienna a suscitare preoccupazioni ed imbarazzo fra i vicini e a Bruxelles. In sede comunitaria non risulta che i suoi membri siano considerati inadatti a presiedere il Consiglio nelle sue varie formazioni.
Riforme, conti pubblici in pareggio, politica estera
Non c’è dubbio che Kurz abbia imposto al suo partito una svolta in senso liberal-conservatore, abbia fatto a Heinz-Christian Strache significative concessioni nel negoziare l’accordo di coalizione e dimostri di volerle lealmente rispettare anche là dove divergono dalle sue convinzioni (ad esempio: l’abrogazione della legge anti-fumo). Sulle misure intese a disincentivare l’immigrazione in Austria da Paesi extra-comunitari (tagli agli assegni familiari, ecc.), la convergenza è piena e convinta.
E’ in questo campo che che Kurz si allinea al gruppo di Visegrad, niente affatto in materia di stato di diritto e libertà di stampa. Qualche dubbio è lecito riguardo all’influente ministro dell’Interno Herbert Kickl, già segretario generale dell’Fpoe, ritenuto responsabile dell’incursione poliziesca effettuata mesi fa negli uffici del servizio segreto interno Bvt, probabilmente al fine di fare saltare le indagini su cellule di estrema destra.
In politica estera viene da più parti criticata la vicinanza del partito liberal-nazionale di Strache con ‘Russia Unita’ e la cordialità dei rapporti fra il presidente russo Vladimir Putin e la ministra degli Esteri Karin Kneissl. Continua peraltro a pesare sulla Kneissl l’ostracismo decretato da Israele contro l’Fpoe, benché lei sia una indipendente designata da quel partito e in contrasto con le aperture di Benjamin Netanyahu ai partiti europei di destra, fra cui la Lega.
Le riforme avviate o annunciate dal governo Kurz-Strache tendono a snellire le amministrazioni e a liberare le imprese da talune rigidità; sono perciò osteggiate dai sindacati, ma nell’insieme hanno l’appoggio di buona parte dell’opinione pubblica, anche perché compensate da annunciate misure di rafforzamento dello stato sociale (sgravi fiscali per famiglie con figli, assistenza agli anziani). Nei sondaggi la coalizione mantiene un buon margine di maggioranza. La popolarità di Kurz è ancora in ascesa, quella di Strache in leggero regresso.
Altra priorità è il taglio di rendite di posizione e altre spese ritenute inutili. Nel 2018 il deficit dovrebbe essere sceso a zero. Per il 2019, Vienna ha presentato a Bruxelles un bilancio con un leggero avanzo. E ciò senza produrre deflazione. La crescita del Pil si aggira attualmente intorno al 2.7%. E’ facile intuire che non può esserci molta comprensione verso un governo italiano che ritiene di dover aumentare il deficit e il già eccessivo indebitamento per sostenere una crescita dell’1 o 1,5%.
Semestre di presidenza dell’Ue
I principali scogli che la presidenza austriaca ha dovuto affrontare in questo semestre sono la Brexit e il bilancio Ue. Su entrambi l’accordo è stato raggiunto (al netto dei dissensi nel campo britannico).
Fra le priorità scelte da Vienna per il suo semestre di presidenza di turno del Consiglio dell’Ue figura al primo posto il tema “sicurezza”, leggi “controllo della immigrazione illegale” . Su di esso si è imperniato il vertice informale di Salisburgo il 20 settembre (con una coda sulla Brexit).
Le affinità ideologiche fra i due leaders sovranisti Strache e Salvini (e fra i due ministri dell’Interno) non potevano produrre convergenze sulla revisione delle regole di Dublino, reclamata dall’Italia in quasi totale isolamento. Anzi, gli interessi sono contrapposti. Vienna non appoggia il ricollocamento obbligatorio: la sua proposta auspica in sostanza una solidarietà con i Paesi di primo approdo su base meramente volontaria. L’accento è stato spostato sul rafforzamento delle frontiere esterne (non solo marittime), salvo constatare nei giorni scorsi che sullo sbandierato rafforzamento di Frontex fino a 10mila elementi non ci sarà accordo.
Un’altra costante della politica europea della coalizione è il criterio di “sussidiarietà”, cui è stata dedicata una apposita riunione comunitaria a Bregenz. Raccomandare lo spostamento di competenze dagli organi dell’Unione agli Stati là dove ciò è possibile senza danno riflette evidentemente un atteggiamento se non proprio euro-scettico, quanto meno euro-tiepido.
Su una terza priorità vi è convergenza fra la presidenza austriaca e l’Italia: il rilancio della prospettiva di ammissione all’Unione per tutti i Paesi dei Balcani occidentali. Prospettiva che dal 2014 forma oggetto del “processo di Berlino” e che negli anni successivi le presidenze austriaca e italiana (così quella bulgara nel maggio scorso) hanno cercato di ravvivare ospitando appositi vertici , ma che incontra oggettive remore nelle carenze dei processi di riconciliazione, di riforme, di rafforzamento dello stato di diritto e di lotta alla corruzione.
Doppio passaporto ai sudtirolesi
Sui rapporti fra Italia e Austria grava il discutibile progetto di estendere la cittadinanza austriaca agli altoatesini di ceppo tedesco o ladino, in deroga alla convenzione europea che vieta di regola la doppia cittadinanza (l’Italia non ne fa più parte) e alla legge austriaca. Lo scarso interesse dimostrato dagli stessi destinatari, così come le difficoltà tecniche di formulazione della apposita legislazione, dovrebbero suggerire un tacito insabbiamento. Ma se i liberal-nazionali insisteranno sull’attuazione di questo elemento del contratto di coalizione, è verosimile che l’infausto progetto sarà di quelli che Kurz, pur non condividendoli, porterà avanti “pro bono foederis”.
Pochi riguardi verso Roma sono stati del resto dimostrati nel decidere l’uscita , a valere dal 31 dicembre, dall’Iniziativa Centro-Europea (Ince, sede a Trieste), piccola organizzazione inter-governativa nata nel 1989 col nome di Quadrangolare che in questi trenta anni i due Paesi avevano diretto congiuntamente.
L’auspicabile avvio di un dialogo per disinnescare la questione sud-tirolese non sarà certo propiziato dalle affinità sovraniste ed euro-scettiche di Strache e Salvini; ha al contrario più probabilità di decollare se Roma rinuncerà definitivamente a sfidare le istituzioni europee e i partners ‘virtuosi’ e a minacciare di destabilizzare l’Euro.