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Il disegno di una democrazia illiberale

Ungheria: le provocazioni di Orbán tra Gruevski, Soros e Putin

29 Nov 2018 - Massimo Congiu - Massimo Congiu

Le autorità di Budapest sostengono che la decisione di non estradare l’ex primo ministro conservatore macedone Nikola Gruevski sia stata presa per motivi “umanitari”. Il ministro della Giustizia ungherese László Trócsányi ha infatti affermato che Gruevski rischierebbe la vita nel suo Paese. L’ex premier macedone si trova dallo scorso 13 novembre in Ungheria, dove sarebbe arrivato al termine di una fuga avvenuta a bordo di un’auto di servizio ungherese con targa diplomatica. La medesima vettura avrebbe coperto il tragitto fra Tirana e Budapest con l’aiuto dell’ambasciata ungherese. Una volta giunto a destinazione, Gruevski ha fatto domanda di asilo per sfuggire a una condanna di due anni per corruzione inflittagli in Macedonia .

In Ungheria, l’opposizione interna ha da subito cercato di scoraggiare il governo guidato da Viktor Orbán dal concedere asilo ad uomo politico condannato per corruzione nel suo Paese di provenienza. E gli ha chiesto inutilmente di riferire in merito al caso alla commissione parlamentare per la sicurezza. Una volta nota la decisione di non estradare Gruevski, il partito di centrosinistra Dk (Coalizione democratica) ha accusato il governo di “difendere dei criminali” in un rapporto improntato alla “solidarietà tra mafiosi”.

Un asse che parte da lontano
C’è da considerare che, in passato, Orbán aveva già sostenuto Gruevski per l’attaccamento di quest’ultimo al principio della “democrazia illiberale”, che rappresenta uno dei cavalli di battaglia del premier ungherese. È vero che quest’ultimo si sta riferendo meno spesso a questo concetto, preferendo indossare le vesti di leader cristiano-democratico, da quando è stato redarguito dai vertici del Partito popolare europeo (Ppe).

La sostanza delle cose, però, cambia poco e per Orbán Gruevski è un uomo politico che ha portato avanti una battaglia cara ai cosiddetti sovranisti e promosso una lotta contro le tendenze liberali che per il primo ministro di Budapest sono ormai superate e non in grado di dare risposte al bisogno di sicurezza e protezione espresso dalle popolazioni. Gruevski descrive sé stesso come vittima di una caccia alle streghe scatenata in Macedonia dai suoi avversari politici oggi al potere. Per il governo ungherese l’ex premier sarebbe perseguitato da un esecutivo, quello di Skopje, finanziato dal magnate americano di origine ungherese George Soros.

Ancora una volta è lui, per le autorità magiare, l’autore di piani volti a indebolire il potere sovrano dei governi nazionali europei, l’ideatore di trame con cui riempire l’Europa di migranti musulmani che, secondo Orbán, mettono a repentaglio l’identità cristiana del Vecchio continente. Per Orbán è Soros che cerca di destabilizzare l’intera Europa e di esporla agli appetiti degli speculatori internazionali.

Sovranisti e Balcani
Il premier ungherese ha così avuto modo di apprezzare l’operato di Gruevski quando questi era primo ministro nel suo Paese. A parte questo, l’Ungheria e un po’ tutto il Gruppo di Visegrád (V4, in cui Budapest siede insieme a Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca) guardano da un po’ con interesse al versante balcanico e cercano di conquistarlo alla causa “sovranista” in funzione della lotta contro quella che l’esecutivo ungherese chiama “tecnocrazia di Bruxelles”.

Molti avversari di Orbán fanno notare la contraddizione fra l’ostilità del governo di Budapest verso i migranti e l’accondiscendenza nei confronti di un migrante che nel suo Paese di provenienza è accusato di avere tendenze dittatoriali, di aver provocato un processo di erosione dello stato di diritto quando era al potere e di aver incrementato la corruzione.

L’episodio è stato criticato anche dall’altra destra ungherese, quella di Jobbik, secondo cui il governo avrebbe fatto meglio a rimandare Gruevski in patria. I vertici del partito non riescono a comprendere il motivo per cui rischiare uno scandalo internazionale non estradando Gruevski, a meno che – dicono – non vi siano aspetti geopolitici nascosti.

Da questo punto di vista si può menzionare il fatto che in Macedonia il processo di avvicinamento del paese alla Nato e all’Unione europea non è visto di buon occhio dalle frange più nazionaliste, analogo il malumore della Russia in tal senso. Quella stessa Russia che con Putin è un riferimento per gli assertori della cosiddetta “democrazia illiberale” e che si ritrova con l’Ungheria di Orbán a ostentare diffidenza verso le democrazie occidentali. I due paesi sono legati da interessi riguardanti il settore energetico. Da menzionare, a titolo di esempio, gli investimenti effettuati da Mosca in Ungheria nel nucleare.

La sintonia con Putin
Budapest mostra di difendere gli interessi nazionali suscitando in questo modo l’approvazione di Vladimir Putin il quale, pure, si dice impegnato sullo stesso fronte. A settembre, i leader dei due Paesi si sono visti a Mosca nell’ambito di un incontro avente al centro gli investimenti sul nucleare, il gas e il petrolio. La visita di Orbán è stata vista un po’ come una sfida all’Ue, per di più dopo l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, del rapporto Sargentini sulle violazioni dello stato di diritto in Ungheria. Orbán, però, sembra voler mostrare a Bruxelles di poter fare ciò che gli sembra più opportuno, senza curarsi troppo di quella che chiama “ipocrisia del politicamente corretto”, come del resto appare dall’episodio con al centro l’ex premier macedone.

David Cornstein, ambasciatore degli Stati Uniti a Budapest, ha dichiarato che non criticherà pubblicamente Orbán per l’affare Gruevski; in cambio, però, gli ha chiesto di consentire alla Central European University (Ceu) fondata a Budapest da Soros nel 1991, di continuare a svolgere la sua attività nella capitale ungherese. In questi giorni c’è un presidio di fronte al Parlamento, organizzato da studenti della Ceu, dell’Università Corvinus e dell’Università Elte in difesa della libertà accademica e per protestare contro la possibile chiusura della Ceu a Budapest.

Di fatto, serve la firma di un accordo con lo Stato di New York (sede dell’università negli Usa) per impedire che ciò accada; e il termine scade sabato primo dicembre.

Foto di copertina © Omar Marques/SOPA Images via ZUMA Wire