Sicurezza e Difesa: perché servono Forze Armate
Si sta diffondendo nel nostro Paese l’aspettativa che ogni evento naturale, disastro provocato dall’incuria, malfunzionamento degli apparati pubblici civili, richiesta di maggiore sicurezza, debba essere affrontato coinvolgendo in maniera crescente e sistematica le Forze Armate.
È evidente che durante le emergenze anche le Forze Armate debbano dare il loro contributo e che, grazie alla efficienza ed organizzazione che le caratterizza, il loro intervento sia di particolare importanza ed efficacia. Questo, per altro, è quanto prevede la normativa italiana vigente.
Il contributo nelle emergenze
Nella legge 331 del 14 novembre 2000 che ha istituito il servizio militare professionale, all’articolo 1 sono indicati i compiti delle Forze Armate e, al terzo posto (non al primo!) si stabilisce: “Le Forze Armate concorrono alla salvaguardia delle libere istituzioni e svolgono compiti specifici in circostanze di pubblica calamità e in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza”. I primi due compiti per importanza sono, infatti, la difesa dello Stato e l’operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza internazionale.
Lo stesso impianto è stato poi ripreso all’articolo 89 del Codice dell’Ordinamento militare, approvato col Decreto legislativo 66 del 15 marzo 2010, che, all’articolo 92 comma 1, ha ulteriormente precisato questi compiti: “Le Forze Armate, oltre ai compiti istituzionali propri e fermo restando l’intervento prestato anche ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (che istituisce il Servizio nazionale della Protezione Civile), in occasione di calamità naturali di cui alla predetta legge e in altri casi di straordinaria necessità e urgenza, forniscono a richiesta e compatibilmente con le capacità tecniche del personale e dei mezzi in dotazione, il proprio contributo nei campi della pubblica utilità e della tutela ambientale”. Nel comma 2 sono elencate le attività per le quali è previsto il “contributo”.
Il problema è che in un Paese in cui prevale la cultura dell’emergenza, questa finisce con il diventare la normalità.
Missioni nazionali e internazionali
L’operazione Strade Sicure è iniziata nell’agosto 2008 con il coinvolgimento di 3.000 soldati e con questa motivazione: “Per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, ove risulti opportuno un accresciuto controllo del territorio, può essere autorizzato un piano di impiego di un contingente di personale militare appartenente alle Forze Armate”.
In seguito si è aggiunta l’attività di sgombero delle macerie dopo il terremoto de L’Aquila del 2009, la protezione dei cantieri Tav in Val di Susa, l’intervento nel 2014 contro i reati ambientali a Napoli e Caserta per l’emergenza ‘Terra dei Fuochi”, la protezione dell’Expo 2015 a Milano.
Durante lo svolgimento del Giubileo nel 2015-2016 il dispositivo è passato da 4.800 unità a 6.300, con il compito di garantire la sicurezza dei siti interessati e di concorrere al controllo di valichi di frontiera, porti ed aeroporti.
A seguito del sisma che ha colpito il centro Italia nel 2016, il dispositivo Strade Sicure è stato anche incaricato di concorrere a garantire la sicurezza delle aree evacuate nelle province di Rieti, Ascoli Piceno, Perugia e Macerata, a cui si è aggiunta nel 2017 l’Isola di Ischia e nel 2018 Genova.
Negli ultimi due anni, la presenza è stata inoltre concentrata sui potenziali obiettivi del terrorismo di matrice islamica: strade cittadine, stazioni ferroviarie, aeroporti, stazioni della metropolitana, ambasciate ed edifici pubblici. A distanza di dieci anni risultano così stabilmente impiegati nell’operazione Strade Sicure circa 7.200 soldati.
Nel frattempo è andato calando l’impegno dell’Italia nelle missioni internazionali volte al ristabilimento e mantenimento della sicurezza nelle aree di crisi rilevanti per l’Italia: nel primo decennio del secolo i militari impiegati (di tutte le Forze Armate) erano 8.150-8.450, nel 2011 sono scesi a 7.400 (Governo Berlusconi), nel 2011 a 6.600 (Governo Monti) e sono poi rimasti pressochè stabili fino ad oggi, facendovi rientrare anche le missioni nel Mediterraneo (Governi Letta, Renzi, Gentiloni). Attualmente sono 6.500 (Governo Conte).
Il rapporto fra personale impegnato nelle missioni nazionali e internazionali in dieci anni è, quindi, salito dal 36% al 110%. L’impegno nel controllo del territorio italiano è diventato l’attività prevalente delle Forze Armate. A parole, invece, questa è diventata la quarta ed ultima missione, perché nel Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa del 2015 al punto 81 è stata inserita, dopo la difesa dello Stato e prima del contributo alla realizzazione della pace e della sicurezza internazionali, la difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei.
Un monito inascoltato
Dieci anni fa su queste stesse colonne esprimevamo forti perplessità sull’avvio di questa trasformazione, non immaginando, però, che avrebbe assunto le attuali dimensioni. Si sottolineava che le emergenze presuppongono, secondo gli standard internazionali, “eventi eccezionali non prevedibili dalle autorità” e che, quindi, l’intervento delle Forze Armate, a titolo di contributo, dovrebbe essere intrinsecamente legato al concetto di temporaneità”.
Le ragioni erano così elencate:
1) Gli interventi in eventuali compiti non militari richiedono una preparazione specifica che i militari non hanno.
2) Il loro addestramento è, in compenso, più costoso rispetto a quello degli appartenenti ai corpi di sicurezza dello Stato e spesso l’impiego dei militari comporta un altrettanto costoso trasferimento.
3) Questo utilizzo rappresenta, di fatto, un demansionamento delle Forze Armate e può influire negativamente sul reclutamento e sul fattore morale.
4) Il presentare all’opinione pubblica i militari come un surrogato del personale civile pubblico che dovrebbe fornire i normali servizi rischia di danneggiare l’affermarsi nel nostro Paese di una cultura della difesa.
5) La maggiore difficoltà di convincere l’opinione pubblica e i decisori politici che è indispensabile il finanziamento dei nuovi e costosi programmi per gli equipaggiamenti delle Forze Armate, se si esaspera il loro ruolo in campo civile.
Invertire la tendenza
A queste motivazioni, tuttora valide, si può aggiungere una riflessione sulla quantità del personale impiegato in Italia nel campo della sicurezza. Con 453 addetti per 100.000 abitanti nel settore della sicurezza (compresi i Carabinieri), l’Italia era nel 2016 al quinto posto nell’Unione europea, dopo Cipro, Grecia, Malta, Lettonia. I principali Paesi europei con cui ci confrontiamo hanno, rispettivamente, 361 addetti la Spagna, 326 la Francia e 297 la Germania (questi due ultimi sono stati, per altro, quelli maggiormente colpiti dal terrorismo islamico).
Resta, quindi, forte il dubbio che le nostre forze di sicurezza possano essere meglio organizzate e più proiettate sul territorio, magari alleggerendone i compiti e le attività burocratiche e/o trasferendovi quella parte del personale militare che, per età e grado, non è più adatto a svolgere compiti operativi (liberando, quindi, il loro personale più giovane), nonché eliminando gran parte delle scorte personali (troppo spesso solo un privilegio e uno speco di risorse).
Le Forze Armate devono, invece, restare tali perché sono una indispensabile assicurazione per garantire il nostro Paese contro ogni minaccia alla sicurezza nazionale.