IAI
Frontiera strategica e dottrina militare

Mar cinese meridionale: le mosse di Pechino in funzione anti-Usa

9 Nov 2018 - Lorenzo Termine - Lorenzo Termine

La decisione del Segretario della Difesa statunitense Jim Mattis di cancellare l’incontro previsto per la metà di ottobre con il suo omologo cinese Wei Fenghe e il duro discorso con cui il vice-presidente Mike Pence ha accusato Pechino di volere interferire con le elezioni americane di mid-term giungono al termine di un’escalation di tensione che ha avuto come focolaio il Mar cinese meridionale (Mcm).

Nelle ultime settimane, infatti, gli attriti nel Mare sono cresciuti in seguito alle esercitazioni congiunte di Regno Unito e Giappone, al volo di B-52 americani, al passaggio di una nave da guerra sudcoreana e ad una nuova Freedom of Navigation Operation degli Stati Uniti nella zona: tutti episodi che hanno scatenato le proteste cinesi. Secondo fonti americane, inoltre, durante quest’ultima operazione si sarebbe sfiorato l’incidente evitato solo grazie ad una manovra di evasione della nave americana. Più in generale, l’intensificarsi della contesa durante il 2018 ha fatto parlare di un possibile conflitto a bassa intensità nella zona.

Da dossier secondario, il Mcm è diventato negli ultimi anni uno dei capitoli principali dell’equilibrio della regione indo-pacifica nonché della relazione tra Cina e Stati Uniti. Nell’area, infatti, sembrano confliggere gli interessi di numerosi attori: almeno cinque Stati rivieraschi (Cina, Malesia, Filippine, Taiwan e Vietnam), a cui aggiungere gli Stati Uniti, che chiedono la piena fruibilità del Mcm. Ma quali sono gli interessi cinesi nell’area e quale la strategia di Pechino per garantirsi il controllo del Mcm? Come verrebbe combattuto dalla Cina un eventuale conflitto per il controllo di questo mare?

Un’area di vitale interesse
Negli ultimi decenni, la Cina ha condotto un progressivo allargamento e una “marittimizzazione” della propria “frontiera strategica”, ovvero del perimetro territoriale imprescindibile per la sicurezza nazionale, includendovi gli immensi mari attigui, Taiwan, la penisola coreana, il Vietnam, e anche il Pacifico del Nord ed alcune aree ad ovest dello Stretto di Malacca finora estranee alla cultura strategica di Pechino.

La letteratura conviene che il Mcm rappresenti un interesse vitale di sicurezza nazionale per la Cina. A dimostrarlo, l’intensa attività della Repubblica popolare nella zona e le dure reazioni cinesi ai numerosi attraversamenti nell’area di mezzi non autorizzati dal governo verificatisi negli anni. La posizione geografica e la conformazione di arcipelaghi come le isole Spratly li rendono, infatti, militarmente e commercialmente preziosi, i loro fondali sono ricchi di idrocarburi particolarmente ambiti dalle grandi compagnie petrolifere cinesi ed internazionali, e costituiscono un bacino dalla grande varietà di pescato pertanto conteso dai pescherecci che gli orbitano attorno.

Pur considerando l’area di enorme valore, Pechino si è rivelata estremamente prudente a sfidare un ordine regionale la cui stabilità le ha permesso di crescere economicamente a ritmi eccezionali e, perciò, ha tenuto e tiene una strategia duplice: se da una parte mira ad influenzare il comportamento degli attori regionali e di Washington attraverso un sapiente uso del potere nazionale, dall’altra parte è costretta a compiere passi talmente piccoli per alterare lo status quo da non provocare la risposta militare americana.

La costruzione di un graduale controllo sul Mcm
Ciò risponderebbe alla cosiddetta “three warfare”, una strategia di diplomazia coercitiva sancita dalla Commissione militare centrale nel 2003 che si fonderebbe su tre tipi di azioni: operazioni psicologiche per intimidire i potenziali nemici e convincerli/costringerli a conformarsi agli interessi cinesi attraverso l’applicazione sinergica degli strumenti del potere nazionale (militare/paramilitare, culturale, diplomatico, economico); manipolazione dei media per influenzare la percezione che le altre società hanno della Cina; sfruttamento dei sistemi legali vigenti per danneggiare i rivali e comprometterne la capacità di risposta.

Le continue dimostrazioni di forza militare da parte di Pechino e l’utilizzo para-militare di strumenti come la Guarda Costiera hanno permesso alla Cina di imporre gradualmente il proprio controllo sul Mcm, inibendo la risposta degli Stati limitrofi, e di costruire un grande numero di isole artificiali e strutture militari sugli arcipelaghi delle Spratly e delle Paracels e sul banco di sabbia Scarborough Shoal. Ciò è stato fatto mentre Pechino si appellava in sede Onu alla cosiddetta Nine Dash Line, una linea a forma di “U” che ricomprende quasi tutto il Mcm. L’energica attività di manipolazione dei media è stata portata alla luce, per esempio, da alcune inchieste in Australia, Nuova Zelanda e Taiwan.

La dottrina militare cinese
Nel caso in cui scoppiasse un conflitto, per difendere la frontiera strategica, Pechino farebbe riferimento alla dottrina della “guerra locale in condizioni di alta tecnologia e informatizzazione”, secondo la quale le operazioni si dovranno fondare su obiettivi politici limitati, svolgere su un territorio circoscritto, condurre tramite un uso ridotto della forza ma con un vasto parco di tecnologie avanzate per moltiplicarne l’effetto sul nemico.

Come nelle altre aree strategiche, nel Mar cinese meridionale Pechino ambisce ad un’active defense, ovvero un’azione che sia strategicamente difensiva ma operativamente offensiva, per la quale giocherebbero un ruolo cruciale le suddette infrastrutture. Secondo studi americani, tali infrastrutture permetterebbero a Pechino di creare aree anti-access/area denial (A2/AD), ossia aree in cui l’utilizzo coordinato di missili, sensori, radar, mine e altre tecnologie, convenzionali e non, possa impedire l’accesso (lungo raggio) e la libertà di movimento (corto raggio) di eventuali nemici.

In questo ambiente, l’Esercito popolare di liberazione sarà incaricato di condurre operazioni congiunte e integrate che siano altamente mobili, non contigue, non lineari, e che possano svolgersi sfruttando la configurazione geografica circostante per allungarsi e colpire il nemico oltre l’area interdetta e, successivamente, tornare dietro la linea dei combattimenti. Di conseguenza, la Marina assumerà un ruolo di guida operativa, seguita dall’Aeronautica e dalla forza missilistica.

A completare la dottrina, l’informatizzazione prescrive un approccio net-centrico che si fondi su sistemi informatici avanzati per guadagnare un vantaggio operativo e sull’ottenimento di elevate capacità di cyber-warfare e guerra informativa per limitare le capacità offensive nemiche.

La strategia cinese nel Mar cinese meridionale sembra aver dato i suoi frutti. Secondo la Rand, infatti, negli ultimi 20 anni l’iniziale superiorità militare americana ha lasciato il posto ad una sostanziale parità con la Cina in molti settori, in caso di conflitto per il controllo delle Spratly. La gestione di questo dossier sarà, quindi, uno dei capitoli centrali per l’equilibrio e la pace della regione indo-pacifica. E Trump non sembra voler diminuire la pressione su Pechino in merito al Mar cinese meridionale o ad altri temi, come la guerra commerciale.

Foto di copertina © Us Navy/Russian Look via ZUMA Wire