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Dopo la condanna a due anni

Macedonia: la fuga di Gruevski e l’asilo di Orbán

27 Nov 2018 - Edoardo Corradi - Edoardo Corradi

Lo scorso 13 novembre l’ex primo ministro macedone Nikola Gruevski ha confermato, dopo giorni che era ricercato dalle autorità giudiziarie della Macedonia, di esser scappato dal suo Paese per recarsi in Ungheria. Il motivo della fuga va ricercato nella condanna di due anni per aver usato soldi pubblici per fini personali, insieme all’ex ministro dell’Interno e un suo assistente. A Budapest, Gruevski ha chiesto e ottenuto l’asilo politico da parte del premier Viktor Orbán, con la ragione per cui il processo in Macedonia sarebbe stato motivato politicamente.

Come in tutte le vicende giudiziarie, accusa e difesa sono agli antipodi. Per la prima, infatti, nel 2012 l’ex primo ministro Gruevski avrebbe fatto pressioni sull’ex ministro dell’Interno Gordana Jankulovska e sul suo assistente Gjoko Popovski per acquistare per 580.000 euro una Mercedes di lusso, ottenendo dunque dei benefici personali tramite l’utilizzo di soldi pubblici. Per la difesa, invece, la sentenza avrebbe invece un movente politico che affonda le radici nel cambio di potere avvenuto a Skopje negli ultimi anni.

La crisi politica che ha investito la Macedonia nel 2014 – e che si è risolta con le elezioni anticipate nel 2017 – avrebbe fatto sì che l’attuale partito di governo, i socialdemocratici della Sdsm, si servissero delle istituzioni al fine di colpire la Vmro-Dpmne, il partito conservatore di Gruevski ininterrottamente al potere dal 2006. Nel 2015, in piena crisi politica, l’attuale primo ministro Zoran Zaev aveva pubblicato una serie di trascrizioni di registrazioni secondo cui, da premier, Gruesvki avrebbe intercettato circa 20.000 persone, alimentando una rete di potere illiberale.

Una fuga da film
Dopo la conferma della sentenza, l’ex premier macedone è riuscito a scappare su un’auto diplomatica ungherese e a recarsi a Budapest, passando per l’Albania, il Montenegro e la Serbia. Una fuga rocambolesca che ha preso alla sprovvista le autorità giudiziarie e di polizia della Macedonia. Già dal giorno della pronuncia si vociferava di una sua probabile fuga, confermata poi attraverso i social network. Le autorità attendevano che si presentasse il 9 novembre per formalizzare la detenzione ma, nonostante il passaporto gli fosse stato ritirato, Gruevski è riuscito nel suo intento di lasciare il Paese.

Le autorità locali hanno certamente peccato di eccesso di fiducia e le contromisure adottate, come il già citato ritiro del passaporto, si sono rivelate inefficaci. La sua fuga, tuttavia, non è solo un problema interno, ma va a svelare dinamiche anche dal punto di vista regionale e internazionale.

Orbán, quali immigrati?
Gruevski ha scelto l’Ungheria in quanto Paese amico. Fidesz, il partito del primo ministro ungherese (e membro del Partito popolare europeo), aveva espresso la propria contrarietà agli Accordi di Prespa tra Macedonia e Grecia, con cui quest’estate Skopje e Atene hanno sancito la fine della più che ventennale disputa sul nome tra i due Paesi. Orbán ha accettato di concedere l’asilo politico all’ex primo ministro – come annunciato dallo stesso Gruevski su Facebook -, ma così facendo ha mostrato le due facce del suo governo in tema di immigrazione.

L’Ungheria si è sempre mostrata contraria ad aprire le proprie frontiere ai migranti che passavano dalla rotta balcanica, opponendosi anche a coloro che sono meritevoli di protezione internazionale, e ha a più riprese rifiutato il sistema di ricollocazione all’interno dell’Unione europea. Orbán, così come i leader di altri Paesi dell’Europa centrale e orientale (che oggi in blocco rifiutano il nuovo Global Compact sulle migrazioni dell’Onu), si è sempre eretto a paladino della cristianità e dei valori occidentali, messi a repentaglio dalla crisi dei rifugiati, architettata dalla cosiddetta politica mondialista propugnata dal suo acerrimo nemico, il filantropo George Soros.

Una narrazione comune anche a Gruevski, che imputava allo stesso Soros di aver finanziato e architettato la cosidderra Šarena revolucija (rivoluzione colorata), ossia le proteste che in Macedonia portarono al concludersi della crisi politica grazie alla mediazione dell’Ue. Bruxelles, con il commissario europeo Johannes Hahn, ha chiesto chiarimenti a Orbán sulla sua politica nei riguardi del diritto d’asilo. Per Gruevski, il soggiorno in Ungheria si annuncia lungo: difficilmente, infatti, Budapest concederà a Skopje l’estradizione dell’ex premier in quanto, secondo il ministro della Giustizia ungherese Laszlo Trocsanyi, Gruevski avrebbe corso dei seri rischi alla propria incolumità se fosse rimasto in Macedonia.

Sotto le macerie della Vmro-Dpmne
Fuga magiara a parte, il partito di Gruevski esce notevolmente ridimensionato dagli ultimi avvenimenti, a causa degli scandali giudiziari che ha affrontato da un lato e, soprattutto, dalla sconfitta nello scontro ideologico con la maggioranza sull’accordo sul nome.

Nonostante il referendum consultivo sull’accettazione del nuovo nome come risultante dagli Accordi di Prespa – Repubblica della Macedonia del Nord – non abbia raggiunto il quorum necessario, la maggioranza guidata dal socialdemocratico Zaev e sostenuta dai partiti albanesi ha racimolato in Parlamento i due terzi necessari per approvare la riforma costituzionale, anche grazie al soccorso arrivato da alcuni deputati della Vmro-Dpmne. In risposta, i conservatori hanno optato per epurare i dissidenti; ma ora che il loro ex uomo forte è fuggito sarà complicato tornare al dominio politico come negli ultimi dieci anni.