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Denuclearizzazione della penisola

Corea: la tela di Moon e Kim e il “Madman” Trump

13 Nov 2018 - Pierfrancesco Moscuzza - Pierfrancesco Moscuzza

Il processo di pace nella penisola coreana iniziato con lo storico incontro del 27 aprile scorso nella zona demilitarizzata di Panmunjom fra il presidente sudcoreano Moon Jae-in e il leader maximo nordcoreano Kim Jong-un continua secondo le tappe stabilite.

Il primo passo significativo si è registrato a fine ottobre, quando Seul e Pyongyang hanno completato il disarmo della Joint Security Area (Jsa) nell’area di confine tra i due Paesi. Il disarmo della Jsa è stato supervisionato e certificato anche dal comando delle Nazioni Unite che ha giurisdizione sul lato meridionale dell’area.

Il secondo passo è invece l’entrata in vigore, a partire da novembre, degli accordi sottoscritti il mese precedente a Pyongyang, che prevedono la sospensione delle esercitazioni militari nei pressi del confine e l’istituzione di “zone cuscinetto” per facilitare la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra le due Coree.

Le zone cuscinetto sono articolate su tre livelli: quello terrestre, quello marittimo e quello aereo. La prima si estende per circa dieci chilometri lungo il confine tra i due Paesi; la seconda per 80 chilometri tra il mare orientale e l’occidentale; la terza per circa 120 chilometri lungo la linea di demarcazione militare sotto forma di una no-fly zone. Quest’ultima ha però sollevato delle preoccupazioni negli ambienti militari vicini a Seul, perché lascerebbe sguarnita la zona dai controlli necessari per verificare l’ottemperanza agli accordi da parte di Pyongyang.

Kim fa sul serio?
I dubbi riguardo la buona fede della Corea del Nord sono stati alimentati da alcune notizie trapelate a fine ottobre. Secondo il National Intelligence Service (Nis), l’agenzia di intelligence sudcoreana, i nordcoreani “hanno condotto attività di preparazione e di intelligence per la visita degli ispettori stranieri”. Tuttavia, nessuna operazione rilevante è stata osservata a Yongbyon, il principale complesso nucleare nordcoreano, la cui chiusura fa parte delle richieste statunitensi avanzate nelle trattative degli ultimi mesi. La Corea del Nord ha interrotto i test nucleari e missilistici lo scorso anno, ma finora non ha permesso nessuna ispezione nei propri siti, generando sospetti sulla genuinità del programma di denuclearizzazione e sulla destinazione finale di parte del materiale fissile dismesso.

I sospetti sono alimentati anche dalla storia del processo di denuclearizzazione della penisola coreana, che in passato, in più di un’occasione, ha ottenuto scarsi risultati. L’ultimo tentativo in ordine di tempo risale alla fine degli anni Novanta, quando l’allora presidente sudcoreano Kim Dae-jung elaborò la strategia di politica estera conosciuta come Sunshine Policy, con lo scopo di riallacciare le relazioni diplomatiche tra le due Coree e di mitigare gli effetti della crisi economica sulla popolazione nordcoreana. La Sunshine Policy si sviluppava su due binari: le due Coree si sarebbero dedicate principalmente agli scambi economici e culturali, mentre il resto della società internazionale si dedicava alle trattative sulla denuclearizzazione ed il disarmo. Questo processo si interruppe bruscamente nei primi anni Duemila, con il cambio di regime politico a Seul e Washington e gli eventi dell’11 settembre, riportando la situazione indietro di decenni.

Il contesto politico attuale è, tuttavia, per molti aspetti differente rispetto a quel periodo. In un solo anno si è passati dalla Corea del Nord che conduceva test missilistici lanciando minacce al resto del mondo ‒ Stati Uniti inclusi ‒ all’apertura diplomatica con la partecipazione alle Olimpiadi invernali di PyeongChang 2018. Nel nuovo scenario che si è venuto a delineare, la Corea del Sud ha intrapreso un ruolo da protagonista nel processo di pace, causando preoccupazioni a Washington che in un comunicato recente ha chiesto in maniera informale a Moon Jae-in di tornare “un po’” indietro sull’ approccio lungimirante verso la Corea del Nord, enfatizzando l’ importanza del rispetto degli accordi internazionali sul disarmo e la denuclearizzazione.

La denuclearizzazione della penisola rimane uno dei punti chiave del processo di pace coreano ed ha dei risvolti sia regionali che internazionali. Gli attori statali attualmente coinvolti in primo piano sono le due Coree, la Cina, il Giappone e gli Stati Uniti. Il nodo fondamentale da risolvere rimane la definizione di una roadmap chiara che serva come modello operativo da seguire. Il problema che ha impedito sinora di trovare una soluzione condivisa non è tanto operativo quanto politico, ed ha a che vedere con la politica estera intrapresa dall’amministrazione Trump.

La carta dell’insicurezza internazionale
Contrariamente a Barack Obama, il quale aveva adottato la dottrina della pazienza strategica, Trump ha ripreso la teoria del Madman di Richard Nixon che si fonda sull’idea del realismo politico tra i cui precetti fondamentali vi sono il sovranismo, la sopravvivenza nazionale, lo statalismo e la credenza che il sistema internazionale sia fondamentalmente anarchico. Secondo la teoria del Madman, che vede la sua origine intellettuale ne “I Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio” di Machiavelli, in alcune occasioni è lecito alimentare il senso di insicurezza a livello internazionale con il fine di proiettare un’immagine di imprevedibilità del proprio comportamento.

L’effetto di tale apparentemente folle strategia sarebbe quello di far precipitare gli eventi in maniera irrazionale per mettere in crisi la parte avversa, eludendo il processo di trattativa (o, nei casi più estremi, la brinkmanship) e ottenendo così il risultato desiderato in tempi brevi. Argomento ripreso da Shakespeare nell’Amleto, con la famosa citazione di Polonio: “Though this be madness, yet there is method in’t.”

Nixon fu inspirato ad enunciare la teoria del Madman dalla linea dura intrapresa da Eisenhower durante la Guerra di Corea del 1953, quando era vicepresidente, per attuarla poi in occasione della Guerra del Vietnam. Una costante asiatica che si ripete, come a dimostrare un’incompatibilità di fondo dei leader conservatori statunitensi nel capire la visione orientale della politica basata sull’idea del confucianesimo e della diplomazia dei piccoli passi. Inoltre, tale strategia funziona ‒ e non sempre con buoni risultati ‒ solo se la controparte agisce in maniera razionale e se la “follia” è apparente non reale, altrimenti si rischia un cortocircuito dalle conseguenze imprevedibili. In altre parole, due Madmen non fanno un uomo saggio.

Tra Jcpoa e Inf
Il processo di denuclearizzazione coreano si è complicato ulteriormente con la decisione di Trump di abbandonare il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) negoziato dall’amministrazione Obama e l’Iran con la partecipazione dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Germania e l’Unione europea.

L’accordo sul nucleare iraniano sarebbe potuto servire come una possibile roadmap per il processo di denuclearizzazione nordcoreano, stabilendo uno standard internazionale per casi simili. Inoltre, le recenti dichiarazioni di Trump riguardo l’intenzione di denunciare l’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (Inf), il Trattato sugli Euromissili, dovuto alle violazioni dello stesso da parte russa, non aiutano a dissipare le incertezze sul versante coreano.