Brasile: Bolsonaro, incertezze sul futuro del Paese
Il Brasile è cambiato. Il Partito dei Lavoratori, travolto da scandali di corruzione e dal peso di una delle più gravi recessioni economiche che abbia mai colpito il Paese, ha perso le prime elezioni presidenziali dal 2003. Fino a pochi mesi fa, la vittoria di Jair Messias Bolsonaro sembrava una battuta più che una reale possibilità. L’ex militare ha invece conquistato la maggioranza dei brasiliani con una dialettica radicale, oltrepassando i canali comunicativi tradizionali e concentrando la propria propaganda elettorale sui social network. Bolsonaro ha trionfato sull’onda di un Brasile stanco, impaurito, arrabbiato e impoverito.
Bolsonaro e Guedes: chi guiderà la ripresa economica?
L’economia brasiliana, un tempo la locomotiva del Sud America, sta lentamente e a passo incerto uscendo da una recessione che ha contratto il Pil nazionale dell’8% tra il 2014 e il 2016 e che ha portato la disoccupazione al 12.6%. La crisi economica ha scoperchiato gli squilibri macroeconomici del Paese, il cui deficit/Pil era superiore al 7% nel 2017.
Il sistema pensionistico ha chiuso il 2017 con un deficit di circa 84,1 miliardi di dollari, circa il 4% del Pil del Paese. Nel 2040, se le regole non dovessero cambiare, la spesa pubblica per le pensioni salirebbe ad una cifra mostruosa che rappresenterebbe il 19,5% del Pil. Le morbide regole della previdenza sociale sono normalmente additate come la maggiore causa del deficit. In Brasile, gli uomini possono andare in pensione a 55 anni e le donne a 45 anni purché abbiano iniziato a lavorare a 15 anni.
Eppure, esistono degli squilibri interni che rendono l’attuale sistema pensionistico sbilanciato a favore delle classi più privilegiate. Secondo uno studio della Banca Mondiale, il 35% dei sussidi pensionistici – cioè quella quota di pensioni che non sono contributive – sono diretti ad integrare il 20% delle pensioni più alte. Inoltre, i dipendenti pubblici, che erano solo il 3,4% del totale dei pensionati nel 2016, erano la causa di circa il 34,4% del deficit della previdenza sociale. In media, un dipendente pubblico brasiliano riceve una pensione di circa 8.695 reales, circa il 550% in più della media dei dipendenti privati.
Il governo del presidente Michel Temer ha tentato senza successo di riformare l’attuale sistema di previdenza sociale, ma il progetto è stato bocciato, tra gli altri, da Bolsonaro e dal suo partito. Bolsonaro si oppose alla riforma perché l’attuale e ingiusto sistema pensionistico privilegia alcune categorie – ex poliziotti, ex militari e alcune fasce dell’apparato pubblico – che sono il cuore del suo consenso.
Il nodo della riforma del sistema previdenziale
Durante la campagna elettorale Bolsonaro non ha sviluppato una chiara piattaforma di politica economica, lasciando al suo consigliere economico e futuro ‘super ministro’ dell’economia e dello sviluppo, Paulo Guedes, la guida per la ripresa economica del Paese. Guedes ha però proposto un progetto di riforma simile a quello di Temer, lasciando numerosi dubbi quindi su come il nuovo presidente voglia riformare il sistema previdenziale del Paese.
Ma le divergenze e le incertezze sulle posizioni di Guedes e Bolsonaro si riscontrano in altri campi chiave. In una recente intervista, Guedes ha dichiarato che avrebbe privatizzato tutte le aziende pubbliche, a partire da Banco do Brasil e Petrobas. Ma Bolsonaro, che siede in Parlamento dal 1991, si è storicamente opposto alle privatizzazioni delle compagnie pubbliche delle telecomunicazioni, elogiando anzi l’economia statalista del Brasile sotto la dittatura militare.
Non sembra neanche esserci chiarezza sul destino di Bolsa Familia, il programma sociale introdotto dal presidente Lula nel 2003, che ha contribuito a ridurre i livelli di povertà assoluta dal 9.7% al 4.3% in dieci anni, raggiungendo circa 50 milioni di persone. Guedes ha dichiarato che il 30% di coloro che ricevono i benefits derivanti dal programma non ne avrebbero bisogno. Mentre Bolsonaro, malgrado abbia sempre criticato Bolsa Familia, nella sua campagna elettorale ha pure promesso di inserire una tredicesima all’interno del programma.
Ambiente e Cina, disimpegno del nuovo governo
Bolsonaro ha avuto l’appoggio della lobby dell’industria agroalimentare brasiliana dopo aver promesso che avrebbe ampliato le superfici agricole a discapito della preservazione della foresta amazzonica e delle riserve indigene. Il 13% del territorio brasiliano è terra indigena e la costituzione brasiliana ne tutela la preservazione. Ma Bolsonaro ha già dichiarato che lo Stato non garantirà più i diritti delle popolazioni indigene e che anzi avrebbe pure abolito il ministro dell’ambiente.
La crescita economica del settore agroalimentare è riconducibile principalmente al boom della domanda cinese per la soia. L’anno passato, i cinesi hanno acquistato 53,8 tonnellate di soia, per un valore di 20,3 miliardi di dollari, una quantità in netto aumento rispetto alle 22,8 tonnellate che furono esportate in Cina nel 2012. Inoltre, a causa dei dazi del 25% imposti da Donald Trump sull’export di soia americana in Cina, il gigante asiatico potrebbe dirottarsi verso il Brasile. Questo trend sembra essere confermato dalla crescita del 6% sull’export di soia verso la Cina nella prima metà del 2018.
Eppure, Bolsonaro considera l’espansione degli interessi economici cinesi una minaccia più che una opportunità per il Brasile. Recentemente, il nuovo presidente ha detto che la Cina più che fare acquisti in Brasile sta acquistando il Brasile, demonizzando come predatori gli investimenti cinesi nel Paese.
Già nel 2010, la Cina è divenuto il primo mercato per l’export brasiliano e il secondo per importazioni. Inizialmente la fame cinese per le materie prime ha animato lo sviluppo dei rapporti commerciali con il Brasile, il cui export verso il gigante asiatico è passato da 1,1 miliardi di dollari nel 2000 a 36,6 miliardi di dollari nel 2016. Ma la presenza cinese in Brasile si è qualitativamente evoluta attraverso ingenti investimenti in numerosi settori del terziario. Nel 2017, la Cina ha investito 20,9 miliardi di dollari in Brasile, di cui una buona proporzione è andata a finanziare infrastrutture e progetti energetici.
Un futuro incerto
A febbraio, in piena campagna elettorale, Bolsonaro ha anche visitato Taiwan, suscitando la reazione diplomatica cinese. L’atteggiamento di Bolsonaro rimane solitario in Sud America: infatti, tutti i governi regionali, malgrado i diversi orientamenti politici, hanno accolto i capitali cinesi. Ma la dipendenza di alcune industrie brasiliane dalla domanda cinese stride con le minacce nazionalistiche e protezionistiche di Bolsonaro.
Il futuro del Brasile è incerto. Non è chiaro che tipo di politica economica verrà approvata dal nuovo presidente. I mercati e i grandi investitori hanno tifato per la vittoria di Bolsonaro, sperando che Guedes possa essere in grado di imprimere una svolta liberista al Paese, mitigando le posizioni nazionalistiche e statalistiche di Bolsonaro. Il pericolo però è quello di liberalizzare l’economia brasiliana smontando lo stato sociale senza avere dei meccanismi per ridurre le disuguaglianze e gli squilibri del sistema socio-economico brasiliano.