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Progetto indipendenza compromesso

Spagna: Catalogna, maggioranza repubblicana non c’è più

13 Ott 2018 - Elena Marisol Brandolini - Elena Marisol Brandolini

Il parlamento catalano ha respinto, questo martedì, le mozioni presentate dai gruppi indipendentisti che riaffermavano il diritto all’autodeterminazione e il biasimo per il discorso del re Felipe VI il 3 ottobre dello scorso anno. I numeri, infatti, non tornano più alla maggioranza repubblicana, che ha smesso di essere tale per la crisi aperta nella coalizione di governo tra Esquerra Republicana de Catalunya (Erc) e Junts per Catalunya (JxCat). Una situazione di stallo trascinatasi per settimane, che ha avuto il suo culmine negli scorsi dieci giorni con accordi durati non più di 48 ore, in risposta all’ordinanza del Tribunal Supremo che sospendeva i deputati dei partiti indipendentisti in carcere o in esilio, Puigdemont, Junqueras, Romeva, Rull, Sánchez e Turull.

Una diatriba apparentemente giocata su una sfumatura semantica: la “sospensione” che il parlament lo scorso 2 ottobre ha respinto, la “designazione” di altro deputato del gruppo cui sono ricorsi i repubblicani Junqueras e Romeva per esercitare i loro diritti parlamentari, la “delegazione” di voto al loro capo-gruppo da parte dei deputati di Puigdemont. Ma in realtà uno scontro che radica nella storica competizione tra le principali forze politiche all’interno del bacino repubblicano, oggi complicato dall’eccezionalità della situazione che vede un’intera classe politica in carcere – i Jordis ci stanno da un anno – o in esilio.

Con il risultato di rendere vincente la via della “giudiziarizzazione” del procés che è riuscita a modificare l’esito delle elezioni catalane del 21 dicembre. Infatti, di fronte al rischio di un blocco dei lavori parlamentari e dell’apertura di nuove cause giudiziarie, Esquerra ha respinto la soluzione proposta da JxCat e Puigdemont, Rull, Sánchez e Turull hanno preferito rinunciare a esercitare il loro diritto di voto. E, per quanto i partiti della maggioranza rassicurino che il govern reggerà fino alla sentenza del processo contro i prigionieri politici che inizierà il prossimo gennaio, la somma dei loro scranni con quelli della Candidatura d’Unitat Popular (Cup) è adesso inferiore alla maggioranza assoluta di 68; per cui, d’ora in poi, i voti dei Comuns saranno dirimenti. Come si è visto appena due giorni dopo, quando il parlament ha votato per riaffermare i valori repubblicani e biasimare il re per il suo comportamento successivo al primo ottobre dello scorso anno.

Il progetto unitario messo in discussione
L’indipendentismo catalano è sempre stato trasversale ideologicamente: anche perciò non ha a che vedere col nazionalismo di destra diffuso in Europa al servizio di una precisa ideologia. Oggi, però, le divisioni di strategia nel blocco repubblicano rischiano di metterne in discussione il progetto unitario. Le differenze vengono dal giudizio che si dà dell’autunno dello scorso anno ed appaiono fragorose in questi tempi di anniversari tristi.

Molte cose di quel periodo ancora sono da chiarire. Puigdemont dall’esilio dice che il suo errore fu non dichiarare l’indipendenza il 10 ottobre 2017, quando ancora era presente nell’opinione pubblica e sulla stampa internazionale l’immagine della violenza ingiustificabile dello Stato sul referendum. In questi giorni sono emersi elementi secondo cui ci sarebbe stata una guerra sporca dello Stato sul piano economico per bloccare l’indipendentismo: il 2 ottobre lo Stato, attraverso le sue imprese ed amministrazioni, avrebbe svuotato per un terzo circa i depositi delle banche catalane CaixaBank e Sabadell, forzandole poi a spostare la loro sede legale fuori dalla Catalogna.

Le forze indipendentiste si dividono sul percorso per la costruzione della Repubblica, tra chi punta a un ampliamento del consenso, chi privilegia la visibilizzazione del conflitto e chi propugna la via unilaterale. Differenze presenti anche all’interno del movimento; forse con qualcosa in più, come è sembrato lo scorso primo ottobre, un principio di scollamento della base sociale dell’indipendentismo dalla sua rappresentanza politica.

La destra spagnola è all’attacco
La destra spagnola è all’attacco, l’anticatalanismo e l’unità indissolubile della patria sono da sempre i suoi cavalli di battaglia. L’estrema destra non ha complessi a mostrarsi in piazza, l’annunciata rimozione della salma di Franco dal Valle de los Caídos aggiunge un nuovo pretesto alla sua esibizione. Ma non si tratta solo di un gruppo di nostalgici, nello Stato spagnolo il franchismo è ancora presente e a farne le spese oggi è la libertà di espressione. Ciudadanos e il Partido Popular competono sullo stesso terreno, Rivera propone che si torni ad applicare l’articolo 155 alla Catalogna, Casado che si illegalizzi la Cup. Il governo spagnolo insiste ad affermare la strategia di dialogo con la Generalitat, ma per il momento non c’è alcuna nuova riunione tra i presidenti Sánchez e Torra.

La destra spagnola è ancora fondamentalmente autoctona, le sue radici affondano nel franchismo, come il Pp in quelle di Alianza Popular. E finora l’estrema destra non ha avuto necessità di darsi una propria rappresentanza politica. Ma forse non sarà più così in futuro, perché il movimento Vox, fondato dall’ex-popolare Santiago Abascal e cresciuto sulle querele contro l’indipendentismo, ha riempito la scorsa domenica il Palacio de Vistalegre di Madrid con circa 10.000 persone. I sondaggi gli danno appena quello che basta per entrare in parlamento, ma la sua presenza in qualche modo “internazionalizza” la destra spagnola, proponendo i temi su cui si sta affermando l’estrema destra in Europa e nel mondo: la paura per l’immigrazione musulmana e il primato dei cittadini indigeni sui nuovi arrivati.

Tutti si preparano alle elezioni, l’Andalusia ci andrà al principio di dicembre. Pedro Sánchez vuole resistere con il suo governo almeno fino a dopo le municipali e autonomiche di maggio e le europee, disponibile anche a prorogare i conti pubblici del Pp se necessario. Intanto ha appena siglato l’accordo con Podemos per la manovra di bilancio 2019 che prevede la crescita del salario minimo, la rivalutazione delle pensioni all’indice dei prezzi, la regolazione del mercato dell’affitto, l’aumento dell’imposta sul reddito sui redditi alti, l’equiparazione dei permessi di paternità e maternità. L’intesa tra i due principali partiti progressisti non sarà però sufficiente per la sua approvazione se non ci saranno a fare maggioranza  i voti dei partiti nazionalisti e indipendentisti catalani e baschi. Il 2019, in Spagna, sarà un anno pieno di appuntamenti elettorali