Libia: migranti, Sar e primi passi per Guardia costiera
Tripoli, pur con le limitazioni derivanti dall’incerta situazione interna, si avvia a dotarsi di proprie capacità di polizia marittima e di ricerca e soccorso (Sar): passo fondamentale per il controllo dell’immigrazione illegale e dei salvataggi in mare, oltreché, più in generale, per la ricostruzione dello Stato libico.
La Guardia Costiera Libica (Gcl), in un contesto di generale indebolimento delle istituzioni centrali, costituisce, infatti, per Tripoli, uno strumento di recupero del controllo degli spazi marittimi di giurisdizione, sia verso nord, sia ad est in direzione del Golfo di Sirte.
La sua ricostruzione non sarebbe potuta avvenire senza il supporto dell’Italia e dell’Unione europea che ne stanno sostenendo e monitorando gli sforzi e i progressi incentrati sulla costituzione di un Maritime Rescue Coordination Center (Mrcc). Di questo si è parlato a Roma lo scorso 11 ottobre, nel corso della Conferenza internazionale sul soccorso marittimo nel Mediterraneo organizzata dal Corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera su incarico dell’Unione europea (Seae e Affari interni).
la Conferenza Sar di Roma
La Conferenza, organizzata dalla Guardia Costiera italiana, ha visto la significativa partecipazione di una nutrita delegazione libica guidata dal Commodoro Abdullah Omar Abdullah Toumiya, comandante generale della Gcl, oltre che dei rappresentanti di quasi tutti i Paesi mediterranei, dell’Imo e dell’Ue.
La discussione si è incentrata sul progetto di realizzazione del Mrcc che dovrebbe essere finalizzato entro il 2020. Come si ricorderà, Tripoli ha dichiarato nel giugno di quest’anno, dopo alterne vicende, una sua zona Sar cui ha fatto seguito un nostro riconoscimento esplicito di competenza.
Da parte libica è stata indicata una chiara volontà di giocare il proprio ruolo marittimo nel rispetto delle convenzioni internazionali, proponendo ai Paesi vicini come Tunisia, Egitto e Italia la stipula di accordi di cooperazione Sar, in aggiunta a quelli già in vigore da anni con Malta e Grecia.
L’attivismo libico ripropone l’urgenza dell’annosa questione degli accordi di regionalizzazione del Sar che, specialmente in questi anni di intensa crisi migratoria, sono stati ostacolati dalla difficoltà di affrontare il problema del luogo di sbarco (Pos) dei migranti salvati.
Il quadro giuridico
Il quadro giuridico di riferimento è stato approfondito, nel corso della conferenza, da parte di due accademici come i professori Natalino Ronzitti e Tullio Scovazzi, ma anche da parte di numerosi altri esperti del settore intervenuti nel corso del dibattito.
Tra le principali questioni giuridiche attinenti il regime generale del Sar nel Mediterraneo, il professor Ronzitti ha indicato in particolare: 1) l’armonizzazione delle norme sul soccorso con gli aspetti riguardanti: a) la sicurezza (intesa come security) dell’alto mare minacciata dal traffico illegale di migranti ed esseri umani, nonché obblighi dei Paesi di partenza e diritto dei Paesi di destinazione a proteggere le proprie frontiere; b) il rispetto in mare dei diritti umani delle persone salvate; 2) l’esigenza di tener conto, ai fini dell’auspicata regionalizzazione del Sar, che l’Unclos e la Convenzione di Amburgo assegnano un carattere obbligatorio alla cooperazione tra Stati confinanti.
Durante il dibattito è stato messo in chiaro che, sinché perdura lo stallo tra Paesi vicini (come Italia e Malta) per la definizione dei limiti delle rispettive zone Sar, sarà difficile stabilire forme di collaborazione. A meno che gli Stati interessati non ricorrano alla composizione temporanea delle questioni di disaccordo, come previsto dall’Annesso Convenzione Amburgo, para 2.1.4 e 5
Pos: un problema ineludibile
Molto interesse ha suscitato l’esame delle questioni giuridiche legate al concetto di Pos che, pur se definito dall’Imo, si presta a contrastanti interpretazioni, come dimostrato anche dal fallimento dell’esercizio condotto dall’Italia assieme a Francia, Malta e Spagna sino al 2014 per stabilire procedure consensuali di scelta.
E’ stata evidenziata la debolezza e l’ambiguità dell’assetto normativo dell’identificazione del Pos, sia in termini geografici (vago concetto di place, che in teoria, potrebbe anche non identificarsi con un intero Paese), sia in termini concettuali (safety è un termine giuridicamente diverso da security). Un’ambiguità linguistica e giuridica di scarsa importanza se correlata a soccorsi di naviganti o passeggeri, ma che assume rilievo politico-diplomatico e geopolitico quando connesso con l’immigrazione irregolare verso l’Europa.
Ed è emerso con evidenza lo scontro tra i due principi generali che governano lo sbarco delle persone salvate durante attività Sar di migranti: il consenso necessario dello Stato nel cui territorio si trova il luogo prescelto di sbarco, stante l’assenza di un diritto di accesso ai porti per motivi umanitari; il principio di non respingimento che, impedendo di rimandare le persone salvate verso Stati a rischio umanitario, limita enormemente le opzioni di sbarco.
State building marittimo
Quello che né l’Ue né l’Italia sono riuscite a fare per creare una dimensione regionale del Sar, basata sulla cooperazione tra tutti gli Stati interessati ai flussi migratori, potrebbe riuscire a Tripoli se venissero coronati i suoi sforzi di stringere intese con i Paesi vicini.
Un corollario di tali accordi Sar potrebbe essere la conclusione del negoziato, arenatosi all’Imo qualche anno fa, per definire procedure consensuali di sbarco dei migranti. Ciò senza trascurare la dimensione della sicurezza che non può essere separata da quella del Sar, secondo lo spirito della nuova risoluzione delle Nazioni Unite 2437(2018), dedicata alla lotta al traffico di migranti ed esseri umani nell’interesse della stabilizzazione della Libia, anche al fine di supportare la missione di EunavForMed.
Le premesse sono state quindi poste per consentire alla Libia di esercitare in mare diritti e responsabilità riconosciutele dal diritto internazionale, ponendo termine al pericoloso vuoto che nel Mediterraneo centrale è stato sinora colmato dal titanico impegno italiano.
Si potrà così valutare l’efficacia della teoria dello State building dal mare la quale postula che siano proprio la dimensione marittima e poi quella costiera le prime espressioni della statualità libica da ricostruire con la collaborazione dei Paesi del Mediterraneo e in particolare dell’Ue.
La ricostruzione della Libia potrà tuttavia andare oltre la dimensione marittima se si verificheranno altre due condizioni. Da un lato, che le attività di controllo degli spazi marittimi siano affiancate da progetti di crescita delle attività economiche, privilegiando la blue growth, verso cui dirottare parte dei proventi delle risorse petrolifere. Dall’altro, che venga quanto prima affrontato il tema del rispetto dei diritti umani, settore in cui resta ancora molto da fare sul territorio libico, a cominciare dall’adesione di Tripoli alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati.