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Osservatorio IAI/Ispi

Politica di difesa italiana: duplice uso e resilienza

12 Ott 2018 - Alessandro Marrone - Alessandro Marrone

“Duplice uso” e “resilienza” sono tra le parole chiave delle linee programmatiche presentate dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta al Parlamento lo scorso luglio, e poi dettagliate nel documento di integrazione concettuale pubblicato sul sito del Ministero a settembre. Si tratta di due concetti già noti agli addetti ai lavori, che assumono tuttavia una rilevanza politico-strategica maggiore rispetto al passato nella visione del ministro, accanto ai tradizionali riferimenti a Nato ed Ue per la politica di difesa italiana.

Il duplice uso civile e militare delle tecnologie e delle Forze armate
Con duplice uso, o dual use, ci si riferisce normalmente a quelle tecnologie e sistemi in grado di svolgere compiti sia civili sia militari, quali ad esempio le costellazioni di satelliti europei che assicurano le comunicazioni satellitari tanto per le Forze armate che per soggetti privati, nonché un servizio di geo-localizzazione analogo al Gps statunitense. Nei due documenti del ministero si sottolinea come lo strumento militare abbia svolto, e probabilmente svolgerà maggiormente in futuro, importanti compiti concorsuali a sostegno delle autorità civili in caso di disastri naturali o antropici, ad esempio terremoti ed alluvioni, nonché per il presidio del territorio nazionale in funzione di contrasto alla criminalità e al terrorismo – vedasi l’operazione Strade Sicure in corso dal 2008, con circa 7.000 militari attualmente schierati nelle città italiane.

Dall’approccio proposto dal Ministro consegue che anche gli equipaggiamenti per le Forze armate, o almeno buona parte di essi, dovrebbero essere disegnati e costruiti in vista di un loro molteplice uso militare e civile – denominato “multipurpose by design”. Un duplice uso così “sistemico” delle Forze armate a sua volta contribuirebbe alla capacità dell’Italia nel suo complesso di rispondere ad attacchi, emergenze e crisi di varia natura, minimizzando gli effetti negativi, ristabilendo rapidamente un certo equilibrio ed adattandosi alla nuova situazione – capacità che concretizza il suddetto concetto di resilienza.

Sicurezza collettiva e collaborazione pubblico-privato
L’approccio indicato dal ministro Trenta tende quindi verso l’idea di “sicurezza collettiva” della società italiana, individuando tra le minacce o i rischi principali da affrontare non tanto quello di un conflitto armato con un altro stato, ma piuttosto la questione delle migrazioni di massa e delle crisi umanitarie, l’estremismo ed il terrorismo internazionale, le azioni ostili in campo cibernetico, la guerra “ibrida” condotta da attori statali e non – che a sua volta può ben tradursi nella compromissione degli approvvigionamenti energetici o delle infrastrutture critiche del Paese.

Di fronte a questo tipo di minacce o rischi, lo strumento militare è considerato parte di un approccio collegiale più ampio, che coinvolge non solo i ministeri degli Interni e degli Esteri, il Dipartimento informazioni e sicurezza e quello della Protezione Civile, ma più in generale le autorità pubbliche ed i soggetti privati rilevanti, a partire dai gestori e/o proprietari delle infrastrutture critiche fino al settore privato nel suo complesso, all’università e al mondo della ricerca. Un approccio collegiale che in una certa misura era già stato auspicato dal Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la difesa del 2015.

Il significato strategico e quello politico
L’approccio che emerge dai recenti documenti governativi è interessante per il suo significato strategico e politico. Dal punto di vista strategico, ovvero degli obiettivi per le Forze armate, delle modalità per raggiungerli e dei mezzi a disposizione per farlo, vi è lo sforzo di fare fronte, a partire dal livello concettuale, alla realtà contemporanea fatta in buona parte di minacce e rischi di natura non militare che colpiscono in vario modo la sicurezza e gli interessi nazionali.

Dal punto di vista politico, si nota il tentativo di connettere il mondo della difesa con una parte della società italiana, ampiamente rappresentata nell’attuale maggioranza di governo, scettica o dubbiosa sull’utilità delle Forze armate nel contesto attuale, e quindi sull’opportunità di dedicarvi adeguate risorse da parte di un bilancio pubblico perennemente sotto pressione su altri fronti.

Rispetto ad entrambi i significati strategico e politico, è opportuno ricordare la specificità delle Forze armate quanto a mandato, necessità ed equipaggiamenti. Secondo l’ordinamento vigente, giustamente citato anche dalle linee programmatiche del Ministro, lo strumento militare deve infatti assolvere quattro missioni, nel seguente ordine di importanza: difesa dello stato; difesa degli spazi euro-atlantici ed euro-mediterranei; contributo alla realizzazione della pace e della sicurezza internazionali; concorso alla salvaguardia delle libere istituzioni e allo svolgimento di compiti specifici in circostanze di pubblica calamità ed in altri casi di straordinaria necessità ed urgenza.

Le prime tre missioni prevedono anche compiti di combattimento, nonché capacità di deterrenza verso eventuali avversari proprio per evitare che si arrivi ad un conflitto armato – ovvero quanto si sta facendo dal 2014 al confine tra Nato e Russia. Ciò vuol dire ad esempio che sono necessari equipaggiamenti che dovranno svolgere compiti esclusivamente militari, e che le Forze armate hanno bisogno di un addestramento diverso da quello delle Forze con compiti di polizia e sicurezza pubblica. Anche considerando che gli organici di quest’ultime sono così numerosi da fare dell’Italia uno dei Paesi europei con il più alto numero di Forze di sicurezza (poliziotti, carabinieri, guardia di finanza ecc.) in proporzione alla popolazione.

Continuità su Nato e Ue
La specificità delle Forze armate è ancora più importante in un periodo storico in cui sia la Nato che l’Ue puntano maggiormente sullo strumento militare ai fini sia della difesa dell’Europa in un quadro internazionale sempre più teso, sia della stabilizzazione del suo vicinato da cui provengono buona parte dei rischi e delle minacce per la sicurezza degli stati membri.

Le linee programmatiche presentate in Parlamento contengono riferimenti sintetici ma importanti al riguardo, sostanzialmente in linea con la tradizionale politica di difesa italiana volta a coniugare gli interessi nazionali con il quadro europeo e transatlantico. La Nato è infatti ritenuta l’organizzazione di riferimento per garantire un’adeguata garanzia di sicurezza all’intera regione euro-atlantica, e l’Italia contribuisce quindi ai tre core tasks di difesa collettiva, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa. In particolare, il Ministero continuerà a promuovere tutte le iniziative, in primis il recente Hub di Napoli, per orientare l’Alleanza verso il Mediterraneo e il Medio Oriente in modo da affrontare crisi e instabilità nella regione, e a sostenere la cooperazione Nato-Ue.

Per quanto riguarda la dimensione europea, si ribadisce che l’Italia resta tra gli stati promotori Permanent Structured Cooperation (PeSCo) lanciata nel 2017 in attuazione del Trattato di Lisbona, e ne supporta l’avvio in una modalità inclusiva. La PeSCo e l’European Defence Fund sono visti anche come un’importante opportunità di crescita e sviluppo industriale. Proprio l’industria delle difesa e la relativa ricerca tecnologica ricevono molta attenzione nell’approccio dei due documenti, come elemento fondamentale di sovranità nazionale e crescita economica.

Nel complesso, la visione delineata dalla titolare della Difesa combina elementi significativi di cambiamento, quanto ad importanza e portata di duplice uso e resilienza per la sicurezza collettiva, con altri elementi di continuità in particolare rispetto alla posizione italiana nella Nato e nell’Ue. Un approccio che vedrà un primo fondamentale test nella legge di stabilità in discussione, e quindi nel bilancio effettivamente destinato dal governo alla difesa su cui pesa l’ombra di forti tagli.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana