Missioni internazionali: Italia, dura arrivare a fine mese
Era atteso da settimane l’atto ministeriale per assicurare e gestire il prosieguo delle missioni internazionali in cui l’Italia è impegnata nel corso del 2018, con il relativo finanziamento. L’autorizzazione in vigore, ad eccezione di alcune operazioni in Paesi terzi, assicura infatti copertura finanziaria solo fino al 30 settembre. Ora che la scadenza è ormai giunta, non v’ è traccia di alcun documento e, cosa peggiore, politicamente, non se ne sente neanche parlare.
Il coinvolgimento italiano nei teatri operativi
Secondo quanto stabilito nell’ultima delibera del Consiglio dei Ministri sulle missioni internazionali del 28 dicembre 2017, nel 2018 l’Italia partecipa a 42 missioni internazionali, condotte sia autonomamente, sulla base di accordi bilaterali siglati con il Paese ospitante, che in qualità di membro di forum multilaterali quali l’Onu, la Nato e l’Ue. Tali operazioni sono finalizzate, da un lato, a garantire ai cittadini italiani il bisogno primario di sicurezza nazionale e, dall’altro, ad accrescere il ruolo internazionale dell’Italia e la sua credibilità come partner sia di importanti alleati sia nei contesti multilaterali.
Per i primi nove mesi del 2018, l’Italia aveva deciso di confermare la partecipazione a 36 missioni internazionali e di avviarne altre sei. Nuove e più articolate missioni hanno assorbito compiti già svolti in missioni precedenti e non prorogate, come nel caso dell’iniziativa bilaterale in Libia che ha sostituito l’“operazione Ippocrate”, o della sorveglianza dello spazio aereo Nato, istituita al posto delle operazioni di Air Policing in Bulgaria ed Islanda. Novità assolute sono invece la partecipazione alla missione Nato di supporto alle forze armate e di sicurezza in Tunisia, all’operazione Ue di addestramento militare in Repubblica Centrafricana, e alla missione delle Nazioni Unite nel Sahara Occidentale.
Una menzione a parte merita, invece, il lancio a fine 2017 della missione bilaterale italiana in Niger. Tale operazione, prevedendo un notevole dispiegamento di uomini e mezzi, rappresenta infatti una svolta nel processo di “riposizionamento strategico” che l’Italia sta conducendo attraverso uno snellimento dei contingenti inviati in teatri operativi lontani dai confini nazionali, per contribuire al rafforzamento dell’impegno nell’area euro-mediterranea e nel continente africano.
Il ricollocamento geografico delle truppe italiane, sancito dalle suddette missioni in Niger, Tunisia, Sahara Occidentale e Repubblica Centrafricana, riveste una forte importanza alla luce delle primarie esigenze di sicurezza nazionale, quali il controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo, a loro volta provenienti dall’Africa, e la lotta al terrorismo internazionale di matrice islamica radicale. Non va tuttavia sottostimata la valenza strategica di operazioni in aree geograficamente più lontane come quella in Afghanistan, sia per il contrasto alla minaccia terrorista sia per la tenuta dei rapporti con gli Stati Uniti e gli altri alleati Nato.
Lo strumento finanziario e il bilancio della difesa
L’effettivo svolgimento delle operazioni internazionali è legato a doppio filo all’allocazione di risorse economiche da parte degli organi governativi e del Parlamento, tramite l’apposito fondo missioni. La relativa spesa pianificata fino al 30 settembre 2018 si aggira attorno ai 760 milioni di euro, attestandosi in linea con gli investimenti stanziati nel corso degli anni precedenti, di poco superiori al miliardo nell’arco dei dodici mesi.
Il fondo missioni costituisce però soltanto una piccola porzione del più complesso insieme della spesa italiana per la difesa, che è tradizionalmente ripartita in tre ambiti. Il primo è la funzione difesa, che ingloba le spese dedicate all’assolvimento dei compiti militari specifici di Esercito, Marina e Aeronautica, della componente interforze e della struttura del Ministero della Difesa. Il secondo è la funzione sicurezza del territorio, che racchiude le spese destinate all’Arma dei Carabinieri, differenziate da quelle di cui sopra perché inerenti alla pubblica sicurezza sul territorio nazionale, un compito diverso da quello svolto dalla funzione difesa in senso proprio.
Vi sono poi le cosiddette “funzioni esterne”, cioè attività affidate al Ministero anche se non rientranti nella sfera dei tipici compiti istituzionali. A queste spese per la difesa vanno infine sommati anche gli stanziamenti del Ministero dello Sviluppo economico per l’acquisizione e lo sviluppo tecnologico degli equipaggiamenti prodotti dall’industria nazionale, nonché il limitato ammontare di spesa riguardante l’effettivo impiego di Carabinieri nelle operazioni in Paesi terzi, tradizionalmente nel ruolo di addestratori delle forze locali.
Grazie all’aggregazione delle suddette voci, e sulla base dello scorso Documento programmatico pluriennale per il triennio 2017-2019, la spesa complessiva italiana nella difesa si attesta per il 2018 attorno ai 13 miliardi di euro, grossomodo l’1,1% del Pil, e sembra destinato a subire una lieve flessione l’anno venturo. L’Italia è dunque molto distante dal raggiungimento della soglia del 2% del Pil destinato alle spese per la difesa, come stabilito dai capi di stato e di governo di tutti i Paesi membri nel summit Nato del 2014.
Tuttavia, l’adozione di un approccio multidimensionale, sintetizzato dalla formula “cash, capabilities, contributions”, permette di considerare anche la dotazione di forze ed equipaggiamenti effettivamente interoperabili e dispiegabili (capabilities), e il contributo in termini di risorse effettivamente impiegate in missioni o esercitazioni in ambito Nato (contributions) per una valutazione ponderata del reale contributo degli Alleati alla sicurezza euro-atlantica.
In questo contesto, la partecipazione alle missioni internazionali è un elemento imprescindibile affinché l’Italia possa presentarsi agli alleati dell’Alleanza atlantica – ma anche in ambito Onu e Ue – come partner credibile, riuscendo a fare leva su uno dei suoi punti di forza, ovvero l’impiego dei militari all’estero, e compensando così le forti e persistenti lacune riguardanti la spesa destinata alla difesa.
La necessità di un’adeguata programmazione
Le missioni internazionali sono dunque strumenti necessari per garantire sia la sicurezza nazionale ai cittadini sia un ruolo internazionale rilevante per l’Italia. In un periodo in cui tutti gli indizi conducono al sospetto di ulteriori tagli al bilancio della difesa, in modo da ottenere liquidità da destinare ad altre spese e riforme ritenute prioritarie, sarebbe auspicabile custodire gelosamente il ruolo di credibile attore multilaterale che l’Italia ha costruito nel corso degli anni grazie a missioni egregiamente condotte, come quella Unifil in Libano.
Affinché ciò avvenga, però, non si può prescindere da un’inversione di tendenza sulla programmazione delle missioni internazionali. La prassi di prorogare le operazioni per un lasso di tempo estremamente limitato – come accaduto per la finestra temporale gennaio-settembre – costituisce infatti un ostacolo alla razionalizzazione delle risorse allocate. Così come la mancanza di certezze riguardo ai fondi da destinare alle missioni a partire dalla prossima settimana genera non poche incomprensioni tra gli alleati e i partner, nelle regioni dove sono impiegati i militari italiani, e nei forum multilaterali di cui l’Italia è parte.
Se è quindi necessario e urgente assicurare il regolare proseguimento per le missioni in corso, è altrettanto importante garantire una loro prossima pianificazione e finanziamento sull’arco dell’intero 2019, in modo da utilizzarne efficacemente il potenziale ai fini della sicurezza nazionale e della tutela degli interessi italiani in ambito internazionale.