Mar Caspio: Russia e Iran stessi timori, ma vantaggio a Mosca
La peculiare posizione del Mar Caspio, a metà fra gli Stati rivieraschi della Federazione Russa, l’Azerbaijan, l’Iran e il Kazakistan, lo ha reso un bacino fortemente contestato e un nodo diplomatico ed energetico incredibilmente complesso per l’area, a partire dalla sua definizione stessa quale mare.
La situazione del bacino eurasiatico è cambiata recentemente con la stipula di un accordo tra le parti, firmata nella città kazaka di Aktau: la Convenzione sullo status legale del Caspio. Difatti, lo scorso 12 agosto, la Federazione Russa, la Repubblica Islamica d’Iran, il Kazakistan, il Turkmenistan e l’Azerbaijan, tutte economicamente legate al bacino attraverso l’estrazione di idrocarburi, hanno definito dopo 20 anni di lotte diplomatiche, il Caspio quale ‘mare’.
Gli obiettivi della Convenzione sul Mar Caspio
La convenzione ha un duplice obiettivo: definire il Mar Caspio quale mare chiuso e darne una regolamentazione rigida, in modo da impedirvi l’attività militare da parte di Stati stranieri, e riservare lo sfruttamento delle risorse ai soli Paesi rivieraschi, nel rispetto dell’ambiente. Nei fatti, tuttavia, il regime di equipartizione delle competenze rivierasche vede un ruolo predominante della Russia e del Kazakistan, Turkmenistan ed Azerbaijan a discapito dell’Iran, le cui acque di competenza hanno avuto una riduzione significativa.
Lo sfruttamento del Mar Caspio è stato fondamentale per la Federazione Russa anche durante la guerra contro lo Stato Islamico in Siria, con il dispiegamento della flotta russa stanziato proprio in quell’area. Lo stesso vale per la flotta iraniana ed è per questo motivo che Teheran ha combattuto a lungo per impedire che la Russia e/o la Nato potessero avere influenza nella regione. In particolare, il legame tra gli Stati Uniti e lo stato azero per rifornimenti verso l’Afghanistan e il Kazakistan ha preoccupato lo Stato iraniano.
In tal senso, Mosca e Teheran hanno avuto politiche piuttosto concordi, e ciò è stato trasposto nell’articolo 3 della Convenzione (non presenza nel Mar Caspio di forze armate non appartenenti alle parti contraenti) che funge da meccanismo di non ingerenza esterna, almeno sotto il profilo militare della gestione del bacino.
Opportunità e limitazioni nella gestione del Mar Caspio
Sotto il profilo delle politiche energetiche dei Paesi occidentali, la Convenzione sul Mar Caspio sembrerebbe essere un grande ostacolo nella fornitura delle risorse energetiche, tra i cui fruitori troviamo anche l’Unione europea.
Tuttavia, la Convenzione all’articolo 14 prevede la possibilità futura di costruzione di oleodotti sul letto del Mar Caspio. Questa probabilità è tuttavia mitigata da due ostacoli importanti: un forte potere di veto da parte della Federazione Russa e dalla Repubblica Iraniana ai lavori di costruzione ed il rispetto dei Protocolli allegati alla Convenzione riguardanti la valutazione dell’impatto ambientale. Uno sconfinamento delle acque territoriali di un Paese rivierasco può portare all’annullamento del progetto.
Un’ipotesi considerata favorevolmente sia dall’Unione Europea che dagli Stati Uniti, i quali hanno a lungo spinto per la costruzione della Trans Caspian Pipeline (TCP). Il progetto prevede la costruzione di un gasdotto che vada da Türkmenbaşy in Turkmenistan a Baku in Azerbaijan e che quindi possa bypassare Russia ed Iran e fornire gas ai mercati europei in maniera alternativa. L’articolo 14 della Convenzione mira ad ostacolare un tale sviluppo per la regione e a tenere sotto controllo le fonti energetiche e le loro forniture.
Gli investimenti occidentali
Le aziende europee si stima abbiano già investito circa 40 miliardi di dollari per il progetto del South Stream per il gas naturale, in modo da trasportare combustibile dal giacimento di Shah Deniz, gestito dalla British Pretroleum in acqua territoriale dell’Azerbaijan, verso paesi i Paesi europei, tra cui anche l’Italia.
Infatti, tra i maggiori investitori nelle politiche energetiche legate al Mar Caspio risulta anche il nostro Paese, il quale collabora con i governi dell’Azerbaijan e del Kazakistan nella definizione di corridoi alternativi di trasporto delle risorse energetiche quale lo sviluppo del Trans Adriatic Pipeline, un gasdotto che collegherà l’Adriatico con il Mar Caspio attraverso Grecia ed Albania.
Sempre nel bacino del Caspio, un consorzio guidato dalla Chevron sta espandendo il suo gigantesco giacimento petrolifero di Tengiz in Kazakistan, con un costo stimato di 37 miliardi di dollari, per aumentare la produzione a 260.000 barili al giorno. Anche l’inglese ExxonMobil insieme a Kashagan, azienda petrolifera kazaka, sta sviluppando nuovi accordi a cui partecipano le compagnie energetiche Shell, Total, l’azienda italiana ENI, la China National Petroleum Corporation, KazMunayGas e Inpex, per l’estrazione di circa 300.000 barili al giorno.
Il Mar Caspio nello scacchiere geopolitico
La politica dei gasdotti eurasiatici risulta essere un gioco interconnesso. La Russia gravata dalla concorrenza commerciale della politica cinese “One Belt, One Road”, che ha dirottato il commercio dell’Asia centrale verso l’Iran con il sostegno cinese, ha concluso l’accordo sul Mar Caspio anche come concessione per ottenere vantaggi migliori nei confronti degli Stati europei. Ne è un esempio il gasdotto Nord Stream 2, argomento del meeting in Azerbaijan del 25 agosto riguardo il corridoio energetico meridionale, durante il quale l’Unione europea ha valutato la possibilità di corridoi alternativi rispetto al gas russo.
La produzione di petrolio e gas naturale dal Caspio rimane cruciale per il futuro degli approvvigionamenti, con una stima di produzione di due milioni di barili di petrolio al giorno. Un flusso che ha contribuito ad attenuare i mercati petroliferi globali dalle interruzioni in Medio Oriente, essendo la produzione del Caspio pari a quella che è scomparsa dai mercati globali durante la guerra civile libica.