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Tra Grecia e futuro euroatlantico

Macedonia: referendum sul nome, occasione sprecata

3 Ott 2018 - Edoardo Corradi - Edoardo Corradi

Domenica 30 settembre si è svolto in Macedonia un referendum consultivo con cui la cittadinanza era chiamata a esprimersi sul recente accordo di Prespa firmato tra Skopje e Atene, volto a risolvere la quasi trentennale disputa sul nome. Nonostante la maggioranza dei votanti si sia espressa massicciamente a favore dell’accordo e quindi a favore del cambio di nome in Macedonia del Nord, soltanto il 36,91% della popolazione si è recato alle urne.

Il quesito – chiedendo il parere dei macedoni sull’adesione all’Unione europea e alla Nato – metteva in luce come l’accettazione dell’accordo con la Grecia avrebbe significato l’avvio delle procedure per l’integrazione euro-atlantica del Paese. Dunque, nonostante una schiacciante vittoria dei sì – pari al 91,46% dei votanti -, il quorum della metà più uno degli aventi diritto auspicato dal governo socialdemocratico non è stato raggiunto e il referendum si è, per certi aspetti, tramutato in un fallimento.

Il governo traballa
Il primo ministro Zoran Zaev, nel tentativo forse di sensibilizzare più cittadini ad andare a votare, aveva fortemente personalizzato il referendum. Nel caso di sconfitta, infatti, il capo del governo aveva espresso l’intenzione di dimettersi e andare a elezioni anticipate. Tuttavia, forte della natura consultiva della consultazione, Zaev ha adesso dichiarato che cercherà di fare approvare la modifica costituzionale in Parlamento.

Per modificare il nome costituzionale del Paese è necessario il sostegno dei 2/3 dell’assemblea. La maggioranza – formata dalla Sdsm di Zaev e dal blocco dei partiti albanesi – raggiunge tuttavia 71 membri sugli 80 necessari per l’approvazione della modifica. Il referendum aveva dunque il compito di dare forza alle richieste della maggioranza nei confronti dei parlamentari dell’opposizione, in modo da riuscire a convincere i 9 necessari con la forza della volontà popolare.

Nonostante i votanti si siano espressi a favore del cambio di nome, soltanto poco più di 1/3 dei cittadini macedoni si è recato alle urne. I parlamentari dell’opposizione sono ora più difficili da convincere a schierarsi dalla parte del governo, potendo sostenere come più della metà della popolazione si sia espressa non andando a votare e facendo fallire la consultazione.

La scelta di Zaev di procedere comunque con la presentazione nell’assemblea monocamerale macedone è legittima, seppur politicamente rischiosa. Il referendum, infatti, era solo consultivo e sta ai parlamentari decidere cosa fare del voto popolare. Tuttavia, in caso di mancata approvazione da parte del Parlamento della modifica costituzionale il rischio di urne anticipate e del ritorno al potere della Vmro-Dpmne è elevato. Infatti, potrebbe nascere un sentimento di rivalsa nei confronti della Sdsm, rea di non aver rispettato la volontà popolare e aver provato comunque, seppur legalmente, a far approvare le modifiche derivanti dall’accordo.

La questione delle liste elettorali
Durante la crisi politica che ha interessato il Paese a partire dal 2014, per poi aggravarsi l’anno seguente, l’allora opposizione composta principalmente dall’attuale partito al governo, la Sdsm, aveva più volte denunciato come le liste elettorali fossero obsolete, rendendo più facili eventuali brogli elettorali.

Per porre fine alla crisi politica i vari partiti erano giunti alla firma dell’accordo di Pržino e della revisione dei registri elettorali. Tuttavia, questo lavoro non è stato completamente svolto e numerosi sforzi sono ancora da fare. Numerosi analisti e osservatori internazionali, tra i quali l’ex mediatore europeo durante la crisi politica Peter Vanhoutte, hanno denunciato come questo problema possa aver inficiato sul risultato finale del referendum, in particolare nei riguardi del quorum.

Le liste elettorali obsolete mostrano infatti un maggior numero di cittadini con diritto di voto, alzando dunque la soglia minima per raggiungere il quorum. Seppur non decisivo, analizzando i dati dell’affluenza, questo ha avuto sicuramente degli effetti negativi consegnando al governo un risultato più basso di quanto sperato.

In Grecia forse si festeggia
Il referendum era uno dei molti step necessari per giungere alla risoluzione di una delle dispute geopolitiche più bizzarre d’Europa. Una controversia che assomiglia più a un litigio tra due bambini permalosi, incapaci per lunghi anni di trovare quantomeno lo spazio per il dialogo. Un tema certamente sentito dalle due popolazioni e dalla classe politica, causando tensione mentre, in qualunque altro Paese, si fa quasi fatica a comprenderne i motivi.

Dopo più di un quarto di secolo, i rispettivi governi sono riusciti a giungere a una soluzione soddisfacente per entrambe le parti, dimostrando alle leadership internazionali che nei Balcani le dispute si possono risolvere anche con la diplomazia.

L’esecutivo greco di Alexis Tsipras è ora certamente sottoposto a meno pressioni. Se infatti il referendum in Macedonia non fosse fallito e le modifiche successivamente approvate, sarebbe toccato al suo governo mostrare le capacità di superare positivamente un delicato voto parlamentare sull’accordo. L’esecutivo di Tsipras stava già traballando da tempo per via della contrarietà del partito conservatore Anel, nella maggioranza di governo con Syriza. Tsipras è ora più tranquillo, in quanto il possibile fallimento dell’accordo deriva dalla controparte macedone e non dal suo Paese.

Crolla la credibilità internazionale?
La comunità internazionale aveva salutato con favore l’accordo tra Macedonia e Grecia. I leader europei, statunitensi e della Nato avevano dato il loro sostegno al referendum e al governo Zaev. Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, aveva dato il suo benestare per l’adesione della Macedonia e l’Alleanza Atlantica aveva formalizzato l’invito ufficiale al Paese, tenendo in considerazione la soluzione della disputa sul nome con la Grecia. L’orizzonte – almeno fino a domenica scorsa – era il 2019.

Il rischio di una caduta dell’esecutivo e il ritorno sulla scena politico dei conservatori della Vmro-Dpmne rischia di minare il lavoro svolto da questo governo nel ricreare fiducia da parte degli organismi internazionali. Benché infatti la Vmro-Dpmne sostenga come si sia opposta all’accordo in quanto non ottimale per la Macedonia, la realtà è che con un suo ritorno al potere sarà difficile sperare di giungere a una nuova intesa, qualunque essa sia.

Il Paese rischia dunque di pagare ora con l’isolamento se la maggioranza dei 2/3 dei parlamentari macedoni non voterà per la ratifica dell’accordo di Prespa. In questo caso, Zaev potrebbe perdere progressivamente il sostegno elettorale, ma avere ancora la maggioranza per governare e portare a termine gli impegni internazionali presi, ossia l’adesione alla Nato e l’apertura dei negoziati con l’Unione europea nel giugno 2019, contestualmente all’Albania. In questo caso, potrebbe indicare la via per la Macedonia e sperare che questa sia seguita dai prossimi esecutivi. Nel caso, invece, di elezioni anticipate, il futuro diventa un’incognita e il rischio di tornare a un non splendido isolamento è forte.

Foto di copertina © Eurokinissi via ZUMA Wire