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Presidenziali, verso il ballottaggio

Brasile: Bolsonaro, la violenza legittima una risposta sbagliata

11 Ott 2018 - Nicola Bilotta - Nicola Bilotta

La larga vittoria di Jair Bolsonaro al primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile ha reso più probabile un suo trionfo al ballottaggio del 27 ottobre. Una delle chiavi di lettura per spiegare il successo di Bolsonaro è da ricercare nella sua dialettica propagandistica imperniata sul concetto di ‘law and order’. In un Paese che ha sofferto circa 64 mila omicidi nel 2017, 3.7% in più rispetto al 2016, i problemi della criminalità dilagante e della mancanza di sicurezza sono divenuti nodi centrali non solo della vita quotidiana ma, di riflesso, del dibattito politico.

La percezione del fallimento dei partiti tradizionali, incapaci di arginare la criminalità, e la rabbia per un sistema, agli occhi dei più, endemicamente corrotto hanno giovato alla candidatura di Bolsonaro, che è stato abilmente capace di presentarsi come un outsider, nonostante sieda in Parlamento da vent’anni, e come una figura integerrima e dal pugno di ferro.

La ricetta di Bolsonaro per arginare la violenza
Il Brasile confina con i tre Stati – Colombia, Perù e Bolivia – che sono tra i maggiori produttori di cocaina al mondo: il che fa del Brasile uno degli snodi di transito per il commercio di droga dall’America Latina verso i ricchi mercati europei e statunitensi. La violenza generalizzata in Brasile è riconducibile alla presenza di influenti organizzazioni criminali coinvolte nella vendita di armi e droga, che, sfruttando la marginalità e la povertà di milioni di brasiliani, ingrossano facilmente le loro fila. Per rendersi conto della piaga della violenza in Brasile, si consideri che, nel 2017, sono avvenuti 30.8 omicidi ogni 100.000 abitanti, mentre in Messico, nell’immaginario collettivo la patria del narco-traffico mondiale, sono stati registrati 20 omicidi ogni 100.000 abitanti.

Il mantenimento della sicurezza pubblica è una prerogativa degli Stati più che del potere federale. Nel marzo di quest’anno, il governo centrale ha approvato un disegno di legge che cerca di facilitare il coordinamento tra la polizia federale e gli organi degli Stati affinché si possa migliorare l’efficienza operativa della polizia nel Paese. Le forze di pubblica sicurezza brasiliane lamentano una carenza di mezzi economici e umani per fronteggiare adeguatamente le organizzazioni criminali, con le quali sono costrette ad ingaggiare quotidianamente conflitti a fuoco.

Per contrastare la violenza dilagante, Bolsonaro offre soluzioni semplici per problemi strutturali: armare i cittadini con delle regole più elastiche sul porto d’armi e diminuire le pene per le forze di polizie accusate di eccesso nel ricorso della forza durante il servizio. Durante la campagna elettorale, Bolsonaro ha infiammato i cuori dei suoi sostenitori con una retorica potente ed efficace. In un comizio ha enfaticamente dichiarato: “Se uno di noi, un civile o un soldato, fosse attaccato e se sparasse 20 colpi, dovrebbe essere decorato e non portato a processo”.

Ricette a priori fallimentari
Entrambe le strategie sembrano essere fallimentari ben prima di essere attuate. La logica dell’armare i cittadini perché i ‘cattivi’ lo sono non sembra essere una soluzione congeniale alle caratteristiche sociologiche del crimine in Brasile. I dati mostrano che la violenza ha principalmente colpito le comunità più povere degli Stati meno ricchi del Paese. Le vittime della violenza sono in gran parte giovani di colore dei quartieri periferici più emarginati. Nello Stato di San Paolo si sono registrati 10.7 omicidi ogni 100.000 abitanti, mentre nelle regioni più povere del Nord-Est – come Rio Grande do Norte o Acre – sono avvenuti più di 60 omicidi ogni 100.000 abitanti. Non casualmente gli Stati con gli indici di omicidio più alti sono parte delle rotte internazionali del traffico di droga.

L’analisi non vuole negare assolutamente l’insicurezza costante in cui vivono i cittadini brasiliani, ma, quanto meno, mette in discussione la possibile efficacia di una maggiore diffusione delle armi nel Paese per contrastare la violenza, essendo la criminalità concentrata in alcune aree di marginalità socio-economica, in comunità nelle quali la penetrazione delle armi da fuoco, per la maggior parte illegali, è già altissima.

Così come legittimare ancor maggiormente l’eccesso dell’uso della forza da parte della polizia sembra potere divenire un fattore, paradossalmente, negativo per una maggiore sicurezza. Nel 2016, la polizia brasiliana ha ucciso in servizio circa 4.224 persone, di cui 76% erano persone di colore e l’80% di età compresa tra i 12 e i 29 anni. Human Rights Watch ha condotto una ricerca sugli abusi di potere della polizia brasiliana concludendo che all’interno del sistema giudiziario vige già una sorta di immunità per gli atti di violenza da parte della forza pubblica. Prima del 2010, anno in cui il governo approvò delle nuove direttive sull’uso della forza legittima della polizia, il Brasile era stato più volte accusato di permettere atti di arbitraria violenza contro i giovani delle zone più povere.

Servirebbe prevenzione più che repressione
Il Brasile ha un sistema carcerario al collasso con 691 mila detenuti in strutture che sarebbe in grado di ospitare solo 408 mila persone, di cui 2/3 sono in carcere o per condanne relative alla droga o in attesa di processo. Inoltre, l’efficienza del sistema giudiziario brasiliano lascia a desiderare: solo nel 10% degli omicidi viene trovato un colpevole e solo nel 4% dei casi si arriva a una condanna finale.

Sembra evidente che uno degli sforzi che si dovrebbe attuare sarebbe quello di lavorare sul modello di pubblica sicurezza del Paese per migliorare la cooperazione e il coordinamento tra i diversi livelli di polizia – municipale, statale e federale – sviluppando politiche di prevenzione e indagine più efficaci.

Le esistenti criticità del sistema giuridico e di sicurezza del Paese sembrano enfatizzare la necessità di un approccio che guardi alle radici socio-economiche della violenza in Brasile. Come sottolineato da un report della Banca Mondiale, per ridurre i livelli di criminalità nel Paese si dovrebbero perseguire tre politiche: diminuire la disuguaglianza interna e migliorare l’accesso all’istruzione e le condizioni di lavoro.