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Un colossale errore

Venezuela: Almagro e altri ipotizzano intervento militare

19 Set 2018 - Nicola Bilotta - Nicola Bilotta

Pochi giorni fa, Luis Almagro, il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), ha dichiarato che non bisognerebbe escludere un intervento militare in Venezuela per fronteggiare la crisi democratica che il Paese sta attraversando. La voce di Almagro è solo l’ultima a richiamare l’uso della forza per contrastare il governo autoritario di Nicholas Maduro.

In un’intervista rilasciata a settembre, il senatore americano Marco Rubio ha manifestato il suo appoggio a un’azione militare statunitense, asserendo che Maduro rappresenta una seria minaccia alla sicurezza nazionale americana. Lo stesso Donald Trump ha più volte confermato la possibilità di intervenire militarmente in Venezuela per garantirne la continuità democratica.

Alla luce della sempre più pressante crisi umanitaria ed economica che pesa sul Venezuela, l’intervento militare evocato da Almagro sembra essere, purtroppo, più di una vana propaganda politica. Ma questa possibilità sarebbe solo un’ulteriore catastrofe che si abbatterebbe sul popolo venezuelano.

I numeri di una crisi
Il Venezuela è entrato in un vortice che assomiglia ad una caduta libera senza freni. Il dissesto economico del Paese è lampante. Il Pil venezuelano si è contratto del 16% nel 2016, del 14% nel 2017 e si stima che nel 2018 diminuirà ancora del 15%. L’inflazione galoppante ha portato il Bolivar a perdere il 99.9% del suo valore rispetto al dollaro statunitense in due anni. Secondo alcune stime del Fondo Monetario Internazionale, l’inflazione potrebbe raggiungere una cifra pari al milione percentuale entro la fine dell’anno.

Le insostenibili condizioni macroeconomiche del Paese si riflettano drammaticamente sul popolo venezuelano, di cui il 90% vive in condizioni di povertà. La scarsità di cibo ha portato i venezuelani a perdere in media 11 chili di peso nel solo 2017. Il sistema sanitario è al collasso. Gli ospedali non hanno più scorte di medicinali base e malattie infettive, scomparse da anni, sono tornate a colpire la popolazione.

Migliaia di venezuelani scappano dal Paese ogni giorno. Si calcola che, dal 2014, circa due milioni di venezuelani, il 7% della popolazione totale, abbiano lasciato il Venezuela. Una crisi umanitaria senza precedenti per l’America latina. Una tragedia che sta mettendo in difficoltà anche gli stati confinanti, impreparati ad accogliere un numero così elevato di disperati.

Intervento militare: una scelta scellerata
Intervenire militarmente in Venezuela, come ipotizzato da Almagro e altri, potrebbe però rivelarsi una catastrofe per l’intersezione di diversi fattori. Gli Stati Uniti non hanno una base militare in Venezuela, il che rende logisticamente più complesso pianificare un’azione militare in un territorio che si estende su una superficie che è quasi il doppio di quella irachena.

Inoltre, il Venezuela è uno stato fortemente militarizzato. Fin dal primo governo di Chavez, le alte gerarchie militari hanno sempre occupato alte cariche governative, rafforzando un rapporto di profonda lealtà tra esercito e governo. Sotto Maduro, il ruolo degli alti funzionari militari all’interno della macchina governativa si è rafforzato, occupando posizioni di rilievo nelle aziende statali e nei programmi sociali statali. Nonostante alcuni fonti abbiano testimoniato un crescente malcontento nei ranghi dell’esercito, non sembra esserci uno scostamento significativo tra le forze militari venezuelane e il governo di Maduro.

L’esercito venezuelano conta su circa 365 mila uomini. Un numero elevato se si considera che il Brasile, con circa sette volte la popolazione del Venezuela, ha una forza militare di circa 366 mila soldati. Nonostante gli Stati Uniti abbiano proibito la vendita di armi e tecnologie militari al Venezuela sin dal 2006, il governo di Chavez ha potuto rafforzare e potenziare l’esercito del Paese grazie alle relazioni strategiche con Russia e Cina, dai quali ha importato tra il 2010 e il 2014 più di $2 miliardi in spese militari.

Un recente sondaggio ha anche mostrato che la maggioranza dei venezuelani, compresi coloro che si oppongono a Maduro, è contraria a un intervento militare straniero in Venezuela. Gli Stati Uniti rischiano anche l’isolazionismo politico dato che gli altri Paesi sud-americani si sono dichiarati contro qualsiasi azione militare in Venezuela. Pochi giorni fa, dieci Paesi latini hanno firmato, congiuntamente al Canada, un documento ufficiale confermando la loro avversità a qualsiasi atto di forza in Venezuela. Questo rifiuto non è arrivato solo dai tradizionali alleati regionali del Venezuela, come la Bolivia, ma anche da un Paese storicamente alleato degli Stati Uniti, la Colombia. Ivàn Duque, neo-presidente della Colombia, ha difatti negato di essere favorevole a una qualsiasi soluzione militare in Venezuela.

Anche nel caso di un rapido successo militare, lo scenario post-conflitto lascia dubbi sulla possibile stabilità politica del Paese. In Venezuela non sembra ancora essere emersa un’opposizione unita in grado di traghettare e consolidare il processo democratico dopo un’invasione militare. Gli Stati Uniti si dovrebbero preparare quindi ad un intervento militare di ampio respiro, di lungo termine e dal costo di vite elevato.

Cosa fare?
L’immobilismo internazionale non è la soluzione ottimale per risolvere la crisi in Venezuela. C’è la necessità di un maggiore dinamismo della comunità internazionale che si adoperi per alleviare le condizioni di chi scappa dal Venezuela. Per esempio, l’Onu potrebbe garantire lo status di rifugiati ai milioni di venezuelani che fuggono dal Paese, affermandone i diritti di protezione e sostenendo economicamente gli sforzi umanitari degli Stati ospitanti.

In secondo luogo, potrebbe essere rafforzata l’asse multilaterale. Si potrebbe aprire un dialogo con Cina e Russia per fare pressioni sul governo di Maduro e si potrebbero incrementare le sanzioni – già adottate dagli Usa e dall’Unione europea –che colpiscono i fondi finanziari dei funzionari più prominenti del Venezuela. Data anche la vicinanza geografica, gli Stati Uniti potrebbe ampliare il numero dei visti disponibili per i richiedenti asilo politico che scappano dal Venezuela.

Il richiamo di Almagro e altri a un intervento militare americano in Venezuela non è semplicemente anacronistico ma profondamente pericoloso: una mossa che giocherebbe a favore della propaganda di Maduro. Il rischio è di trasformare Maduro in un paladino della libertà venezuelana e della indipendenza regionale contro l’ingerenza statunitense nella regione. Un film già troppo volte visto nella storia dell‘America Latina.