Vaticano/Cina: Francesco rimette al centro le periferie
Che Santa Sede e Cina potessero raggiungere, dopo decenni, un accordo per un’essenziale normalizzazione dei rapporti era un’ipotesi ormai ampiamente diffusa. Dall’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio nel 2013, il lento processo fatto di dialogo costante e contatti reciproci tra Vaticano e Pechino è ripreso, mostrando una rinnovata vivacità e un discreto coinvolgimento da entrambe le parti. Che, però, si arrivasse concretamente alla stipula dell’accordo stesso, questo era tutto da vedersi.
Mentre papa Francesco era impegnato in un tour nelle repubbliche baltiche, la Santa Sede e il governo cinese hanno ufficialmente gettato le basi per il mutuo riconoscimento. Occorre specificare che l’intesa raggiunta si traduce in un Accordo provvisorio: esso è (e sarà) soggetto ad ulteriori revisioni, messe a punto e modifiche che, nel corso del tempo, potranno estendere (o meno) la pacificazione tra Chiesa e Cina popolare. Nucleo centrale dell’Accordo, comunque, è la modalità di selezione e nomina dei vescovi cinesi.
La nuova selezione episcopale
Fino ad oggi, Pechino ha celebrato senza mandato papale l’ordinazione dei prelati, attraverso i due organi statali preposti alla strutturazione della gerarchia ecclesiastica: da un lato, l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi (Apcc); dall’altro, l’Amministrazione statale degli affari religiosi. Oggi, grazie alle firme apposte sull’accordo, il Papa ripristina la propria supremazia inaggirabile nell’ambito delle consacrazioni episcopali: il processo di nomina partirà sì dal basso, con il coinvolgimento anche dell’Apcc, ma sarà concluso tassativamente in alto, ovvero dal pontefice. Ciò ristabilisce la piena comunione e unità della Chiesa cattolica in Cina con Roma.
Dunque, non un accordo di tipo politico. Le relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cina popolare, nonostante tutto, rimangono ferme al 1951, quando il regime maoista ordinò l’espulsione dell’ultimo nunzio presente nell’Impero di Centro. Due linee parallele che, apparentemente, sembrano destinate a non incrociarsi mai. Eppure, l’Accordo provvisorio può rappresentare un segnale importante in questo senso: a insegnarcelo sono proprio i protagonisti di questa vicenda.
La Cina secondo Bergoglio
Nell’ottica della strategia internazionale di papa Francesco – “uscita” dal perimetro ristretto del Vaticano, fine del romano-centrismo e Chiesa “in cammino” per il mondo –, le periferie geografiche diventano centro. La Cina non è certo una periferia “politica”, ma lo è sicuramente per quanto riguarda il raggio d’azione vaticano, che vorrebbe la Chiesa confinata nell’emisfero occidentale, ridotta spesso ad agenzia preposta alla certificazione della superiorità etico-morale della zona euro-atlantica.
Proprio grazie all’agenda missionaria di papa Francesco, il dossier cinese è tornato ad essere più che mai attuale. Del resto, nelle sue prime parole dopo l’elezione, Bergoglio si è definito come pontefice che arriva “quasi dalla fine del mondo”. Con questa frase, secoli fa, il gesuita Matteo Ricci aveva descritto il luogo dove il compito di evangelizzazione lo aveva portato: la Cina. È dunque anche lo spirito gesuita, improntato al dialogo e alla costruzione di ponti, che ha spinto Francesco ad avvicinare la cultura millenaria della Cina.
L’obiettivo – non solo di Bergoglio ma anche, prima di lui, di Benedetto XVI – è quello di realizzare la riconciliazione ecclesiale tra le comunità dei cattolici cinesi. La politica religiosa di Pechino ha creato, dagli anni Cinquanta ad oggi, una spaccatura interna tra i fedeli, che grosso modo si riduce alla contrapposizione tra la comunità ufficiale – quella sottoposta ai vescovi nominati direttamente dall’Apcc – e quella non ufficiale, composta da cattolici che non accettano le incursioni statali nella sfera religiosa. L’Accordo provvisorio mette ufficialmente fine a questa divisione, conferendo al papa autorità su tutti i credenti cinesi, che si aggirano tra i 9 e i 12 milioni.
Per capire, poi, come da questa intesa possa germogliare un accordo di tipo politico con la Cina, occorre rileggere quello che, di fatto, è il “manifesto” dell’azione internazionale di papa Francesco, ossia l’enciclica Evangelii Gaudium. Uno, in particolare, l’elemento da tenere in considerazione: il tempo. Per Bergoglio, “il tempo è superiore allo spazio”, e dunque occorre porsi in una prospettiva di longue durée, per la quale niente può essere considerato definitivo e tutto può essere, nel futuro, ridiscusso. L’Accordo provvisorio, in questo senso, non rappresenta né un compromesso risolutorio, né il traguardo ultimo del dialogo avviato con Pechino. Esso è soltanto, nell’interpretazione di Francesco, l’ultimo passo di un cammino che può avvicinare ancora di più Santa Sede e Cina popolare.
La Chiesa per Xi Jinping
In un discorso pronunciato all’Unesco, nel marzo 2014, il presidente cinese Xi Jinping aveva parlato della necessità di promuovere, a livello mondiale, un dialogo inclusivo tra tutte le civiltà del mondo: “La storia e la realtà hanno dimostrato che orgoglio e pregiudizio sono due grandi ostacoli agli scambi e all’apprendimento reciproco tra le civiltà”. Un discorso che trova una sponda ideale nella costruzione bergogliana di un sistema internazionale aperto, integrato e pluralistico, che rimetta in discussione l’attuale (dis)ordine globale.
Proprio queste affinità tra Pechino e Santa Sede hanno spinto Xi Jinping ad avallare l’Accordo provvisorio. A livello internazionale, dove la Cina gioca ormai da anni un ruolo sempre più da protagonista, l’intesa con la Santa Sede può rappresentare per l’Impero di Centro un endorsement significativo, arrivato direttamente da quello che, ancora oggi, è considerato da molte cancellerie europee e nordamericane come “bastione occidentale”. Dimostrazione dunque che civiltà diverse possono coesistere e cooperare.
Da non dimenticare, poi, il valore interno di tale accordo per la Cina popolare. L’unificazione delle due comunità cattoliche, e dunque una maggior facilità nel controllo delle dinamiche episcopali, e la possibilità di consolidare la propria immagine tra i milioni di credenti cinesi contribuiscono a raggiungere la stabilità sociale del Paese e a rafforzare ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno, la leadership di Xi Jinping. Del resto, per poter esercitare una politica estera di profilo mondiale, come quella immaginata dalla Belt and Road Initiative, la Nuova Via della Seta, occorre mantenere ben saldo il potere all’interno.
Il futuro delle relazioni sino-vaticane
Da una parte e dall’altra, l’Accordo provvisorio può diventare un passaggio per arrivare, finalmente, al riallacciamento di rapporti tra Santa Sede e Cina popolare.
Per la Chiesa, l’intesa può essere un prezioso background sul quale innestare nuovi negoziati in futuro, non volendo assolutamente perdere l’irripetibile occasione di poter stringere relazioni con uno dei principali attori a livello globale e tra i protagonisti imprescindibili per l’edificazione di un sistema internazionale più pacifico. Per Pechino, invece, il riconoscimento da parte della Santa Sede avrebbe ripercussioni positive, anche per quanto riguarda lo status internazionale di Taiwan. Taipei ha infatti nelle relazioni esclusive con il sommo pontefice un vantaggio che, di fatto, potrebbe essere presto annullato.