Space Force: gli Usa tornano a cercare l’egemonia spaziale
Il 9 agosto, il vice-presidente degli Stati Uniti d’America Mike Pence ha annunciato la creazione di una sesta forza armata, la Space Force. Al di là dell’elemento accattivante di un nome che suona come un annuncio di ‘Star Wars’, bisogna analizzare le implicazioni di questa decisione.
Prima di tutto, va sottolineata la portata amministrativa di un provvedimento che sposta lo US Air Force Space Command e che dovrebbe interessare le circa 50mila persone che già lavorano nel comparto spaziale della difesa statunitense, che ha da tempo investito in sistemi spaziali concepiti in origine come un corollario della dissuasione nucleare.
Bilanci spaziali civili e militari a confronto
Oggi il budget della difesa Usa supera i 700 miliardi di dollari: la parte dedicata allo spazio è di circa 15 miliardi, cui vanno aggiunti alcuni programmi segreti – il che lascia supporre un totale di una ventina di miliardi -. La richiesta fatta da Pence di ulteriori otto miliardi in cinque anni per costituire la Space Force va ad arrotondare questa somma, aggiungendovi un po’ meno di due miliardi l’anno, ma non rappresenta una novità.
La Nasa, l’ente spaziale degli Stati Uniti, ha un budget di circa 19 miliardi di dollari annui, il che indica una sostanziale parità fra spese spaziali civili e militari negli Usa, con una tendenza alla crescita delle seconde, un fattore che crea una domanda pubblica molto sostanziosa per le aziende statunitensi.
Un arsenale da utilizzare e da proteggere
L’essenziale delle operazioni spaziali militari riguarda il comparto satellitare. Gli Usa possono oggi disporre di 120 satelliti militari, mentre i russi hanno circa un centinaio di sistemi e i cinesi ne hanno alcune decine, anche se le loro capacità sono in aumento. In Europa, la Francia conta su una decina di satelliti, mentre l’Italia ne vanta otto, la Germania sette e la Spagna tre, includendo alcuni sistemi duali.
Dalla Guerra del Golfo in poi, lo spazio s’è affermato come una dimensione fondamentale per le operazioni militari americane che si affidano ai dati di posizionamento o di immagine ma anche alle capacità di telecomunicazioni offerte dai sistemi satellitari. Le tecnologie spaziali sono diventate un asset strategico della catena operazionale militare che va poi protetta in quanto tale e che gli Usa vogliono ora riunire nella Space Force.
La percezione della minaccia cinese
Quando nel 2007 un razzo cinese ha distrutto un satellite meteo, gli Stati Uniti hanno percepito e presentato quest’esercizio come una nuova soglia di minaccia concreta, che ha poi prodotto ulteriori investimenti per assicurare il dominio dello spazio. Questa percezione della minaccia cinese è apparsa con forza in alcuni recenti documenti del Pentagono, tra cui il rapporto annuale presentato al Congresso nel 2018, e serve a giustificare ulteriori investimenti spaziali, che possono inoltre risultare opportuni anche per motivi elettorali, dato che l’insediamento industriale spaziale è molto forte in alcuni Stati dell’Unione politicamente sensibili, i cosiddetti ‘battleground States’.
La minaccia cinese è anche servita a rinnovare la dialettica del nemico per gli Usa e ha poi dato luogo a un’ulteriore interpretazione. Gli Usa vogliono mantenere un loro dominio tecnologico, e quindi anche spaziale, difendendo una posizione di egemonia. Sembra che i vertici della difesa americani abbiano interiorizzati le teorie di Graham Allison, che nella sua opera ‘Destined for War’ del 2017 ha sviluppato la tesi della “trappola di Tucidide”: basandosi sulla storia della guerra del Peloponneso, l’autore sostiene che la sfida fra una potenza emergente (oggi la Cina) e una potenza egemone (gli Usa) crei gravi rischi di conflitto.
Un rilancio della corsa agli armamenti
Se una lettura raffinata di Allison potrebbe portare a cercare elementi ci cooperazione per evitare il conflitto, il potere militare americano sembra fermarsi alla prima parte di questa previsione, avendo in mente la pericolosità della rivale emergente e quindi giustificando la necessità per gli Usa di mantenere l’egemonia.
Di fatto, questa politica comporta il rilancio di una corsa agli armamenti nello spazio, un faccia a faccia diverso da quello della Guerra Fredda, dove lo spazio era anche teatro di iniziative di cooperazione scientifica e quindi di distensione. L’egemonia tecnologica può rivelarsi un’effimera illusione in quanto le lezioni del passato insegnano che alla fine altre potenze riescono a investire e a competere.
Il ruolo dell’Europa
Si pone anche la questione della posizione europea nei confronti di questa nuova corsa spaziale. E’ fondamentale prendere in considerazione le peculiarità delle tecnologie spaziali che rappresentano un’infrastruttura di raccolta e trasmissione dati fondamentale. Questo spiega tra l’altro come mai le tecnologie impiegate siano le stesse per gli impieghi civili e per quelli militari, come di vede nel caso della navigazione satellitare.
Ma questa capacità di sovranità tecnologica produce anche un effetto strategico globale, perché determina per una potenza la possibilità di accedere ad informazioni e di confrontarle con quelle altrui. Esiste quindi una serie di necessità operazionali per poter assicurare in modo autonomo la continuità delle missioni della difesa, ma ci sono anche necessità politiche per poter accedere a un livello politico militare riservato a chi detiene lo strumento tecnologico. Anche se non ci sono illusioni sugli aspetti strumentali della Space Force americana, gli Stati dell’Ue impegnati nel settore spaziale (Francia, Germania, Italia, Spagna), ma anche l’Unione europea e l’Agenzia spaziale europea, devono seguire il movimento globale per non perdere la massa critica tecnologica che permette poi di influire sulla politica mondiale.
Abbiamo già evocato il fatto che alcuni Paesi si siano dotati di sistemi nazionali. Bisogna però insistere sulle opportunità che lo spazio può rappresentare come ulteriore investimento europeo, anche ai fini della difesa. Già la costellazione di navigazione satellitare Galileo sta dimostrando l’utilità di un’infrastruttura europea ad uso sia civile che militare.
L’Europa si rivela oggi carente per quanto riguarda la sorveglianza spaziale, ovvero il monitoraggio dell’insieme degli oggetti orbitanti. Si tratta di un’attività fondamentale per potere determinare chi fa che cosa nello spazio ed esercitare un ruolo politico maggiore. Non rappresenta lo sviluppo di vere e proprie armi, ma di sistemi informativi necessari per l’informazione politica e strategica, un tipo di investimento che potrebbe mettere d’accordo governi e istituzioni europee e magari portare alla proposta di una Space Force europea.