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La pace è fatta

Etiopia-Eritrea: Arabia Saudita allunga mani su Corno d’Africa

22 Set 2018 - Eloisa Gallinaro - Eloisa Gallinaro

Ora la pace tra Etiopia ed Eritrea sembra esserci davvero, con  la firma a Gedda, il 16 settembre, di un trattato che non è  un estemporaneo esercizio diplomatico, ma il punto di approdo di un processo tanto rapido quanto solido. Intanto perché a metterci la faccia non sono solo il premier di Addis Abeba Abiy Ahmed e il presidente di Asmara Isaias Afewerki, ma anche i ‘registi’ sauditi – re Salman bin Abdulaziz e il giovane e influente principe ereditario Mohammed bin Salman – e testimoni del calibro del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e del presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Fazi Mahmat, oltre al ministro degli Esteri degli Emirati Abdullah bin Zayed Al Nahyan.

E se il comunicato diffuso da Riad per annunciare l’evento parla, un po’ vagamente, del “ ripristino di normali relazioni fra i due Paesi, sulla base degli stretti legami geografici, storici e culturali”,  la sostanza dei fatti c’è tutta e la discesa in campo dell’Arabia Saudita è a suo modo una garanzia, oltre che un’ipoteca sul futuro dei due Paesi e dell’intero Corno d’Africa.

Tra Addis Abeba e Asmara un processo solido
Che Etiopia ed Eritrea facessero sul serio sul fronte della riconciliazione, a vent’anni dalla sanguinosa guerra di confine del 1998 che non era mai del tutto finita, era apparso chiaro con la trionfale visita ad Asmara del premier di Addis Abeba, Abiy Ahmed, l’8 luglio e con la ripresa delle relazioni diplomatiche il giorno successivo. Un passaggio chiave dopo le aperture del giovane leader riformista che nel discorso di insediamento, il 2 aprile, aveva usato toni concilianti nei confronti dell’ Eritrea e il successivo 6 giugno aveva dichiarato la cessazione dello stato di emergenza e l’accettazione dell’Accordo di pace firmato ad Algeri nel 2000 e rimasto fino a quel momento lettera morta.

A spingere verso la pace il giovane leader (42 anni) di Addis Abeba un disegno di stabilizzazione del Paese che passa attraverso la ripresa economica e la necessità di attrarre investimenti internazionali e di cui parte fondamentale è il ripristino di quello sbocco al mare storicamente rappresentato dal porto eritreo di Massaua, ma che passa anche attraverso la soluzione del problema dei profughi: centinaia di migliaia di eritrei in fuga da condizioni economiche drammatiche e dalla violazione sistematica dei diritti umani ammassati nei campi dell’Etiopia, che costituiscono  una emergenza permanente.

Afewerki da parte sua, in un sussulto di pragmatismo, è riuscito a cogliere probabilmente l’ ultima occasione per non passare alla storia come il responsabile del collasso economico del suo Paese e di una spirale repressiva senza uscita che ha fruttato ad Asmara il bando internazionale e pesanti sanzioni. Le tappe successive hanno scandito la volontà di mettere fine a una situazione non più sostenibile e il risultato è stato un disgelo a passo di marcia in meno di due mesi: il ripristino delle linee telefoniche interrotte da vent’anni, la ripresa dei voli, la riapertura dell’ambasciata etiopica nella capitale Eritrea e, l’11 settembre, la riapertura delle frontiere.

L’ipoteca di Riad sul Corno d’Africa
Ma al di là della questione umanitaria e delle opportunità economiche, i dividendi della pace possono rilanciare il ruolo strategico del Corno d’Africa nel grande gioco della regione dove, con la regia dell’accordo di Gedda, l’Arabia saudita ha segnato un punto a suo favore, certamente in funzione anti iraniana. Anche  alla luce della partita che Riad sta giocando sulla sponda opposta del Mar Rosso, in Yemen, a capo di una coalizione araba che – nonostante la potenza di fuoco messa in campo – non riesce a venire a capo della ribellione Houthi sostenuta da Teheran contro il presidente filo saudita Mansur Hadi.

Sempre sotto lo sguardo vigile dell’Arabia Saudita è partita, ai primi di settembre,  la mediazione della presidenza etiopica per normalizzare i rapporti tra Eritrea e Gibuti, dopo un lungo periodo di dispute di confine. Dal  nuovo corso nel Corno non resta fuori neppure l’instabile Somalia, come dimostra l’incontro ad Asmara ai primi di settembre tra Ahmed, Afewerki e il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo e la firma di un accordo di cooperazione a tre. Lo stesso giorno, la prima volta dopo vent’anni, una nave etiopica è arrivata nel porto eritreo di Massaua, per ripartire con un carico di 11.000 tonnellate di zinco destinato alla Cina. Una rotta dal forte simbolismo: l’interesse di Pechino per l’area non è una novità, ma un Corno stabile e pacificato può diventare uno snodo chiave lungo quella nuova Via della Seta, e il suo enorme volume d’affari, che è una delle più grandi scommesse strategiche dell’ ‘imperatore’ Xi Jinping.