America latina: donne e diritti, una sfida complessa
Una storica ‘questione femminile’ percorre gli asuntos politici e sociali del Sud America: il binomio donne e attivismo si esplica, infatti, tanto nella peculiarità dei fenomeni locali, quanto nelle dinamiche di formazione dei movimenti ‘dal basso’ e dei collettivi organizzati intorno a singole attiviste che molti ricercatori inquadrano in un’ottica di impegno panamericano. Una cultura dell’ attivismo che, nei decenni, è stata reinterpretata da migliaia di donne sudamericane, scese in campo per rivendicare diritti e libertà a lungo negate, in un tessuto societario minato da crescenti diseguaglianze socio-economiche.
Donne, diritti e libertà: la partita delle diseguaglianze
Uno studio della Inter-America Development Bank (Idb), dal titolo Has Latin America Inequality Change Direction? (2017), mostra un progressivo miglioramento della condizione socio-economica delle cittadine latino-americane: su base decennale, la crescita nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha inizio negli Anni ’70, aumentando nei due decenni successivi. Dato favorito, nel complesso, dalla scolarizzazione massiccia e da un’estensione delle tutele sociali per donne e minori.
Nella prima decade del XXI secolo, il tasso di analfabetismo scende, in media, sotto il 10%, rispetto al 40% degli Anni ’50. Tuttavia, il divario di genere persiste e la forbice del reddito, a partire dal 2000, si attesta di anno in anno su livelli crescenti: le donne latino-americane rappresentano meno del 35% del reddito nazionale pur essendo, la componente femminile, circa il 40% della forza lavoro.
Nei Paesi che presentano un elevato divario salariale, sostiene il rapporto, maggiore è il gap di genere. Un primo gruppo di nazioni, formato da Cile, Bolivia, Honduras, Perù, Nicaragua ed Ecuador, mantiene, nei decenni, livelli elevati di diseguaglianza socio-economica, riducendo solo in parte il divario di genere nelle retribuzioni che, in media, restano di molto inferiori per le lavoratrici rispetto agli occupati di sesso maschile.
Un secondo gruppo, formato da Argentina, Uruguay, Costa Rica e Venezuela presenta una bassa stratificazione di ineguaglianze e un divario decrescente nel reddito percepito da donne e uomini. Buenos Aires e Montevideo registrano il più basso livello di diseguaglianza tra i Paesi sudamericani e il più alto tasso di attività (per entrambi i sessi) e partecipazione femminile al mercato del lavoro, mentre Caracas mostra il numero più basso di donne occupate. Caso speciale riguarda il Brasile, dove si riscontrano ampie diseguaglianze tra le diverse fasce della popolazione e un alto divario retributivo tra uomini e donne, nonostante le politiche sociali intraprese dagli esecutivi negli ultimi anni e le pressioni esercitate sul Paese a livello internazionale.
L’impegno femminile nella politica sudamericana
Adottata nel 1979 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna fissa le linee guida “al fine di assicurare il pieno sviluppo ed il progresso delle donne” (art.3) verso legislazioni nazionali che eliminino “norme ineguali o distinte” (art.4). Donne elette in ruoli di vertice, rispettivamente alla presidenza del Brasile (Dilma Rousseff dal 2011 al 2016), dell’Argentina (Cristina Fernández de Kirchner dal 2007 al 2015), del Cile (Michelle Bachelet, per due mandati dal 2006 al 2010 e dal 2014 al 2018), della Costa Rica (Laura Chinchilla Miranda dal 2010 al 2014), hanno promosso politiche progressiste, dando impulso ad un approccio inclusivo e plurale nei confronti delle fasce sociali più vulnerabili.
Sotto la presidenza di CFK (come Kirchner è stata soprannominata in patria), l’Argentina ha esteso le tutele alla maternità, riconosciuto, nel 2010, le unioni civili tra persone dello stesso sesso e aggiornato, nel 2012, la legislazione sull’identità di genere, sensibilizzando i cittadini ai temi della sessualità: un passaggio decisivo nella vita civile del Paese che, tuttavia, ha incontrato non poche frizioni politiche quando, lo scorso 9 agosto, il Senato ha respinto la legalizzazione dell’aborto.
Già direttrice della UN Entity for Gender Equality and Women Empowerment, l’ex presidente del Cile Michelle Bachelet ha recentemente assunto l’incarico di Alto Commissario dell’Onu per i diritti umani. “Una pioniera, una visionaria, una donna di princìpi e una grande leader per i diritti umani in questi tempi difficili”, così l’ha definita il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. In prima fila nella salvaguardia dei diritti umani e civili, prima e durante la sua presidenza, il Cile ha dato il via libera, nel 2015, alle unioni civili e il Senato, l’anno successivo, ha approvato una proposta di legge sull’identità di genere. La Bachelet ha, inoltre, fondato l’Istituto nazionale per i diritti umani e inaugurato il Museo della Memoria nella capitale Santiago (2009): oltre alla portata storica e simbolica per il Paese, tutt’oggi emerge la necessità di fare luce sulle atrocità perpetrate su donne e minori durante la dittature militare di Augusto Pinochet (1973-1990) – documentate prima nel Rapporto Rettig, contestato dai difensori dei diritti umani cileni per le presunte omissioni, e in seguito nell’Informe Valech (ultima versione del rapporto presentata nel 2011).
Una spirale di violenza contro l’attivismo femminile
Il mosaico sociale latinoamericano si presenta, dunque, frammentato e contraddittorio, soprattutto per le migliaia di donne ai margini della società, minacciate quotidianamente dalla violenza e dal disprezzo della dignità umana. Un appello lanciato recentemente da Amnesty International vuole rompere il silenzio sull’assassinio di Marielle Franco, l’attivista brasiliana uccisa sei mesi fa nel quartiere Estacio di Rio de Janeiro. Eletta nel 2016 nel consiglio comunale della città, si èspesea lungo in difesa delle persone più emarginate. La Franco ha combattuto numerose battaglie civili al fianco della comunità Lgbt, delle donne nere e dei giovani delle favelas, raggiungendo importanti risultati come membro della Commissione statale per i diritti umani.
Il suo caso non è isolato, come lei stessa denunciò su Twitter il giorno prima del suo assassinio (13 Marzo): “Un altro omicidio di un giovane che potrebbe essere accreditato alla polizia, […] quanti altri dovranno morire per fare finire questa guerra?”. Dura la condanna agli organi di polizia e dell’esercito che, non solo in Brasile, sono accusati di reprimere in modo brutale attivisti e dissidenti politici.
In Messico, riporta un articolo de El Paìs, proseguono da mesi le proteste delle ‘mitoteras’, trenta donne alla disperata ricerca di figli e mariti incensurati, ‘desaparecidos’ nello scontro frontale che oppone i militari messicani ai cartelli della droga nello stato del Tamaulipas, al confine con il Texas. Karen, Jessica, Gabriela e Azeneth sono solo alcune delle donne che, come l’attivista argentina María ‘Chica’ de Mariani – scomparsa lo scorso 20 agosto, tra le fondatrici dell’associazione Abuelas de Plaza de Mayo –, invocano giustizia per i propri figli e nipoti, ad oltre quarant’anni dalla caduta della Giunta militare di Videla e, per le cittadine messicane, a distanza di venticinque anni dai fatti di Ciudad Juarez. Nella città al confine tra Messico e Stati Uniti, dal 1993 al 2005 si registrarono oltre 300 femminicidi e ad oggi, nella sola regione nord-orientale del Paese, sono seimila le persone scomparse nel nulla.
Preoccupa, soprattutto, la brutale violenza nei confronti dei difensori dei diritti: il Comitato brasiliano per i difensori dei diritti umani segnala che, tra il gennaio e settembre 2017, sono stati uccisi in Brasile 62 attivisti, la maggior parte impegnata in difesa del territorio e delle popolazioni locali, come documentato anche da un rapporto (At what cost?, 2018) dell’Ong Global Witness: nel 2017, hanno perso la vita in Sud America 207 ‘attivisti ambientali’.
Solo un anno prima, l’assassinio dell’ambientalista honduregna Berta Cáceres segnò il culmine della tensione in un’area fiaccata dallo sfruttamento incondizionato delle risorse naturali. Schieratasi in difesa della comunità indigena dei Lenca e impegnata nella salvaguardia del Río Gualcarque, la Cáceres venne insignita del prestigioso riconoscimento internazionale Goldman Environmental Prize (2015), che alimentò profonde avversioni nei suoi confronti. Negli ‘spazi di frontiera’ latinoamericani, il coraggio delle donne si scontra con il pregiudizio sociale, provato da idiosincrasie politiche e minacciato da interessi criminali.