Usa: midterm, un voto incerto nell’esito e nell’impatto
Per Donald Trump, la prossima sfida si avvicina. Il 6 novembre, fra poco meno di cento giorni, negli Stati Uniti, si terranno infatti le elezioni di midterm, cioè di metà mandato, con cui si rinnova la totalità della Camera e un terzo del Senato. Un test politico di assoluta importanza. Non solo repubblicani e democratici hanno già iniziato la campagna elettorale. Ma, stando a quanto riporta la testata americana The Hill, questa sfida si accingerebbe a essere una delle più dispendiose di sempre.
Pare infatti che le varie parti in lizza (tra partiti, comitati e gruppi di sostegno) abbiano predisposto spot per un valore complessivo di un miliardo di dollari. In particolare, solo per il Senato, repubblicani e democratici avrebbero già speso una cifra pari a centosettanta milioni di dollari in campagne televisive. E altri duecentotrenta milioni sarebbero inoltre pronti per essere investiti nei prossimi giorni. Cifre mastodontiche, certamente, che evidenziano la centralità di questo scontro politico. Uno scontro dall’esito ancora abbastanza incerto.
I democratici leggermente favoriti
A un primo sguardo, i democratici sembrerebbero i favoriti. Secondo Real Clear Politics, essi godono attualmente d’un vantaggio del 7% sugli avversari. Inoltre, un sondaggio condotto dal Pew Research Center lo scorso giugno ha evidenziato come il Partito dell’Asinello conterebbe al momento elettori più agguerriti e motivati: un fattore probabilmente determinato dall’opposizione alle politiche di Trump, con l’emergere nelle primarie di candidati ‘liberal’ e ‘sanderisti’, come la newyorchese Alexandria Ocasio-Cortez, che ha battuto nelle primarie il quotato deputato uscente Joseph Crowley.
A tutto questo, bisogna poi aggiungere un dato storico importante: solitamente ad essere avvantaggiato nelle elezioni di metà mandato è il partito che non detiene la Casa Bianca. Basti ricordare che Barack Obama perse le midterm nel 2014 e – parzialmente – nel 2010. George W. Bush si ritrovò privato del controllo di entrambe le Camere nel 2006, mentre a Bill Clinton accadde sia nel 1994 che nel 1998.
Infine, c’è un ulteriore elemento da tener presente. Numerosi repubblicani temano ripercussioni negative a causa delle politiche commerciali protezioniste adottate da Trump contro Pechino. E questo non solo perché, dalle parti dell’Elefantino, quei dazi sono spesso visti come una violazione dell’ortodossia reaganiana. Ma soprattutto perché quelle politiche tariffarie rischiano di avere un impatto negativo su determinate aree elettorali. la controffensiva commerciale cinese, mirata a colpire fra l’altro l’import di soia, potrebbe suscitare un deciso malcontento fra gli agricoltori, che nel 2016 sono stati una fonte di voti preziosa per Trump e che adesso potrebbero voltare le spalle all’intero Partito repubblicano.
Ma i repubblicani non hanno ancora perso
Ciononostante bisogna fare attenzione ai facili automatismi. I democratici infatti sono ben lungi dall’avere la vittoria in tasca. E questo per una serie di ragioni. Innanzitutto non bisogna dimenticare che anche nel luglio del 2014 (l’anno, cioè, delle precedenti elezioni di midterm) l’Asinello era dato avanti di alcuni punti percentuali. Il vantaggio estivo non impedì ai democratici di perdere entrambe le Camere pochi mesi dopo.
In secondo luogo, è vero che i dazi di Trump possono generare malcontento, ma è altrettanto vero che i recenti dati sul prodotto interno lordo (che ha registrato una crescita del 4,1% nel secondo trimestre 2018) potrebbero rivelarsi un’autentica manna per il Partito repubblicano.
Inoltre, non dimentichiamo la difficilissima situazione interna al Partito democratico, ancora preda di contrasti tra il centro e la sinistra, guidata dal senatore del Vermont Bernie Sanders. Le ultime primarie hanno visto una decisa avanzata di candidati legati all’area più radicale del partito: si pensi appunto alla Ocasio-Cortez. Non è ancora chiaro che cosa comporterà in termini elettorali questa ondata radicale nel Partito dell’Asinello: se lo aiuterà concretamente a rinnovarsi o se si rivelerà solo uno sterile furore settario.
Infine, non bisogna trascurare un altro dato importante. Per quanto il partito avverso al presidente cerchi sempre (comprensibilmente) di trasformare le elezioni di metà mandato in un referendum sulla Casa Bianca, le cose non stanno esattamente così. Se il voto alla Camera può effettivamente, nel suo insieme, riflettere una tendenza di tipo nazionale, al Senato la situazione è ben differente: qui il voto presenta infatti generalmente una natura di carattere locale e territoriale, che non sempre tiene in considerazione le dinamiche di Washington.
Le ripercussioni dei risultati sullo Studio Ovale
Questo poi non toglie che l’esito delle elezioni di midterm abbia delle ripercussioni sullo Studio Ovale. Se i repubblicani conseguiranno un buon risultato a novembre, Trump dovrebbe riuscire a consolidare la sua leadership politica. In caso contrario, l’Amministrazione potrebbe trovarsi ad affrontare non pochi grattacapi.
In primo luogo, se i democratici conquistassero la Camera, l’ipotesi di un impeachment contro il presidente sul caso Russiagate potrebbe divenire molto più concreta: il processo di messa in stato d’accusa del presidente è istruito dalla Camera e votato dal Senato. Ciò detto, va comunque notato che all’interno dell’Asinello non ci sono al momento opinioni concordi sull’impeachment. In particolare, l’establishment del partito teme che una via del genere possa rivelarsi un’arma a doppio taglio. E sortire magari un effetto opposto a quello sperato (come accadde ai repubblicani con Clinton nel 1999).
Ma le grane per Trump non arriverebbero solo dai rapporti con il partito avverso. Anche in casa potrebbe crearsi qualche problema. Se il Grand Old Party venisse sconfitto a novembre, è probabile che alcuni big repubblicani possano scendere in campo per contendere a Trump la nomination nel 2020. Un evento non così diverso da quanto accaduto nel 1976: all’epoca, il presidente uscente Gerald Ford fu sfidato da Ronald Reagan alle primarie repubblicane.
Trump dovrà quindi muoversi con accortezza. Perché lo snodo delle elezioni di midterm potrebbe risultare veramente decisivo per il futuro della sua presidenza e della sua leadership.