Usa: McCain, eroe conservatore anti-Trump e bipartisan
Thomas Whitmore e James Marshall sono due presidenti degli Stati Uniti che furono piloti di guerra in Vietnam. Ma non li trovate nell’elenco dei 45 presidenti dell’Unione, perché sono due personaggi cinematografici: protagonisti il primo di Independence Day e il secondo di AirForceOne, successi del 1996 e del 1997.
I reduci del Vietnam, marchiati dalla sconfitta, arrivano alla Casa Bianca solo nei film, mentre, nella realtà, ci vanno gli imboscati di quel conflitto, come Bill Clinton e George W. Bush.
John McCain, morto sabato sera nel suo ranch di Sedona, in Arizona, eroe di guerra e poi senatore, fu vittima di questa maledizione americana. Fallì due volte l’attacco alla presidenza: nel 2000, fu ‘fatto fuori’ nelle primarie repubblicane da Bush (che, poi, nel 2004 avrebbe battuto un altro reduce ferito e decorato, John Kerry); nel 2008, ebbe la nomination ma fu sconfitto al voto dal democratico Barack Obama.
Proprio in quella campagna presidenziale, il Secret Service gli diede il nomignolo azzeccato, e che gli sarebbe rimasto addosso, di Maverick, cane sciolto, per la tendenza a fare quel che gli pareva giusto, senza badare a discipline di partito o ad opportunismi personali.
La malattia come la prigionia
Il decesso era atteso: la sua famiglia aveva annunciato il giorno prima che McCain aveva interrotto le cure mediche contro il male, un tumore al cervello aggressivo, manifestatosi nel 2017 e cui era già sopravvissuto più di quanto i medici gli avevano pronosticato. Dopo un intervento chirurgico, i cui segni erano ben visibili, il senatore non aveva mai smesso di lottare e di lavorare, ma da mesi ormai non tornava a Washington.
La forza di volontà e la resistenza al dolore non sono mai mancate a quest’uomo che, quando – era il dicembre del 1967 – due suoi commilitoni se lo videro sbattere in cella in un campo di prigionia vicino ad Hanoi pensarono non sarebbe sopravvissuto una settimana. Cinquant’anni dopo essere stato abbattuto e catturato, il pilota della US Navy, eletto senatore in sei successive elezioni, era ancora in prima linea.
Il 26 ottobre, McCain era stato colpito durante la sua 23a missione nei cieli vietnamiti: si eiettò, finì con il paracadute in un lago, le braccia e una gamba rotte. Ferito, pestato e torturato, non avrebbe più recuperato a pieno l’uso degli arti. Ma sopravvisse a cinque anni e mezzo di prigionia: il padre, comandante delle forze navali Usa impegnate nel conflitto, ne rifiutò la liberazione, se insieme a lui non fossero stati liberati tutti i prigionieri americani catturati prima di lui.
Alla fine della guerra, John tornò a casa e tornò a fare l’ufficiale della Marina, pluridecorato, ma fisicamente impossibilitato a diventare ammiraglio, come il padre e il nonno. Finché non si manifestò la vocazione alla politica.
Il senatore repubblicano e il politico bipartisan
McCain conquistò il suo scranno nel Senato degli Stati Uniti nel 1986 – Ronald Reagan era presidente -: la gente dell’Arizona lo scelse per sostituire l’ultra-conservatore e segregazionista Barry Goldwater, candidato repubblicano alla Casa Bianca nel 1964 – la sua fu una disfatta: vinse solo in quattro Stati del Profondo Sud e nel suo, di fronte a Lyndon B. Johnson -. Da allora, lo tenne ininterrottamente per quasi 32 anni, confermato al voto per cinque volte.
L’autorità morale del senatore di 81 anni, esperto di difesa e sicurezza, è sempre andata crescendo, fino a farne, nell’America di Donald Trump, la figura di riferimento dei conservatori illuminati, che detestano l’isolazionismo internazionale e la rozzezza personale del magnate presidente. Resa roca dalla malattia, la voce di McCain è ancora riuscita a scuotere le coscienze a Washington, destando imbarazzi tra Congresso e Casa Bianca.
Se n’è andato nello stesso giorno di un altro ‘padre nobile’ della politica americana, Ted Kennedy, morto il 25 agosto 2009, di cui fu amico, ma anche avversario, condividendone alcune battaglie e contrastandone altre: due ‘grandi leoni’ la cui biografia non consente l’agiografia – McCain giovane ebbe una vita familiare turbolenta e, a inizio carriera, rimase coinvolto in vicende dubbie -.
Le ultime battaglie
Da tempo, McCain era consapevole che non sarebbe più tornato sul Campidoglio. Ma, mentre combatteva, sapendo di perderla, la battaglia contro il cancro, è ancora riuscito a farsi sentire, continuando a interpretare, nella politica americana, lo spirito bipartisan, senza pregiudizi di partito né preconcetti personali.
Un anno fa, il suo no fu decisivo per evitare l’affossamento dell’Obamacare, la riforma sanitaria fatta da Barack Obama, ed infliggere uno smacco a Trump: il pollice verso mostrato nell’emiciclo del Senato, l’ultimo show del senatore torturato dai vietcong nel famigerato ‘Hanoi Hilton’, contro il presidente e contro il partito.
Ma, a fine 2017, aveva votato la discussa riforma fiscal. E, in primavera, s’era opposto alla nomina a capo della Cia di Gina Haspel, non ostile al ricorso alla tortura con i terroristi. A luglio, era stato critico verso il presidente Trump dopo il Vertice di Helsinki con Vladimir Putin, mentre aveva visto bene la designazione del giudice Brett Kavanaugh alla Corte Suprema.
Il rapporto con Trump
Con Trump – ennesimo imboscato alla Casa Bianca: dal Vietnam, si fece esonerare per un problema ai piedi -, non c’è mai stato feeling: il senatore era stato fin da subito molto diffidente sull’ascesa al potere del magnate. Nella campagna, Trump mise persino in dubbio che McCain fosse un eroe: “A me piacciono quelli che non si fanno prendere”, ironizzò, dividendo il Paese come gli riesce spesso.
E il senatore polemizzò con il candidato più volte, specie quando, parlando di lotta al terrorismo, ipotizzava il ritorno alle tecniche d’interrogatorio ‘rafforzate’, come il waterboarding, cioè a forme di tortura.
Quando s’oppose alla nomina della Haspel alla Cia, un’assistente del presidente, Kelly Sadler, commentò goffamente: “Che importa di McCain? Tanto sta morendo…”. La telefonata di scuse dello staff del presidente alla moglie e alla figlia non ricompose lo screzio. Al suo funerale, McCain non voleva Trump: ci sarà Mike Pence, il vice, è già stato deciso.
Prima d’interrompere le cure, McCain ha finito di girare un documentario della Hbo e ha pubblicato l’ultimo suo libro ‘The Restless Wave’, dove ribadisce la sua visione repubblicana pro-libero scambio e pro-immigrazione. Di Trump, scrive che non sa “distinguere le azioni del nostro governo dai crimini di quelli dispotici. L’apparenza di durezza, o un fac-simile di durezza da reality show, sembra essere più importante dei nostri valori”.
Mentre la politica americana rendeva un omaggio intenso pressoché unanime all’eroe e al senatore, ci sono volute 48 ore perché la Casa Bianca mettesse la bandiera a mezz’asta e perché il presidente pronunciasse due parole: “I nostri pensieri e le nostre preghiere vanno alla famiglia del senatore McCain. Apprezziamo quanto ha fatto per il nostro Paese”, ha detto incontrando i leader evangelici.
La coerenza del presidente e il cordoglio dell’America
Coerente con se stesso fino al limite dell’ostinazione, Trump non s’è unito al coro del cordoglio: non ha voluto che la Casa Bianca emanasse un comunicato ufficiale con la parola ‘eroe’, che la portavoce Sarah Huckabee Sanders e il capo dello staff John Kelly gli suggerivano con insistenza; e ha invece preferito un tweet anodino per esprimere “profondo rispetto per la famiglia McCain”. “Grazie, senatore McCain – twittava meno compassata Melania, la first lady -, per il suo servizio al Paese”.
Il Wall Street Journal ha rivelato che il presidente non aveva voluto incontrare il senatore malato. Nel corso di una missione, i suoi consiglieri gli suggerirono di fare tappa in Arizona per salutare McCain, cui era appena stato diagnosticato il tumore al cervello. Ma Trump si rifiutò, sostenendo che lui e il senatore “non si erano mai piaciuti reciprocamente” e che se fosse andato a trovarlo sarebbe apparso “finto e ipocrita”.
L’America migliore è unita nel cordoglio, bipartisan come il messaggio e l’esempio di McCain, che, in una lettera d’addio, avverte che “il vero patriottismo non semina odio” e divisione. E lo commemorano pure leader di tutto il Mondo: il Vietnam ne celebra “gli sforzi per la pace”.
L’ex presidente Obama ricorda la loro sfida alle presidenziali 2008: “Eravamo molto diversi ma condividevamo la fedeltà a qualcosa di più alto, ovvero agli ideali per cui generazioni di americani e immigrati hanno combattuto, manifestato e fatto sacrifici”.
L’ex presidente Bill Clinton ringrazia McCain per il ruolo svolto nel normalizzare i rapporti fra Usa e Vietnam e ne ricorda la tenacia e il coraggio nel rompere gli schemi, se lo riteneva giusto. E l’ex presidente Bush jr vede nel senatore repubblicano un “patriota al massimo livello”: “Mi mancherà” dice George W., che batté McCain nelle primarie 2000 e lo appoggiò nel 2008, contro Obama.
Fra i più stretti amici di McCain, Joe Biden, ex vice-presidente, democratico, afferma: “Coraggio. Integrità. Onore. Non ha mai perso di vista quello in cui credeva più fermamente: il Paese, prima di tutto”. Il leader dei repubblicani al Senato Mitch McConnell dice “In un’era piena di cinismo sull’unità nazionale, la sua vita è stata un esempio”; il leader dei democratici Chuck Schumer “Era una grande persona, come ce ne sono poche”.
Con la morte di McCain resta in Senato un unico veterano del Vietnam, Tom Carper, democratico del Delaware.