Rifugiati: giovani, laurearsi deve fare la differenza
Laurearsi fa la differenza. Chi ha modo di ascoltare le testimonianze dei giovani siriani, rifugiati in Europa per proseguire gli studi, viene colpito dall’ottimismo che non hanno i coetanei italiani, sui quali pesa il dato emerso dal Rapporto 2018 di Almalaurea: lo stipendio di un neo-ingegnere italiano è circa 1.600 euro, contro i 2.700-2.900 che guadagnerebbe all’estero.
L’Italia, fanalino di coda in Europa per numero di laureati, non valorizza quelli che ha. Ma la mancanza di motivazione da parte di tanti giovani non è dovuta solo alle difficoltà occupazionali (sempre in base agli ultimi dati, la maggioranza di laureati non svolge una professione corrispondente al curriculum scolastico-universitario) e alla retribuzione, ma anche a un contesto alienante che spegne, anziché accendere, quella carica di sogni e speranze che sono di per sé tipiche dall’età giovanile.
Le differenze di motivazione
Helena Barroco, responsabile della Global Platform for Syrian Students oltre che consigliera della presidenza portoghese, relazionando alla conferenza internazionale che si è tenuta a Torino sul progetto europeo Eucrite (European Centre for Refugees in Higher Education) , parlando degli studenti siriani ha osservato: “Sono studenti di robotica, ingegneri elettronici, biologi, medici … e vogliono dare il loro contributo alla società”.
Fa la differenza la voglia di dare il proprio contributo attraverso l’acquisizione di competenze, di capacità, di un sapere da mettere a disposizione della collettività. La Barroco ha citato Nelson Mandela: “L’istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. È grazie all’istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o un bambino nato in una famiglia povera il presidente di una grande nazione”.
Tutto questo presuppone possibilità di mobilità sociale, desiderio di crescere, di innovarsi. Il giovane siriano, scappato dalle bombe, crede ancora che lo studio possa aprirgli un futuro migliore e che possa rientrare nel suo Paese pacificato arricchendolo. il giovane italiano no. Una spiegazione in sintesi è stata data da Gianmaria Ajani, il rettore dell’Università di Torino, dove Gaetano Manfredi, rettore dell’Università Federico II di Napoli e presidente della Crui e Ivano Dionigi, presidente di Almalaurea, hanno presentato l’ultimo dossier sui laureati italiani: “L’opinione pubblica italiana pensa che ci siano fin troppi laureati. E poi perché laurearsi quando gli imprenditori preferiscono i diplomati o il figlio dell’amico?”.
Frustrazione e determinazione
Un Paese i cui governanti e i cui imprenditori non investono sulla formazione non potrà che frustrare i suoi giovani. Stride accostare questo scenario a quello dei giovani sfollati che, se pur a fatica, raggiungono le scuole e le università d’Europa. La Barroco ha osservato che nei 35 Paesi del mondo oggi in guerra il 51% della popolazione ha meno di 18 anni.
La task force di Eucrite lancia un appello per rimuovere gli ostacoli che impediscono ai giovani costretti a fuggire dai loro Paesi, di proseguire la formazione universitaria. Di Eucrite, il cui termine è previsto per l’ottobre 2019, fanno parte, oltre al Politecnico di Torino, Aalto University in Finlandia, Grenoble Institute of Technology in Francia, Katholieke Universiteit Leven in Belgio e le University of Technology di Darmstradt in Germania e di Graz in Austria.
Che cosa fa e con chi lavora Eucrite
“In Italia – ha detto Arianna Montorsi, docente del Politecnico di Torino – in media sono necessari due anni prima che sia riconosciuto lo status di rifugiato”. Nel frattempo i richiedenti asilo non potrebbero né frequentare né sostenere esami, anche se, di fatto, non è così, grazie a una serie di interventi che hanno visto coinvolti la Conferenza dei rettori, il Parlamento europeo e, in Italia, il Miur e il Ministero dell’ Interno.
Il contesto di Eucrite non è quello dei flussi ordinari di studenti stranieri migranti temporaneamente per motivi di studio, organizzati magari attraverso Erasmus+, ma di un’emergenza nell’emergenza dei richiedenti asilo. L’obiettivo è un protocollo comune ai Paesi europei e alle loro università che “devono interagire, interloquire perché sia data continuità formativa. Si tratta di giovani studenti a tutti gli effetti, non hanno scritto in fronte ‘rifugiato’. Non servono gli interventi spot, ma una strategia, una programmazione di vasto respiro”, hanno sottolineato i relatori.
In Italia, l’esempio virtuoso dei corridoi umanitari
In questo senso va la proposta di “un registro comune che certifichi le carriere scolastiche dei giovani”. Preliminare, però, è individuarli: di rifugiati ne abbiamo tanti, di studenti pochi. E’ credibile? I sostenitori di Eucrite ritengono che sia mancato finora un lavoro finalizzato ad intercettarli. Approdano in Europa disorientati, traumatizzati, privi delle informazioni utili a rispondere ai loro bisogni.
In Italia gli iscritti all’università sono poco più di un milione e 650mila, di cui circa 919.300 donne e 76.350 stranieri. I laureati, nell’ultimo anno accademico, sono stati oltre 305.200, di cui circa 177.200 donne e 12.000 stranieri. Le università, singolarmente prese, fanno la loro parte, ma non basta. Intanto attraverso i 12 corridoi umanitari finora attivati dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Tavola valdese, Comunità di Sant’Egidio, sono 26 gli ospiti che si sono iscritti a corsi universitari grazie a borse di studio e bando specifici del Miur e 28 hanno frequentato corsi professionali.
.