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Il potere del rais

Egitto: una legge per proteggere e gratificare i generali di al-Sisi

1 Ago 2018 - Viola Siepelunga - Viola Siepelunga

Un disegno di legge di cui non si è saputo nulla fino alla sua pubblicazione. Non un dibattito sui media, non una discussione nelle commissioni parlamentari. Un silenzio assoluto che è destinato ad andare avanti fino al giorno della già scontata trasformazione della bozza in legge. E’ la cartina di tornasole – l’ennesima – del capillare controllo che l’esecutivo egiziano – anzi più chiaramente la presidenza – ha sul potere legislativo, di fatto uno strumento nelle mani del raìs che se ne serve a piacimento per portare avanti la sua agenda personale. La legge che fa discutere è quella che, quando approvata, garantirà inediti privilegi ad alcuni comandanti delle forze armate: generosi stipendi, incentivi fiscali di diverso tipo, contributi economici per i viaggi e guardie di sicurezza personali.

Immunità per i responsabili di Rabaa al-Adawya
Il disegno di legge non stabilisce in che modo verranno scelti questi comandanti. Dettaglio che fa presagire che sarà il presidente a sceglierli arbitrariamente. I comandanti selezionati saranno anche eletti ufficiali a vita dell’esercito egiziano e si vedranno riconosciute anche una serie di immunità simili a quelli di ministri e diplomatici. Prima fra tutte l’immunità diplomatica anche nei periodi trascorsi all’estero, una mossa per proteggere questi uomini da accuse a livello internazionale. Un’eventualità abbastanza remota, visto che l’Egitto non fa parte della Corte penale internazionale.

Inoltre, ed è questo il dettaglio che fa infuriare quel che resta dell’opposizione egiziana, i militari che il presidente Abdel Fattah Al-Sisi nominerà comandanti a vita non potranno subire alcuna condanna – previa autorizzazione del Consiglio supremo delle forze armate, Scsf – per gli atti da loro commessi nel periodo in cui la Costituzione era sospesa. Ovvero dal 3 luglio 2013 – giorno del golpe che ha portato al potere al-Sisi – sino al 10 gennaio 2016, quando il nuovo Parlamento ha iniziato a lavorare.

Un lasso di tempo particolarmente cruento della storia egiziana, segnato soprattutto – ma non solo – dal massacro di piazza Rabaa al-Adawya, ovvero lo smantellamento con la forza, nell’agosto 2013, del sit-in islamista che si opponeva al colpo di mano militare, l’ennesimo della storia egiziana. I sostenitori del deposto Mohammed Morsi, unico presidente della storia egiziana eletto democraticamente, furono dispersi con la forza, grazie anche all’intervento dei carrarmati. Altissimo il bilancio delle vittime, più di 800. Anche se fino ad ora non è stata aperta alcuna indagine su questi eventi, le numerose prove raccolte da Ong e attivisti potrebbe essere materiale utile per indagini future.

Le norme che proteggono i militari
L’ordinamento egiziano è già pieno di leggi che proteggono i vertici militari. L’articolo 204 dell’ultima Costituzione afferma che solo i tribunali militari hanno l’autorità di perseguire i membri dei servizi militari e dell’intelligence. Questa clausola protegge nei fatti i militari dall’azione dei tribunali civili. Nell’improbabile eventualità che un tribunale militare porti a processo un ufficiale per un crimine commesso contro un civile, difficile pensare che i giudici – anch’essi ufficiali militari – possano essere imparziali.

Inoltre, altre recenti leggi egiziane hanno ampliato la portata di questa immunità militare. Nel luglio 2011 lo Scaf ha emanato la legge 133, una “regola giuridica eccezionale” secondo la quale quanti prestano servizio per lo Scaf rimarranno riservisti anche dopo aver raggiunto l’età della pensione. Un escamotages per garantire un salvacondotto ai militari sulla via della pensione: in base a questa legge non potranno più essere processati dai tribunali civili. Inoltre, nel maggio 2012, il Parlamento ha modificato la legge 25 del 1966 per consentire ai tribunali militari di perseguire e indagare militari per reati finanziari solo quando l’imputato andrà in pensione.

Legge ad usum delphini
Il disegno di legge ora sul tavolo non si limita però a garantire ulteriore protezione ai generali che hanno contribuito all’ascesa di Al-Sisi. C’è di più. Il presidente vuole servirsene per controllare capillarmente i ranghi dell’esercito. I comandanti ai quali il raìs garantirà questo status speciale non potranno infatti candidarsi a future votazioni presidenziali. Il disegno di legge non lo mette nero su bianco, ma questo è facilmente deducibile se si legge questa bozza considerando anche le altre leggi vigenti. Nessun militare può infatti candidarsi senza il permesso dell’esercito. Potrebbe farlo chi va in pensione, ma i prescelti da Al-Sisi non ci andranno mai.

La mossa di Al-Sisi potrebbe essere stata influenzata da quanto successo in occasione delle ultime ‘elezioni’ del marzo scorso, quando si è candidato il generale Sami Anan – uomo politicamente temuto da Al-Sisi anche perché gode di un certo seguito all’interno dell’esercito -. Per evitare che la sua candidatura creasse scompiglio all’interno dei ranghi militari, Anan è stato prima escluso dalla competizione e poi arrestato. L’ex capo di Stato maggiore è stato infatti accusato di non avere rispettato, con la sua candidatura, il regolamento militare.

Assoggettando ulteriormente i vertici militari al presidente, la nuova legge fornirà ad Al-Sisi più garanzie. Qualora, come ampiamente previsto, Al-Sisi cambiasse la Costituzione per potersi ricandidare, potrà servirsi dell’escamotages contenuto in questo disegno di legge per sedare le ambizioni politiche dei generali a lui scomodi – ovvero chiunque cercherà di sfidarlo -. Basterà concedergli l’onore di essere militare a vita e garantirgli privilegi. Così Al-Sisi terrà a bada quelli che ora ritiene possibili militari canaglia.