Ue: copyright, battaglia sulla direttiva sul diritto d’autore
L’Unione europea ha dichiarato guerra ai giganti del Web. O almeno così pare, dalle cronache delle ultime settimane: Google è stata appena multata per 4,3 miliardi di euro per aver infranto le regole sulla concorrenza europea; si sta discutendo una direttiva sul copyright nel mercato unico digitale; a maggio è entrato in vigore il Gdpr, una delle normative più severe al mondo sulla tutela della privacy online, che costringe le grandi aziende dell’online a rivedere il modo in cui trattano i dati degli utenti; e il Ceo di Facebook, Mark Zuckerberg, è stato sentito dai rappresentanti del Parlamento europeo in merito allo scandalo Cambridge Analytica, che ha riguardato i dati di oltre 87 milioni di persone in tutte il mondo.
L’Unione si sta muovendo per arrivare a una regolamentazione comune di Internet, che non avvantaggi i giganti del web, ma miri a proteggere i cittadini europei dagli abusi online, non soltanto per quanto riguarda la privacy, ma anche per lo sfruttamento illecito dei contenuti protetti da diritto d’autore.
Il 5 luglio la direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, proposta nel 2016 dalla Commissione, è approdata al Parlamento europeo, ma gli eurodeputati con 318 voti contro 278 e 31 astensioni hanno deciso di rinviarne la discussione: la proposta è stata congelata per l’estate e verrà ridiscussa infatti alla prossima sessione plenaria del Parlamento europeo, il 10 settembre.
Le forze in campo
Il braccio di ferro sul copyright ha visto da un lato editori e istituzioni europee, che vorrebbero vedere regolamentati l’utilizzo e lo scambio delle opere autorali, e dall’altro i giganti della Silicon Valley e gli attivisti del free Internet, che ritengono la direttiva un ostacolo alla libertà di espressione.
Il tema è caldo e la tensione è salita quando le istituzioni europee hanno denunciato la pressione subita da parte di lobby e privati. Alcune piattaforme digitali hanno deciso di scioperare per protesta e tra il 3 e il 5 giugno Wikipedia Italia ha oscurato le sue pagine, catalizzando l’attenzione degli utenti su quello che stava succedendo a Strasburgo.
Le pressioni sono state esercitate con centinaia di mail e telefonate di elettori che hanno contattato i parlamentari per indurli a non approvare il mandato negoziale. “Il mio ufficio è stato messo fuori uso dall’assalto dei lobbisti”, ha denunciato Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, “che hanno intasato e paralizzato le comunicazioni di posta elettronica. I telefoni erano perennemente occupati”.
La direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale
Secondo i legislatori europei i rapidi sviluppi tecnologici e i nuovi modelli di business che stanno emergendo grazie all’affermarsi di Internet costringono a rivedere le direttive precedentemente adottate, per adeguare e completare l’attuale quadro dell’Unione in materia di copyright e allo stesso tempo mantenere alto il livello di protezione del diritto d’autore.
Con la proposta della direttiva Com(2016)593, l’Ue vuole armonizzare le diverse legislazione degli Stati membri in materia, ma soprattutto vuole correggere un vuoto legislativo che consente alle piattaforme di condivisione online – come YouTube e Instagram – di non pagare una licenza equa per i contenuti creativi. La direttiva prevede misure che faciliterebbero quindi determinate procedure di concessione delle licenze per la divulgazione di opere fuori commercio e la disponibilità online di opere audiovisive su piattaforme di video, per garantire così un più ampio accesso ai contenuti.
Pareri contrari
Non tutti, però, hanno recepito in modo favorevole la proposta. Oltre ai colossi del web, come Google o Microsoft, che non vogliono sobbarcarsi il compito di controllare i dati diffusi sulle proprie piattaforme, anche diversi attivisti per la libertà di Internet hanno manifestato il loro dissenso. Ad aprile 145 organizzazioni nei settori dei diritti umani e digitali, della libertà dei media, dell’editoria, delle biblioteche, delle istituzioni educative, degli sviluppatori di software e dei fornitori di servizi Internet hanno firmato una lettera di opposizione alla legislazione e, come già ricordato, Wikipedia ha oscurato il suo sito in protesta. A scatenare la bufera sarebbero stati in particolare agli articoli 11 e 13, ridefiniti dai media rispettivamente “link tax” e “upload filter”.
Articolo 11 e articolo 13: cosa dicono veramente?
L’articolo 11 è diventato noto come “link tax”, anche se non parla esplicitamente di tassare i collegamenti ipertestuali: la norma, infatti, prevede che la pubblicazione dei cosiddetti snippet – un frammento di codice che riporta titolo e descrizione del contenuto a cui il link collegato rimanda, fondamentale per l’ottimizzazione sui motori di ricerca – sia vincolata a una licenza, senza pregiudicare la possibilità per gli utenti di condividere link di pubblicazioni giornalistiche sui social media.
L’articolo 13, invece, istituisce l’“upload filter”, che impedirebbe di caricare online materiale già protetto da copyright.
Sono girate voci che tale articolo potrebbe avere effetti sull’intera struttura di Internet, arrivando compromettere l’uso del web per come lo abbiamo conosciuto finora. In realtà l’articolo 13 riguarda esclusivamente le piattaforme che accolgono contenuti creativi coperti da copyright, i quali vengono sfruttati per scopi commerciali, senza che venga corrisposto agli autori un giusto compenso. Secondo questa interpretazione dunque verrebbero esclusi dalla normativa tutti i servizi che non rivestono finalità commerciale come Wikipedia e i software open source. L’articolo 13 favorirebbe quindi la cooperazione tra rete e proprietari di diritti per il rilascio di licenze su contenuti coperti da copyright, o la rimozione degli stessi.