Spagna: Casado leader, il nuovo Pp guarda più ad Aznar che a Rajoy
Ha portato il suo partito a Barcellona il neo-presidente Pablo Casado, 37 anni, per eleggere la nuova direzione del Partido popular dopo aver vinto il congresso battendo Soraya Sáenz de Santamaría: all’Hotel Barceló Sants, l’albergo della stazione centrale, scelto forse per ovviare agli inconvenienti di una città bloccata per 48 ore dallo sciopero dei tassisti in lotta contro la concorrenza di Uber. A conferma che la scelta della capitale catalana non era frutto del caso, Casado ha annunciato una proposta di legge per introdurre nel Codice penale il reato di convocazione di referendum illegale.
La corsa alla successione di Rajoy
Mariano Rajoy, scalzato improvvisamente dal potere lo scorso 1 giugno dalla mozione socialista su cui sono confluiti i voti di tutti i gruppi dell’opposizione tranne Ciudadanos, nel lasciare la guida del partito non aveva indicato nessuno a succedergli, obbligando il Pp, per la prima volta nella sua storia, a celebrare le primarie tra gli iscritti.
Nella prima parte della competizione, conclusasi a inizio luglio, Casado era arrivato secondo, staccato di 1.500 voti dalla ex vice-presidente del governo Rajoy. Escluse dal voto degli affiliati le altre candidature, la più importante delle quali era quella di María Dolores de Cospedal, ex ministro della Difesa ed ex segretario generale del partito.
Da quel momento, la contesa tra Soraya Sáenz de Santamaría e Pablo Casado diventava quella tra un partito di centro-destra, in sostanziale continuità con Rajoy, e un partito di estrema destra, con José-Maria Aznar come riferimento. Era dunque il saldarsi dei perdenti a sostegno di Casado a invertire il risultato delle primarie in sede congressuale, ove a votare erano i delegati. Sabato 21 luglio vinceva così l’estrema destra del partito, quella in grado di concorrere direttamente con Ciudadanos sul terreno identitario e magari di ricostruire quello spazio di “centro-destra nazionale” auspicato da Aznar appena pochi giorni prima.
Casado, posizioni schiettamente reazionarie
L’ideologia del neo-presidente del Pp è schiettamente reazionaria sul terreno dei diritti civili e delle libertà personali (aborto, eutanasia), neo-liberista sul quello economico e sociale, sprezzante sulla Memoria storica, contraria all’avvicinamento in carceri basche dei prigionieri etarra, critica con l’ “inattività” del governo Rajoy nei confronti dell’indipendentismo catalano. E il Partido popular non è una formazione politica nuova di quelle estremiste nate per effetto della crisi: è ancora il primo partito in Spagna ed è parte importante del Partito popolare europeo.
Gli organigrammi del partito sono ora occupati quasi interamente da dirigenti affini al nuovo corso: Teodoro García, che aveva diretto la campagna di Casado per le primarie, è il nuovo segretaro generale, mentre la catalana ex ministro della Sanità Dolors Montserrat, vicina a María Dolores de Cospedal, è portavoce al Congresso dei Deputati. L’integrazione annunciata dei sostenitori della candidata perdente si limita a una decina di posti su 51, nessuno di prima fila, tanto che Sáenz de Santamaría alla riunione del 26 luglio a Barcellona non si è proprio presentata.
Le reazioni fra i socialisti e in Catalogna
Può darsi che il risultato del voto interno al Pp sia stato accolto tra le file socialiste come un elemento chiarificatore del confronto politico, in grado di far risaltare l’alternatività tra i due partiti che fino ad ora si sono avvicendati alla guida del Paese. Ma è certo che l’opposizione del Pp al governo socialista sarà senza tregua, in una lunga campagna elettorale verso gli appuntamenti con le urne del prossimo anno. Né d’altro canto il governo Sánchez può illudersi di avere garantita la legislatura fino al suo naturale esaurimento nel 2020.
A ricordarglielo è stato l’altro congresso svoltosi nello scorso fine settimana, quello del Partit Demòcrata Català, vinto da Carles Puigdemont, che ha costretto Marta Pascal a lasciare il ruolo di coordinatrice generale, da cui aveva orchestrato il posizionamento del partito in favore della mozione socialista contro Rajoy. La nuova direzione del partito indipendentista sosterrà l’esecutivo socialista solo se il dialogo tra il governo spagnolo e quello catalano, avviato con un primo incontro tra i presidenti Sánchez e Torra, continuerà passando dalle parole ai fatti. E l’appuntamento per una prima verifica è imminente, il 1 agosto, quando si riunirà dopo 7 anni, la commissione bilaterale Stato-Generalitat.
Le difficoltà del governo Sánchez
Ma già in chiusura di corso politico prima delle vacanze estive, nell’ultimo venerdì di luglio, nel Congresso dei Deputati si è visto come nessuna forza politica tra quelle che hanno consentito la nascita del governo Sánchez, sembri intenzionata a sostenerlo incondizionatamente. Unidos Podemos, Compromís, Esquerra Republicana de Catalunya e Partit Demòcrata Català si sono infatti astenuti nella votazione sugli obiettivi di deficit pubblico per il triennio 2019-2021 che il governo spagnolo aveva concordato con l’Unione europea strappando uno 0,5% in più rispetto a quelli precedentemente pattuiti: è così venuta meno la maggioranza necessaria alla loro approvazione.
Si tratta di una sconfitta sostanzialmente simbolica, perché comunque la proposta sarebbe successivamente passata all’esame del Senato dove il Pp l’avrebbe bocciata, forte della sua maggioranza assoluta. Ma è comunque la prima seria sconfitta di Sánchez. Podemos ha spiegato il suo voto dichiarandosi disponibile piuttosto a sostenere la riforma della Legge di Stabilità di Bilancio voluta dal governo Rajoy nel 2012, conseguenza della riforma costituzionale del 2011 decisa in tutta fretta dal governo Zapatero con il consenso del Partido popular. Ma soprattutto, come hanno chiarito tutti i gruppi che si sono astenuti, la critica si è centrata sull’assenza di dialogo del governo che si comporta come se godesse di una maggioranza solida ed invece dispone di meno di un quarto dei deputati della Camera.